7 Gennaio 2021

Evoluzione della finanza: una crescita in linea con la transizione?

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La finanza sta davvero diventando più green? Con quali strumenti? Ma soprattutto, con che ritmo? Perché nella lotta ai cambiamenti climatici il tempo è un fattore cruciale. Su ENERGIA 3.20, di cui proponiamo un estratto, Enzo Di Giulio e Stefania Migliavacca presentano un’approfondita analisi dell’andamento degli investimenti sostenibili, per capire se è possibile scorgere segnali di transizione verso un’economia mondiale più verde.

L’analisi che presentiamo fa parte di un più ampio studio condotto da Enzo di Giulio e Stefania Migliavacca su ENERGIA 3.20. Attraverso indagini quantitative, l’articolo si muove alla ricerca di una qualche evidenza che l’economia mondiale stia procedendo lungo il percorso di transizione energetica. Dopo aver esaminato come (non) è cambiata l’intensità carbonica negli ultimi trent’anni, l’esame si concentra sull’andamento della finanza sostenibile.

“(…) Sebbene la transizione fino ad oggi sia stata lenta, se si riuscirà a dimostrare che è in atto uno spostamento vigoroso degli asset dell’economia mondiale, e degli investimenti, verso attività green, allora si potrà concludere che, effettivamente, il transatlantico ha cominciato a modificare la sua rotta e che la velocità di tale cambio di direzione, oggi lento, diverrà in pochi anni straordinariamente veloce.

Comprendere dove stia andando la finanza mondiale e quale spazio stiano conquistando gli asset e gli investimenti sostenibili – useremo qui green e sostenibili come sinonimi – è importante per almeno tre ragioni: in primo luogo per capire se effettivamente, al di là delle dichiarazioni di intenti del Green Deal europeo e di Larry Fink, CEO di BlackRock, la più grande società di investimento del mondo, vi sia una crescita sensibile della finanza green.

In secondo luogo perché, al di là del cambio di direzione, sarebbe utile pervenire a una metrica degli investimenti sostenibili che consenta di misurare l’entità e la velocità dello spostamento dei fondi verso i business low carbon.

In terzo luogo perché, una volta in possesso di una metrica, è possibile fare qualche analisi di scenario che possa gettare luce sulla trasformazione in atto e sui suoi tempi. Nella questione climatica, infatti, ciò che è in discussione non è tanto il verificarsi di una transizione energetica e di una trasformazione della finanza mondiale quanto la loro velocità rispetto al cambiamento climatico. La domanda chiave rimane la seguente: faremo in tempo?

Se fosse in atto uno spostamento vigoroso degli investimenti verso attività green, il ritmo della transizione diverrebbe in pochi anni straordinariamente veloce

(…) Esistono numerose stime in merito alla dimensione degli investimenti necessari per realizzare uno scenario di futuro sostenibile, molto variabili a seconda delle assunzioni e di come questo scenario venga definito: il G20 Green Finance Study Group (GFSG 2016) ritiene che per realizzare i Sustainable Development Goals (gli SDGs) servirebbero tra i 5 e i 7 trilioni di dollari all’anno, mentre UNCTAD (2014) stima necessari almeno 2,5 trilioni all’anno tra il 2015 e 2030. Limitando invece le ambizioni ai soli obiettivi di Parigi (come citato anche da Alberto Clô nel suo articolo pubblicato su questo stesso numero di «Energia»), potremmo cavarcela con un fabbisogno tra 1,6 e 3,8 trilioni di dollari all’anno da qui al 2050 (IPCC 2018), mentre il Sustainable Development Scenario (SDS) del World Energy Outlook (IEA 2019b), per il solo settore energetico parla di un investimento medio annuo di 2,7 trilioni tra il 2019 e il 2030, che salgono a 3,9 trilioni di euro dal 2031 al 2050, concentrati in modo crescente negli usi finali e nel settore elettrico.

Per un futuro sostenibile, anche se l’importo dell’investimento necessario non è condiviso dagli analisti, occorre individuare con certezza il punto di partenza

Partendo da considerazioni tanto incerte sull’ammontare di impegno finanziario richiesto, proviamo a delineare lo stato dell’arte di questi investimenti e il trend della finanza sostenibile. Ricordiamo infatti che nell’articolo 2 dell’Accordo di Parigi sono sintetizzati i tre obiettivi principali dell’intesa: primo, limitare l’aumento delle temperature; secondo, aumentare le misure di adattamento al cambiamento e climatico; terzo, reindirizzare i flussi finanziari in coerenza con gli obiettivi climatici «making finance flows consistent with a pathway towards low greenhouse gas emissions and climate-resilient development» (Articolo 2.1c).

Non esiste in letteratura una definizione rigorosa di climate finance (…). La difficoltà deriva in parte dal fatto che la finanza green è un insieme eterogeneo includendo diversi prodotti (azioni, bond, investimenti in infrastrutture, pubblici e privati) e settori: dagli impianti di rinnovabili alla conversione edilizia, dal risparmio di risorse alla protezione della biodiversità fino alla gestione dei rifiuti. Volendo dare una dimensione quantitativa agli investimenti sostenibili, adottiamo la definizione di Climate Policy Initiative (CPI 2019) di «capital flow s directed towards low carbon and climate resilient development interventions with direct or indirect greenhouse gas mitigation or adaptation benefits». In base a questa definizione, CPI ha pubblicato uno dei pochi report quantitativi (CPI 2019) secondo cui il flusso di investimenti green è stato pari a 546 miliardi di dollari, con un incremento del 25% tra la media biennale 2015-2016 e 2017-2018 (Fig. 5). L’aumento si concentra geograficamente in Nord America e Asia Orientale e nello specifico settore trasporti([1]).

Il flusso di investimenti green è stato pari a 546 miliardi di dollari, con un incremento del 25% tra la media biennale 2015-2016 e 2017-2018

Concentrandosi invece sul settore di destinazione dell’investimento, sicuramente le misure di mitigazione (riduzione delle emissioni) sono la destinazione principale, verso cui fluisce oltre il 90% degli investimenti, di cui il 63% in generazione da fonti rinnovabili seguita dal settore dei trasporti per il 27%. Alle misure di adattamento (adeguamento dei sistemi naturali o umani per ridurre i danni dei disastri climatici) confluiscono invece meno del 10% degli investimenti, principalmente per progetti di gestione delle acque (Fig. 6).

(…) Valutare questi trend non è facile: ovunque si leggono titoli entusiastici sulla crescita degli investimenti green ma è molto complesso capire se, rispetto alle intenzioni dichiarate, si tratta di una crescita rapida o meno, e soprattutto se è «abbastanza» rapida per portarci in linea con l’obiettivo dei 2°C”.


Il post è tratto dall’articolo Quanto è green la finanza mondiale? (pp. 24-35) di Enzo Di Giulio e Stefania Migliavacca pubblicato su Energia 3.20


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Foto: Unsplash

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[1] La provenienza degli investimenti risulta divisa quasi a metà tra pubblico (44%) e privato (56%), mentre la destinazione è per il 59% un soggetto privato, per il 12% un soggetto pubblico, per il 3% una public-private partnership, rimanendo non identificato nel 26% dei casi.


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