Alberto Clô presenta i contenuti ENERGIA 4.20: Niente sarà come prima; Joe Biden e il clima: what else?; Il diavolo e l’acqua santa; Un’agenda climatica nell’interesse degli stakeholders
Niente sarà come prima
(…) Questa l’estrema sintesi dell’articolo di Romano Prodi sugli effetti e sulle grandi trasformazioni che sortiranno dalla pandemia sanitaria e da quella politica che ad essa si è associata. Trasformazioni nei rapporti di forza tra le grandi potenze, Cina e Stati Uniti in primis; nelle alleanze commerciali che sotto la regia della Cina si sono andate realizzando; nei limiti che la crisi sanitaria ha evidenziato nei processi di globalizzazione con la necessità di rimediarvi almeno parzialmente; nel riaccresciuto ruolo degli Stati nel governo delle economie; nei mutamenti che si avranno nel mercato del lavoro e nella giustizia distributiva. La risposta a molte di queste trasformazioni starà in un rinnovato rapporto di collaborazione tra Stati Uniti ed Europa, ora possibile dopo l’elezione di Joe Biden alla Presidenza degli Stati Uniti. L’ambito energia-clima ne potrà costituire, nelle parole di Enrico Letta, una delle nuove frontiere. Nella consapevolezza che la traumatica esperienza della pandemia ha portato al superamento anche in tema ambientale dei vecchi paradigmi (…).
Joe Biden e il clima: what else?
L’elezione di Joe Biden quale 46° Presidente degli Stati Uniti ha suscitato nell’establishment climatico, non solo americano, la speranza che dalla nuova Amministrazione venga un contributo sostanziale alla lotta ai cambiamenti climatici. (…) Nel suo articolo, Gaetano Di Tommaso, dell’istituto Science Po di Parigi, espone dettagliatamente le diverse azioni che la nuova Amministrazione potrebbe porre in essere con un semplice «colpo di penna» con effetti, tuttavia, di non breve periodo, per l’ampia autonomia che l’ordinamento federale degli Stati Uniti lascia agli Stati. Altra essenziale scelta della nuova Amministrazione sarà l’avvio del processo di rientro degli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi, nella duplice prospettiva di porre l’azione climatica al centro della politica estera americana (2) e di reinserire Washington in una rinnovata cornice di cooperazione internazionale, coagulando gli altri maggiori attori. Per riuscirvi, dovrà però recuperare una credibilità perduta operando con determinazione sul piano interno.
Il diavolo e l’acqua santa
Da tempo le rinnovabili elettriche sono al centro dell’interesse dei governi, dei regolatori, degli studiosi. Tutti ad arrovellarsi su due principali questioni, due facce della stessa medaglia. La prima è come favorirne la penetrazione (…). L’altra (…) per converso, come tutelarsi da questa penetrazione, fronteggiandone il punto debole: l’intermittenza. (…) Ne va dell’affidabilità dei sistemi elettrici di cui si è vista l’essenzialità dopo l’esplosione della pandemia (…) Non ultimo, per tutelare la concorrenza nei mercati, di cui è lecito dubitare considerando l’aumento, nel caso del nostro Paese, di un terzo dei prezzi dell’elettricità alle famiglie nello scorso decennio (6). Giovanni Goldoni nel suo approfondito saggio rileva la gran babele di analisi teoriche, esperienze, proposte avanzate su come fronteggiare la penetrazione delle rinnovabili, evidenziando le «principali trappole disseminate lungo il percorso della transizione». Due le sue principali conclusioni, niente affatto rassicuranti. Da un lato, che «sul piano operativo i sistemi elettrici reggono bene (la penetrazione delle rinnovabili, n.d.A.), mentre si stanno inceppando sul fronte degli investimenti». Quel che più conta. (…) Dall’altro lato, conseguenza del primo, che le cose «non procedono in coerenza con gli obiettivi della transizione e con i requisiti di affidabilità» (…). Da cui l’imprescindibile necessità di ridisegnarli in tempi rapidi, ma anche la grande difficoltà a farlo. Conciliare il diavolo (dei mercati) con l’acqua santa (delle rinnovabili) è compito improbo che si avviterà su sé stesso più si accentuerà la penetrazione di queste ultime. A metà strada sta il gas naturale, fonte un tempo da tutti ritenuta un necessario «ponte» nella transizione energetica (8), oggi a rischio di marginalizzazione se si darà pieno seguito al Green Deal della Commissione (…) e demonizzato da chi ne teme la concorrenza (9). A questa demonizzazione replica Ennio Macchi, professore emerito del Politecnico di Milano, che evidenzia: (a) l’ampio contributo che il gas ha dato/darà alla decarbonizzazione; (b) l’ineludibile funzione che ha assicurato/assicurerà all’affidabilità dei sistemi elettrici sopperendo all’intermittenza delle rinnovabili; (c) le potenzialità di sviluppo che interessano il gas, come le tecnologie di cattura dell’anidride carbonica e le resuscitate speranze sull’economia dell’idrogeno.
Un’agenda climatica nell’interesse degli stakeholders
Nello scorso numero evidenziammo come la transizione energetica non avesse fatto alcun passo in avanti(…). Da qui, l’opportunità di individuarne le ragioni e, insieme, le necessarie correzioni di rotta delle politiche sin qui seguite. (…) Al tema del «che fare» contribuiscono quattro articoli. Il primo, di G.B. Zorzoli, si sofferma sulla fattibilità del nuovo obiettivo indicato dalla Commissione europea di riduzione del 55% delle emissioni al 2030 (rispetto al precedente 40%) – obiettivo ripreso anche nella Lettera da Bruxelles di Valeria Palmisano Chiarelli, che fa il punto sulla voluminosa agenda della Commissione per il 2021 dopo la storica sottoscrizione di debito comune per uscire dalla crisi. La decisione di inasprire il target di riduzione delle emissioni di CO2 in Unione Europea è perfettamente speculare a quella della Germania, a conferma della lunga sudditanza, dai primi anni 1990, di Bruxelles agli interessi di Berlino (…). La ricaduta sulla nostra produzione elettrica del nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni sarà la moltiplicazione sino a sei-sette volte della crescita delle rinnovabili. Obiettivo ad oggi inverosimile data la loro attuale stagnazione. Ancora più difficile sarà rispettare le ricadute nel settore dei trasporti. Il secondo articolo, di Lorella Rossi, Guido Bezzi, Paolo Mantovi, Laura Valli, Stefano Bozzetto e David Chiaramonti, analizza il contributo che il settore agricolo può dare alla decarbonizzazione, catturando la CO2 con la fotosintesi e stoccandola nel suolo sotto forma di sostanza organica. L’agricoltura è quindi in una posizione unica come soggetto capace di catturare la CO2 e di trasformarla in un’ampia gamma di prodotti, soprattutto perché è una delle soluzioni già disponibili da cui potrebbero derivare esiti positivi anche nel brevissimo termine. Sarebbe opportuno nell’agenda del «che fare» concentrarsi su di esse, piuttosto che su azioni, comunque imprescindibili, dagli esiti incerti, molto più costose, di lunghissimo termine. Ci riferiamo allo sviluppo delle innovazioni tecnologiche da cui dipenderà massimamente la riduzione delle emissioni da qui a metà secolo. Su di esse si concentra l’articolo di Chiara Delmastro, Leonardo Paoli, Jacopo Tattini, ricercatori dell’Agenzia di Parigi che hanno contribuito al recente studio Energy Technology Perspectives 2020. Studio che dimostra come l’azzeramento delle emissioni nette sia impossibile senza includere nuove tecnologie oggi allo stadio di prototipo, dimostrativo, di prima adozione. L’intervento pubblico nel favorirle è imprescindibile, partendo dagli investimenti in R&S, necessitando però di una capacità di pianificazione che non è di tutti i paesi e di una collaborazione internazionale oggi mai così lontana. L’approccio al «che fare» non può che essere di tipo olistico e interdisciplinare, evitando di magnificare ogni singolo intervento senza aver conto della limitatezza delle risorse disponibili, dei tempi necessari per vederne gli effetti, della loro efficacia relativa. Magnificare, ad esempio, le teoriche potenzialità dell’idrogeno verde (…). Ed è proprio sul tema del «che fare» in materia di idrogeno, o meglio del «che non fare», il contributo di Giuseppe Zollino dell’Università di Padova (…). Dalle stime ad oggi effettuabili dei costi di produzione futuri delle diverse tonalità dell’idrogeno – grigio, blu, verde – si possono trarre importanti indicazioni per la politica industriale del nostro Paese, per colmare lo svantaggio competitivo con i nostri partner europei, per creare nuove competenze nazionali, per preservare eccellenze che altrimenti rischierebbero di affievolirsi. Come allocare le risorse è l’interrogativo dirimente. Tenendo a mente che obiettivo prioritario degli investimenti pubblici dovrebbe essere la massimizzazione degli interessi di lungo periodo degli stakeholders, ridurre le emissioni, e non quelli di breve periodo degli shareholders.
a.c.
Il post è un estratto della Presentazione (pp. 2-5) di Alberto Clô di ENERGIA 4.20
Puoi leggere la presentazione integrale scaricando il pdf
Per aggiungere un commento all'articolo è necessaria la registrazione al sito.
0 Commenti
Nessun commento presente.
Login