Crocevia di continenti e di culture, il Mediterraneo Orientale cela un enorme potenziale di opportunità ma anche di sfide. Cooperazione e conflitto che da millenni convivono in quest’area trovano oggi nuovo carburante nelle abbondanti riserve di gas naturale. Le speranze di una cooperazione mutualmente proficua per tutti gli attori resta un miraggio. Ne sono emersi invece due blocchi: l’alleanza Israele-Cipro-Grecia rafforzata dalla partnership tra Israele e Egitto, da una parte, e l’alleanza tra Turchia e Governo di Accordo Nazionale (GNA) libico forte della partnership tra Turchia e Russia, dall’altra.
La regione del Mediterraneo Orientale è un importante paradigma del doppio filo che lega energia e sicurezza, conflitto e cooperazione. Crocevia tra Europa, Medio Oriente, Africa, il Mediterraneo Orientale rappresenta un valore strategico assoluto in termini di estrazione, produzione, trasporto e, soprattutto, esportazione di gas naturale. Le riserve sono stimate in circa 3.000 miliardi di metri cubi, distribuiti in diversi giacimenti, principalmente in Egitto, Israele, Cipro.
Un teatro di opportunità: la vicinanza tra domanda e offerta in un’area circoscritta crea i presupposti per una più stretta cooperazione e una maggiore stabilità della regione, nonché per un’ulteriore diversificazione dell’approvvigionamento di gas per l’Unione Europea. Numerose, tuttavia, sono le sfide per uno sfruttamento mutualmente proficuo delle risorse, considerata l’elevata instabilità della regione e la presenza di paesi – Grecia, Turchia, Libano, Palestina, Siria, Libia – con interessi, obiettivi e identità diversi se non contrastanti. Alla precarietà delle politiche interne, alle dispute territoriali, alle tensioni e conflitti che ciclicamente si ripropongono, si devono aggiungere le più recenti crisi legate alla guerra in Siria, la frammentazione libica, una generale corsa al riarmo nella regione.
Non solo attori regionali
Una delle peculiarità della sicurezza energetica è di valicare confini. La sua natura è trasversale. L’interazione tra paesi produttori/esportatori, consumatori e di transito comporta la partecipazione non solo degli attori regionali direttamente coinvolti, ma anche di soggetti internazionali terzi i cui interessi, direttamente o meno, sono chiamati in causa:
- l’Unione Europea, interessata a ridurre la dipendenza dalle forniture russe a fronte del crollo della sua produzione interna;
- la Russia, tesa a rafforzare la propria presenza in una regione emergente dal punto di vista energetico e a proteggere la Repubblica di Cipro – una delle mete predilette dai russi quanto a capitali e investimenti – dall’aggressività crescente di Ankara;
- gli Stati Uniti, considerati i forti legami con Israele e l’obiettivo di Washington di promuovere una minor dipendenza europea dal gas di Mosca favorendo al contempo l’esportazione del proprio GNL in Europa.
Rispetto alla disponibilità totale di gas nell’area (di cui 850 miliardi di metri cubi nel solo giacimento egiziano di Zohr), non è ancora chiaro quanto della produzione verrà destinata all’export e quanta al consumo domestico. Ciò che è certo, è che i giacimenti aprono nuove prospettive per i paesi rivieraschi del Mediterraneo Orientale sia in termini di minor dipendenza energetica che di possibilità di ricavi derivanti dall’export.
Il caso dell’Egitto
In questo senso è istruttivo il caso dell’Egitto. Detentore delle maggiori riserve di gas dell’area e con l’ambizione di proporsi come hub energetico regionale, Il Cairo ha visto aumentare la produzione di gas a 65 miliardi nel 2019: ammontare che gli ha consentito di raggiungere l’autosufficienza, senza tuttavia rinunciare al redditizio export tramite gli impianti di liquefazione di Idku e Damietta.
Nonostante le potenzialità, vincoli economici e tensioni politiche restano un ostacolano allo sviluppo energetico della regione e a una maggior cooperazione. Quanto ai primi, affinché le attività di ricerca ed estrazione del gas siano commercialmente praticabili, i prezzi del petrolio – sui quali continuano ad essere indicizzati quelli del gas – dovrebbero tornare ad aggirarsi intorno ai 70/80 dollari al barile, contro i 53 medi dello scorso anno e gli attuali 40/45.
Le tensioni politiche, invece, riguardano anzitutto la definizione e la difesa dei confini marittimi e di Zone Economiche Esclusive (ZEE) per reclamare diritti di sovranità territoriale e, quindi, sfruttare i giacimenti già esplorati e assicurarsi quelli ancora da scoprire.
La presenza di due paesi membri dell’UE (Cipro e Grecia) ha comportato l’intervento di Bruxelles a favore dei loro diritti sui giacimenti che si trovano nelle rispettive ZEE, contrastando l’atteggiamento della Turchia che non intende riconoscere l’esclusività di Atene e Nicosia su ampi blocchi offshore ricchi di riserve.
Non meno significativa è la dipendenza energetica dei territori palestinesi da Israele, con Tel Aviv che impedisce lo sfruttamento del piccolo giacimento Mari-B a largo delle coste di Gaza per timore che eventuali introiti derivanti dall’esportazione di gas possano essere usati contro Israele.
L’emergere di due blocchi
Il quadro è reso ancora più complicato dalla convergenza di interessi e dall’intreccio di politiche che hanno portato alla formazione di alleanze e partnership strategiche tra i più importanti attori della regione. In particolare, due blocchi sono emersi: il primo, composto dall’alleanza tra Israele, Cipro e Grecia e dalla partnership tra Israele e Egitto; il secondo, dall’alleanza tra Turchia e Governo di Accordo Nazionale (GNA) libico e dalla partnership tra Turchia e Russia.
Il fulcro della prima alleanza è la costruzione del gasdotto EastMed, che garantisce ai due Stati Membri dell’UE un solido e tecnologicamente avanzato alleato in cambio di un accesso privilegiato del gas israeliano nel mercato europeo, rappresentando anche un importante contrappeso alle politiche sempre più assertive e revisioniste della Turchia nella regione. L’allineamento tra Tel Aviv e il Cairo è, invece, il risultato di un razionale calcolo costi-benefici: Israele dispone di gas da mettere sul mercato, ma ha infrastrutture ancora poco sviluppate, mentre il Cairo, con un mercato e una popolazione in crescita, vuole assicurarsi più forniture di gas possibile, disponendo degli impianti di liquefazione di Idku e Damietta utili all’export israeliano.
Nell’altro blocco, l’accordo tra al Sarraj e Erdogan sui confini marittimi, non riconosciuto internazionalmente, ha assicurato al GNA un importante supporto militare nello scontro col Generale Haftar, consentendo ad Ankara di partecipare all’estrazione e alla gestione delle risorse nelle acque definite dall’accordo, ma anche in futuro di frenare l’esportazione di gas diretto verso l’Europa attraverso il progetto EastMed, da cui la Turchia è stata esclusa. Infine, nonostante Mosca consideri Erdogan una minaccia ai propri interessi nel Mar Caspio, la loro partnership rappresenta per il Cremlino una via di transito per il proprio gas alternativa a quella ucraina (attraverso il gasdotto TurkStream), mentre per Ankara significa il riconoscimento del suo ruolo chiave nelle dinamiche di approvvigionamento europeo, oltre che consistenti ricavi per il transito e contratti più convenienti per la fornitura di gas russo.
In conclusione, le riserve di gas del Bacino del Levante sono ragione di cooperazione ma anche di deterioramento dei rapporti all’interno della regione.
Gabriele Ghio è analista di geopolitica dell’energia.
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Foto: PxHere
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