10 Dicembre 2020

È tempo di un nuovo modello di governance per la rete di distribuzione

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L’attuale forma di proprietà e di governance della rete elettrica di distribuzione è all’altezza dell’imponente evoluzione che sta attraversando? La questione della terzietà e “neutralità” delle reti è da sempre oggetto di discussioni e aggiustamenti regolatori. Ma con l’attuazione del PNIEC la rete elettrica è destinata ancor più a svolgere funzioni di servizio pubblico aperto a molteplici attori. A parte il doppio privilegio riservato agli ex-monopolisti (proprietari della rete su cui transitano anche i concorrenti e gestori di milioni di utenti attribuiti loro per legge), occorre domandarsi se il modello ibrido ideato al momento della liberalizzazione sia ancora adeguato. E soprattutto se vi sia adeguata consapevolezza delle funzioni sempre più complesse, alcune nuove, che fanno capo alla rete di distribuzione. Apertura, trasparenza, fruibilità dei dati, sono questioni destinate ad assumere sempre più rilevanza. Tutti gli indizi – contatori elettronici, prosumer, auto elettriche, comunità energetiche, domotica – indicano la necessità di un nuovo modello. Tre sono le diverse possibili soluzioni, ma la scelta non può più essere rinviata a lungo.

La questione della terzietà e “neutralità” delle reti – nel caso di servizi che possono essere erogati da diversi soggetti in concorrenza tra di loro, ma comunque necessitati a transitare sulla stessa rete – è da sempre oggetto di discussioni e aggiustamenti regolatori.

Vi sono casi, come quello delle telecomunicazioni (TLC) in cui oltre alla concorrenza “sulla” rete è possibile anche la concorrenza “fra” reti. Vedi il caso della telefonia mobile. E, nonostante ciò, le polemiche non cessano se si discute oggi della possibilità di una rete unica (la fibra) sia per accelerare i tempi di cablaggio dell’intero paese, sia per eliminare ogni posizione potenzialmente asimmetrica rispetto all’operatore che anche possiede la rete.

Un po’ di storia, per chi ha poca memoria

Nel caso della rete elettrica fu subito chiaro (e scontato) che ogni modello concorrenziale non avrebbe potuto realizzarsi attraverso la competizione “fra” reti. Troppo onerosi e invasivi sarebbero stati gli investimenti necessari. E le stesse considerazioni sono state fatte per quanto concerne la rete gas e, seppur in un contesto diverso, la rete ferroviaria. Mai presa in considerazione, infine, la concorrenza sulla rete idrica per la sua limitatissima flessibilità.

All’epoca del processo di liberalizzazione e contemporanea privatizzazione/quotazione di Enel fu scelto quindi un modello ibrido. In previsione dell’apertura della concorrenza sul lato dell’offerta di energia attraverso la borsa elettrica fu deciso di ridurre la capacità di generazione di Enel (cessione di 3 Genco) e di scorporarne la rete di alta tensione che fu affidata alla costituita Terna. La rete di media e di bassa tensione fu lasciata ad Enel, sia perché non strettamente funzionale al modello concorrenziale allora adottato, sia per garantire alla privatizzanda Enel flussi di cassa certi, a garanzia del debito e dei futuri dividendi.

Unica eccezione, la prescrizione per Enel di cedere la parte di rete di distribuzione collocata nelle città dove era presente anche un’altra azienda di distribuzione: tra cui Milano, Torino, Brescia, Roma. Cosa poi avvenuta.

Un privilegio “temporaneo”

Ma da allora molte cose sono cambiate, che hanno richiesto diversi aggiustamenti regolatori. A Enel e agli altri proprietari di reti è stata imposta una completa separazione societaria e prescritte una serie di regole allo scopo sia di consentire l’accesso su quella rete anche ai diversi altri venditori di energia elettrica, sia per ridurre il rischio che esse potesse abusare del privilegio di possedere la rete e tutti i dati ad essa collegati per migliorare le performance competitive.

È inoltre il caso di ricordare che a Enel e agli altri soggetti furono lasciati “transitoriamente” anche alcune decine di milioni di clienti cosiddetti “a maggior tutela” che avrebbero dovuto in un tempo relativamente breve transitare sul mercato libero. Tempo che ancora non si è concluso, di cui non si vede la fine e che ha di fatto restituito ad Enel funzioni da Ente Nazionale che dovrebbero essere state superate da tempo.

Sicché una discreta insofferenza continua a manifestarsi da parte dei competitor per questo doppio privilegio degli ex-monopolisti: proprietari della rete su cui transitano anche i concorrenti e gestori di milioni di utenti attribuiti loro per legge.

È il momento di un nuovo modello?

Ma a parte l’insofferenza dei competitor, occorre domandarsi se quel modello sia ancora adeguato. E soprattutto se vi sia adeguata consapevolezza delle funzioni sempre più complesse, alcune nuove, che fanno capo alla rete di distribuzione. Così da richiedere un diverso modello di governance. È chiaro che alla base vi sono tre quesiti:

  1. È valida e sufficiente l’attuale separazione societaria?
  2. È quello attuale ancora un modello valido al fine di assicurare la competizione fra diversi attori?
  3. Quali sono le nuove funzioni di rete che spingono per un sistema che definiremo per il momento più aperto?

Vediamo le cose una per una.

La separazione societaria non elimina le asimmetrie informative che esistono fra Enel (venditrice di energia) e i suoi competitor

Prima di tutto è evidente che la separazione societaria non elimina le asimmetrie informative che esistono fra Enel, quale venditrice di energia, e i suoi competitor. Tutte le società di Enel sono guidate dalle medesime funzioni corporate che ne esercitano il coordinamento. Lo scambio di personale e di dirigenti fra le diverse società è continuo ed è facilmente immaginabile che il venditore Enel abbia un accesso privilegiato ai servizi del distributore (allacci, distacchi, controllo sulle frodi, ecc.). Addirittura, per quanto concerne gli utenti a maggior tutela, essi sono affidati alla medesima direzione commerciale che si occupa dei clienti del mercato libero. 

Ancora più importanti sono le funzioni che via via la rete di distribuzione è andata assumendo. L’Italia è stata la prima con Enel ad introdurre il contatore elettronico. Ricordo le perplessità degli ingegneri di Enel molto restii ad abbandonare il vecchio contatore meccanico. Si è trattato di un successo subito imitato in tutto il mondo.

Contatori elettronici: il vantaggio iniziale corre il rischio di trasformarsi in un ritardo

Oggi tutti i dati prelevati dai misuratori sono forniti da Enel distribuzione, seppur disintermediata nel rapporto con i venditori grazie al sistema informativo integrato in cui confluiscono tutti i dati afferenti ai contatori. Naturalmente, sull’effettività del dato di consumo così come per l’eventuale esistenza di una manomissione o per disagi legati alla connessione è tutto rimesso al distributore e nulla può fare il fornitore. I clienti finali continuano a non avere alcuna visibilità sull’andamento dei consumi (i contatori sono normalmente lontani dalle abitazioni) e per essi continua a fare fede la bolletta finale.

Quello che è stato un vantaggio iniziale corre il rischio di trasformarsi in un ritardo. Mentre la digitalizzazione ha portato in molti altri settori – si pensi ai servizi bancari, a quelli telefonici, alle vendite on-line, ai servizi di streaming – ad una straordinaria vicinanza e facilità d’accesso per consumatori e fornitori di servizi, il contatore elettronico continua ad essere un oggetto remoto e lontano da ogni “customer experience”.

Una straordinaria banca dati poco nota e poco utilizzata

Inoltre, essi sono una straordinaria banca dati poco nota e poco utilizzata. È appena il caso di ricordare che alcuni paesi hanno affidato la gestione dei contatori a organismi indipendenti.

Venti anni fa la rete di distribuzione collegava pochi grandi produttori di energia ai clienti finali. Il panorama è completamente cambiato. La rete è divenuta nel frattempo un grande sistema di scambio di energia a cui sono collegati centinaia di migliaia di piccoli e medi impianti di produzione. Anche qui vengono raccolti un numero enorme di dati relativi sia alle abitudini dei prosumer, che alle funzioni di ritiro/cessione/bilanciamento della rete.

Anche in questo caso il prosumer è normalmente cieco rispetto alle funzioni che svolge e deve accontentarsi dei consuntivi che GSE e rete Enel gli inviano.

Prosumer, auto elettriche e comunità energetiche

Queste funzioni che potremmo definire “di sistema” si stanno ancora arricchendo di nuovi compiti e utenti. Per esempio, gli utilizzatori delle colonnine di ricarica degli automezzi elettrici, domani destinati a scambiare con la rete fornendo servizi e potenza. Se l’auto elettrica dovesse conoscere una crescita forte si porrebbe inoltre un tema di enorme potenziamento della rete. 

Ultima grandissima novità la nascita delle comunità energetiche. Per le quali sono indispensabili le conoscenze relative alle utenze che stanno oggi a valle delle cabine secondarie, domani magari anche di quelle primarie, e anch’esse destinate a scambiare con la rete servizi essenziali.

Anche in questo caso occorre evitare due cose: 1) che non siano disponibili tutti i dati necessari ad incrementare la domanda e 2) che una certa prudenza dell’attuale distributore non ritardi lo sviluppo dio questi soggetti destinati a erodergli i margini.

Una questione di apertura, dati e trasparenza

Competizione, big data, trasparenza on line, facilità d’uso, moltiplicazione degli utenti/produttori. Più tutto il mondo degli sviluppatori di applicazioni e di algoritmi che ancora si tengono lontani dal mondo elettrico, ma che prima o poi arriveranno rivendicando trasparenza e disponibilità dei dati. E probabilmente capaci di arricchire la conoscenza dei consumatori e dei fornitori di servizi.

Mancano a questo elenco le funzioni che può svolgere la domotica in collegamento con gli strumenti di misura e varie altre cose che basta immaginare.

La domanda per concludere è quindi: l’attuale forma di proprietà e di governance della rete è all’altezza di questa imponente evoluzione? O la sua origine puramente elettrica e il suo confinamento all’interno di aziende i cui interessi in molti punti confliggono con le migliori pratiche di apertura e trasparenza, nonché con gli interessi di una molteplicità di attori (non solo operatori elettrici) interessati alla mole di dati generati e al loro utilizzo, ne impongono invece un superamento?

È chiaro che chi scrive propende per questa ultima strada che può sommariamente trovare 3 diverse soluzioni (e diverse subsoluzioni).

3 diverse soluzioni, ma la scelta non può più essere rinviata a lungo

La prima. L’Autorità preposta aumenta la sua forza di regolazione inasprendo la separazione societaria, alzando muri veramente invalicabili fra le diverse attività dell’ex-monopolista, compreso il coordinamento operato dalla Corporate. Sottrae ad Enel la gestione dei clienti ancora protetti. Impone un salto tecnologico ad Enel e al Sistema Informativo verso la fruibilità e la gestione dei dati raccolti. A cominciare, ma non solo, dalla misura.

La seconda. La proprietà della rete e i relativi abbondanti flussi finanziari che ne derivano rimangono ad Enel, ma la gestione viene affidata ad un soggetto terzo, non scelto da Enel e completamente separato. Persino, vorrei dire, in positivo conflitto con l’azienda proprietaria.

La terza. La separazione proprietaria, oltre che societaria, con la cessione della rete ad un altro soggetto (Terna? CDP?), che faccia degli investimenti e della quantità e qualità dei servizi offerti il suo esclusivo core business. Varie soluzioni finanziarie possono essere studiate a questo proposito per salvaguardare gli interessi degli azionisti.

Una scelta non può essere rinviata a lungo. Se il PNIEC verrà attuato anche solo in parte ancora più la rete elettrica è destinata a svolgere funzioni di servizio pubblico aperto a molteplici attori. Sarebbe bene cominciare a riflettere. 


Chicco Testa è presidente di FISE Assoambiente


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Foto: Unsplash

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