21 Dicembre 2020

Recensione – The New Map: Energy, Climate and the Clash of Nations

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La recensione dell’ultimo libro di Daniel Yergin, già premio Pulitzer con “The Prize: The Epic Quest for Oil, Money, and Power” (Simon & Schuster, 1991) e di altri importanti volumi come “The Quest: Energy, Security, and the Remaking of the Modern World” (Penguin, 2011) e “he Commanding Heights: The Battle Between Government and the Marketplace That Is Remaking the Modern World” con Joseph Stanislaw (Simon & Schuster, 1998)

Nel suo ultimo libro, Daniel Yergin racconta come stanno cambiando gli equilibri geopolitici dell’energia. Da un lato, le tensioni tra nazioni con le loro economie, le loro capacità militari e la loro geografia; dall’altro, l’energia con il peso del petrolio, del gas, del carbone, dell’eolico, del solare, del nucleare. Ma soprattutto, la politica che prova a «riordinare» il sistema energetico mondiale verso un mondo a zero emissioni di anidride carbonica.

In questo nuovo mondo potenziale la Cina emerge vittoriosa mentre, nel lungo periodo, a perdere saranno quelli che oggi sono i più grandi esportatori di petrolio, dalla Russia al Medio Oriente. Anche se per i prossimi dieci-venti anni saranno loro a trarne forti benefici.

La transizione energetica si farà. È fuori ogni dubbio, ma, avverte Yergin, occorrerà tener conto anche degli enormi debiti che i governi hanno e stanno accumulando nel 2020 per combattere le conseguenze sanitarie ed economiche causate dal coronavirus. Nella primavera del 2020 le stime basate sui paesi OCSE indicavano di aver già accumulato 17 trilioni di dollari di debito per far fronte alla crisi.

Rispetto alle economie sviluppate, nei paesi in via di sviluppo senza accesso all’energia la transizione energetica assume un significato diverso

Parlare di transizione energetica può assumere significati completamente diversi a seconda del contesto: in un paese in via di sviluppo come l’India, dove centinaia di milioni di poveri non hanno ancora accesso all’energia, non ha lo stesso significato che in Germania o nei Paesi Bassi. Ad oggi, oltre l’80% delle persone nel mondo non ha mai preso un aereo. Il flight shaming (vergogna di volare) ha un senso in Svezia con i suoi 10 milioni di abitanti, ma intanto, sottolinea Yergin, la Cina con i suoi 1,4 miliardi di abitanti sta costruendo otto nuovi aeroporti all’anno.

La Cina oggi è il più grande produttore mondiale di acciaio (quasi il 50%), alluminio e computer, nonché delle terre rare necessarie per i veicoli elettrici e le turbine eoliche. In un periodo di tre anni (2011-2013) la Cina ha consumato più cemento di quanto ne abbiano consumato gli Stati Uniti nell’intero ventesimo secolo. Detiene riserve estere per un totale di 3 trilioni di dollari, circa un terzo del debito pubblico degli Stati Uniti. Sta sviluppando una classe media e un mercato interno. Nel 2000 sono state vendute in Cina 1,9 milioni di auto, 17,3 milioni negli Stati Uniti. Nel 2019 in Cina erano 25 milioni, mentre 17 milioni negli Stati Uniti.

Secondo Yergin, la Cina è proiettata a diventare la più grande economia del mondo. Si sta espandendo geograficamente, militarmente, economicamente, tecnologicamente e politicamente. La fabbrica del mondo è oggi impegnata a risalire la catena del valore per diventare il leader globale nelle nuove industrie di questo secolo, soprattutto quelle legate alla transizione energetica. Ma la Cina è il principale acquirente del petrolio che parte dal Golfo Persico e attraversa lo Stretto di Hormuz. La maggior parte delle importazioni dal Medio Oriente o dall’Africa passa attraverso lo stretto Stretto di Malacca che si estende fino al Mar Cinese Meridionale. Questo rappresenta una fragilità per il dragone: importa circa il 75% del petrolio di cui ha bisogno. Dal 1993 è di fatto diventato importatore netto di petrolio. Nei primi anni Duemila il timore di un picco di offerta di petrolio destava non poche preoccupazioni. Quando nel 2003 gli Stati Uniti invasero l’Iraq la tensione era evidente: il Presidente cinese Hu Jintao iniziò a parlare del «Dilemma di Malacca».

La Cina importa circa il 75% del petrolio di cui ha bisogno ma detiene la maggior parte dei metalli impiegati nella costruzione di veicoli elettrici e le turbine eoliche

Se la Cina ha un futuro brillante con la transizione, per gli Stati Uniti ciò non è così scontato (Biden permettendo). Anche se in realtà negli Stati Uniti la transizione (grazie allo shale) è già iniziata. Nel 2007 il carbone generava la metà dell’elettricità americana; nel 2019 era sceso al 24% e il gas naturale era salito al 38%. Questo è stato il motivo principale per cui le emissioni di anidride carbonica (CO₂) degli Stati Uniti sono scese ai livelli dei primi anni Novanta, nonostante il raddoppio dell’economia americana.

Ma è l’Europa ad essere leader sul tema della transizione, sebbene produca meno CO₂ di Stati Uniti e Cina, che insieme sono responsabili di oltre il 40% delle emissioni globali. Il Green Deal europeo ha messo sul piatto le risorse finanziarie per l’eolico, il solare, l’idrogeno. In prima linea c’è la Germania, che grazie alla sua Energiewende (transizione energetica) ha fornito ampi sussidi per lo sviluppo eolico e solare. Anche se in realtà, osserva Yergin, i sussidi tedeschi sono finiti indirettamente alle società produttrici di pannelli cinesi, diventando così i fornitori a più basso costo nel mondo. Nel 2019, il 33% dell’elettricità tedesca proveniva da fonti rinnovabili.

L’Europa è leader nella transizione energetica, ma USA e Cina insieme sono responsabili di oltre il 40% delle emissioni globali

In Europa, il gas gioca oggi ancora un ruolo di primo piano con circa il 25% del consumo di energia. Ciò significa che il gas russo, pari a circa il 35% del consumo totale di gas, fornisce il 9% dell’energia complessiva. La più grande fonte di gas è domestica, in gran parte proveniente dal giacimento di Groningen nei Paesi Bassi e dal Mare del Nord (Regno Unito). La Norvegia, sebbene non sia membro dell’Unione Europea, è fortemente integrata economicamente e copre il 24% del fabbisogno di gas dell’Unione. Inoltre, circa il 9% proviene dal Nord Africa, principalmente dall’Algeria. Tuttavia, i giorni del giacimento Groningen sono contati: servirà altro gas. Potrebbe arrivare via tubo o GNL, dall’Azerbaigian, da Israele e Cipro, ma anche dalla Russia.

Auto contro auto. È una battaglia tra tecnologie, modelli di business e market share. Benzina e gasolio da un lato, elettriche dall’altro. Di proprietà o in condivisione. Guidate ancora dal conducente o a guida autonoma.

Conclude Yergin: il cambiamento avviene, ma non dall’oggi al domani. L’elettricità avanza e il petrolio non è più il re incontrastato nel trasporto automobilistico. Ma per qualche tempo a venire lo sarà ancora.


Daniel Yergin
The New Map: Energy, Climate and the Clash of Nations
Penguin Press, New York, 2020, pp. 512


Raffaele Perfetto è manager e analista del settore energetico

Foto: Unsplash

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