22 Dicembre 2020

Biden e la leadership energetica: cambiare tutto per non cambiare nulla

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Investimenti in tecnologie low-carbon, generazione elettrica carbon-neutral entro il 2035, zero emissioni nette entro il 2050 e giustizia ambientale: negli Stati Uniti ha vinto l’agenda energetica più ambiziosa di sempre. L’arrivo di Biden alla Casa Bianca porta con sé grandi aspettative in materia di politica climatica ed energetica, ma non sarà facile cancellare le mosse del suo predecessore e trasformare in realtà l’ambizioso piano presentato in campagna elettorale. Nelle pagine di ENERGIA 4.20, Gaetano Di Tommaso (Sciences Po) illustra come una combinazione di fattori interni e internazionali rischi di rallentare – se non bloccare – l’agenda democratica, soprattutto nel breve periodo. I prossimi quattro anni saranno fondamentali per capire se Washington riuscirà a rilanciare la sua leadership su temi energetici e ambientali, spinta anche da un’opinione pubblica sempre più sensibile alla questione climatica.

“Nell’ultimo dibattito televisivo prima delle elezioni, tenutosi a fine ottobre, Joe Biden definì il riscaldamento globale come una «minaccia esistenziale per l’umanità», comunicando la sua preoccupazione per il cambiamento climatico. Poco dopo, in quello che fin da subito fu considerato uno dei momenti più memorabili della serata, Trump domandò a Biden se avesse intenzione di smantellare l’industria petrolifera statunitense. Il candidato democratico rispose – deciso – che sì, l’avrebbe abbandonata per passare ad altro; il fine ultimo, si affrettò ad aggiungere, era completare la transizione verso l’energia rinnovabile. L’avversario colse la palla al balzo, guardando in camera e chiamando in causa direttamente gli elettori di alcuni degli Stati la cui economia è legata al settore dei combustibili fossili: «Texas, Pennsylvania, Oklahoma e Ohio», chiese il Presidente, «vi ricorderete delle sue parole quando andrete a votare?» La risposta data dalle urne non è quella che Trump si aspettava”.

L’ambiziosa agenda democratica per l’energia e il clima dovrà incrociare una favorevole combinazione di fattori per avere successo. Secondo Gaetano Di Tommaso (Sciences Po), il mandato di Biden sarà decisivo per capire se gli Stati Uniti riusciranno a guadagnare la leadership nella transizione energetica. L’analisi pubblicata su ENERGIA 4.20 ripercorre le opzioni strategiche e i possibili rischi per la nuova Presidenza derivanti dal quadro interno (par. 1) e dal quadro internazionale (par. 2).

Investimenti in tecnologie low-carbon, generazione elettrica carbon-neutral entro il 2035, zero emissioni nette entro il 2050 e giustizia ambientale: ha vinto l’agenda energetica più ambiziosa di sempre

Ha vinto il candidato “con l’agenda energetica tra le più ambiziose di sempre, con un programma che include circa duemila miliardi di dollari di investimenti in fonti alternative, da spendere innanzitutto in trasporti ed edilizia, e il raggiungimento del 100% di energia pulita e zero emissioni nette non più tardi del 2050, cui si aggiunge l’obiettivo intermedio della neutralità carbonica nella produzione di energia elettrica entro il 2035”.

“Il cambio di direzione (…) non potrebbe essere più netto sulla carta. Nella pratica, l’affermazione di Biden, anche se solida nei numeri, cela dietro di sé un paese profondamente diviso ideologicamente e condizionato – da un punto di vista energetico oltre che politico – da realtà, bisogni e obiettivi diversi e spesso contrapposti che rischiano di imbrigliare l’azione legislativa nei prossimi quattro anni e tra i quali Biden dovrà essere bravo a districarsi”.

Il nodo politico-istituzionale rappresenta la prima sfida: con una maggioranza debole alle Camere, Biden dovrà utilizzare i poteri esecutivi per rientrare nell’Accordo di Parigi

L’analisi si concentra in prima battuta sul fronte interno. L’opposizione in Congresso e i poteri dell’esecutivo (par. 1.1) sono due punti nevralgici per la nuova Amministrazione. Senza una forte maggioranza, infatti, almeno fino alle prossime elezioni Biden non avrà possibilità di avanzare profonde modifiche al contesto normativo ereditato da Trump, tuttavia “potrà usare gli stessi strumenti esecutivi e amministrativi per cambiare rotta e cancellare le mosse del suo predecessore. Il Sabin Center for Climate Change Law della Columbia Law School ha identificato più di 150 possibili provvedimenti che Biden potrà prendere in via esecutiva per combattere il cambiamento climatico”.

I limiti della Casa Bianca (par. 1.2) si riscontrano anche nel rapporto con gli Stati. Tutti ricordano il caso della California che, sotto Trump, “ha impugnato il rilassamento delle soglie di emissione per i veicoli e ha scelto di mantenere i suoi standard – più stringenti – e anzi renderli vincolanti. L’attivismo degli Stati rischia di rendere l’azione dell’Amministrazione ancora meno rapida ed efficace – e fornisce una prova lampante della crisi di governabilità che attraversa il sistema statunitense”.

In periodi critici i ‘checks and balances’ della costituzione USA possono paralizzare l’attività legislativa e offrire un ruolo molto attivo al potere giudiziario

Sull’attivismo energetico-climatico del nuovo Presidente contano anche le difficoltà della ripresa e rischio di divisioni interne (par. 1.3). Se riuscirà a mediare tra le posizioni più estreme in Parlamento, “proprio l’urgenza di concordare nuovi pacchetti d’incentivi e di spesa potrebbe aprire per Biden uno spiraglio per l’approvazione in Congresso di parte degli investimenti immaginati per la transizione energetica, in particolare quelli infrastrutturali e di elettrificazione dei trasporti, nel caso in cui i democratici riuscissero a inserirli nei disegni di legge per il rilancio”.

In aggiunta a possibili spaccature interne al partito, l’amministrazione dovrà fare attenzione anche a fattori ‘esogeni’, come quello tecnologico, che potrebbero condizionare l’agenda energetica di Biden e costringere l’amministrazione ad adattarsi a scenari non previsti (par. 2.1. Il fattore tecnologico e le tendenze di mercato).

L’avvio della transizione energetica nel paese leader nel settore O&G avrà un enorme impatto nei mercati internazionali e nella geopolitica dell’energia

La shale revolution ha reso gli Stati Uniti leader mondiali nell’O&G. E, come spesso accade, le forze tecnologiche e di mercato posizionano l’economia su una traiettoria diversa da quella auspicata dalla politica. “Difficile immaginare (…) che il prossimo Presidente degli Stati Uniti possa essere davvero disposto a lasciar precipitare, e anzi ad affossare, un asset tanto strategico quanto quello dell’industria fossile, dal peso economico – in termini di occupazione e PIL – enorme per il Paese (9)”.

“Rimanere o meno il leader globale nel settore fossile continua, tra l’altro, ad avere ovviamente importanti implicazioni geopolitiche per gli Stati Uniti” (2.2 L’aspetto geopolitico). L’agenda energetica e climatica di Biden, infatti, potrebbe avere effetti sulle relazioni energetiche tra Bruxelles e Mosca, sul dialogo con i paesi produttori di petrolio (vedasi Iran, Libia e Venezuela) e sugli equilibri nell’area mediorientale guidata dall’Arabia Saudita.

Difficile anticipare se nei prossimi anni “gli Stati Uniti riusciranno davvero a lanciarsi come leader internazionale su clima ed energia pulita, cambiando tutto per non cambiare nulla, cioè rimanendo motore del settore energetico, o se continueranno a scommettere su paradigmi già esistenti”.


Il post presenta l’articolo Presidenza Biden tra presente e futuro dell’energia (pp. 12-16) di Gaetano Di Tommaso pubblicato su ENERGIA 4.20

Gaetano Di Tommaso, Sciences Po

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Foto: Unsplash

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