29 Dicembre 2020

L’enigma della sostenibilità\1: bella e profittevole, perché allora poche aziende fanno sul serio?

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Perché un’attività dichiarata redditizia come la sostenibilità non viene sfruttata dal business? Nonostante la pratica sia dichiarata vantaggiosa dalla maggioranza delle aziende, solo una minoranza ne intraprende il percorso. Stando alle risposte date da alti dirigenti al sondaggio Capgemini, la sostenibilità rappresenta un’opzione win-win: fa crescere il reddito, fa migliorare i rating, accresce il valore del brand e, in misura minore, si riducono i costi. Tuttavia, lo stesso sondaggio fa emergere una realtà opposta.

Perché un’attività redditizia non viene sfruttata dal business? Le risposte possibili sono tre: perché il business non la vede; perché il business la vede ma è lento e inefficiente; perché l’attività non è così redditizia come si dice. Nel primo e secondo caso la responsabilità del mancato sfruttamento è ascrivibile al business; nel terzo, la risposta del business è fisiologica e comprensibile.

Ma che dire di un’attività della quale il business decanta i vantaggi economici ma poi non la intraprende? Il business è contraddittorio? Schizofrenico? Oppure, piuttosto, il business fa buon viso a cattivo gioco? E che dire se poi l’attività in questione non è pienamente redditizia ma è comunque una via obbligata?

Parliamo della sostenibilità, e queste e altre domande sorgono nella mente del lettore quando legge il report di Capgemini “Powering sustainability. Why energy and utility company need to act now and help save the planet”.

Stando al sondaggio, la sostenibilità rappresenta un’opzione win-win, ma solo una minoranza delle aziende ne intraprende il percorso. Perché?

Lo studio si basa su 600 interviste ad executives di 300 compagnie energetiche o utility in 17 paesi. Per ogni organizzazione viene intervistato un business executive e un sustainability executive. I risultati principali dell’indagine possono essere riassunti come segue. Le iniziative di sostenibilità generano diversi benefici:

  • Incremento di revenue e di rating ESG (Environment, Social, Governance) per più del 60% delle compagnie intervistate.
  • Incremento del valore del brand e progresso in direzione degli SDG (Sustainable Development Goals) per circa il 60% delle imprese.
  • Riduzione dei costi operativi, incremento nel livello di motivazione dei dipendenti e crescita del grado di attrattività dei talenti (circa il 30%).

In parole moderne, stando alle risposte della survey Capgemini, la sostenibilità rappresenta un’opzione win-win: fa crescere il reddito, fa migliorare i rating, accresce il valore del brand e, in misura minore, si riducono i costi. Tuttavia, la stessa survey mette in rilievo come:

  • solo il 22% delle compagnie energetiche e il 27% delle utility giudica le proprie pratiche di sostenibilità mature;
  • il 93% di esse non dispone di target di riduzione delle emissioni coerenti con l’Accordo di Parigi;
  • solo il 6% delle aziende ritiene di essere sulla buona strada per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi;
  • solo il 3% ha target di riduzione delle emissioni associate al consumo dei propri prodotti (scope 3 emissions).

In altri termini, nonostante la pratica della sostenibilità sia dichiarata vantaggiosa dalla maggioranza delle aziende, solo una minoranza ne intraprende il percorso. Di qui, dunque, l’enigma della sostenibilità: apparentemente conviene, ma la sua seduzione non è irresistibile: la gran parte del business si tiene alla larga.

Interessante osservare la dicotomia tra grandi e piccole organizzazioni

A tal proposito è interessante osservare la dicotomia tra grandi e piccole organizzazioni: sono le prime ad essere più attive e intraprendenti, in alcuni casi definendo obiettivi e percorsi di riduzione delle emissioni, laddove le seconde sono meno dinamiche. Ad esempio, mentre il 58% delle organizzazioni con ricavi superiori ai 25 miliardi di dollari afferma che i propri target sono allineati agli SDG ONU, la percentuale scende al 41% per organizzazioni con ricavi inferiori ai 25 miliardi.

Al di là della differenza tra piccole e grandi aziende, tuttavia il quadro complessivo che emerge è quello di una fiacchezza di fondo nel perseguimento degli obiettivi di sostenibilità. La prova di tale astenia è nella lentezza nella predisposizione di pratiche e iniziative per l’abbattimento delle emissioni, siano esse dirette (scope 1), associate all’elettricità acquistata (scope 2), oppure associate al consumo dei propri prodotti da parte del pubblico (scope 3).

Le utility sono meno proattive delle energy companies

Come si può vedere dalla figura, la grande maggioranza delle organizzazioni non sta facendo nulla, soprattutto nel campo delle emissioni scope 3. Ed è interessante anche osservare come le utility, ad eccezione delle emissioni scope 3, siano meno proattive delle energy companies, forse a ragione della maggiore pressione che investe le seconde, portandole così ad un maggiore attivismo.

Riteniamo che il dato sul target di emissioni sia particolarmente significativo perché, in ultimo, è soprattutto nel campo dell’abbattimento del carbonio che si gioca il futuro della sostenibilità.

Al di là delle dichiarazioni patinate sulle virtù dello sviluppo sostenibile, l’esplicitazione di target di riduzione delle emissioni è la cartina di tornasole del volere andare fino in fondo, o meno, nel sentiero della transizione energetica. Non solo le imprese devono assumere target di abbattimento, ma devono anche definire un percorso puntuale di riduzione del carbonio che esse generano.

I target di riduzione delle emissioni sono quasi tutti di lungo periodo

Il report Capgemini approfondisce bene questo aspetto mostrando come, non solo le imprese con target di lungo periodo siano meno della metà, ma sono solo il 6% del totale quelle che esplicitano obiettivi di riduzione di breve periodo. Dunque, come prevedibile, dire che si intendono ridurre le emissioni tra tre o quattro decadi è, per quanto complesso – solo il 46% delle organizzazioni lo fa – molto più semplice rispetto all’esplicitare un percorso di conseguimento di quel target anche nel breve periodo.

In sintesi, siamo parecchio distanti da ciò che dovrebbe essere: la cartina di tornasole non cambia colore perché ancora ampio è lo iato tra il dichiarato – la sostenibilità è bella e profittevole – e i fatti.

Si torna alle domande poste all’inizio di questo articolo: perché se la sostenibilità è opzione win-win, poche aziende fanno sul serio?

(segue)


Enzo Di Giulio, economista e membro del Comitato Scientifico di «Energia»

Foto: PxHere

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