In un articolo pubblicato su ENERGIA 3.20, Roberto Cardinale (American University in Cairo) aveva anticipato quel che molti analisti ritenevano improbabile, cioè che dopo i bassi livelli registrati negli ultimi anni, i prezzi del gas in Europa sarebbero tornati a salire. Perché la liberalizzazione non è un fattore sufficiente a generare un cambiamento strutturale che assicuri prezzi bassi e stabili nel lungo periodo. Il racconto della liberalizzazione del mercato del gas nel Regno Unito può aiutarci a interpretare l’attuale impennata dei prezzi in Europa, che resta fortemente dipendente dalle importazioni.
A fronte di numerose analisi che nel periodo della pandemia (e in precedenza) suggerivano probabile uno scenario di prezzi del gas ai minimi come fattore strutturale e di non ritorno, Roberto Cardinale già a settembre su ENERGIA 3.20 suggeriva invece che molto probabilmente i prezzi sarebbero tornati a salire in un’Europa povera di gas. Da un lato, per via di un livello di investimenti upstream minimo da circa sei anni, che si traduce in minore capacità produttiva a livello mondiale. Dall’altro, per via della naturale ripresa della domanda in un periodo post-pandemia, e della lenta crescita delle rinnovabili nel breve termine.
Da quell’articolo abbiamo estratto alcuni passaggi che ripercorrono la liberalizzazione del mercato del gas nel Regno Unito. Una storia che può aiutare a comprendere le attuali dinamiche del mercato europeo, in particolar modo la recente impennata dei prezzi dell’energia, ritenuta improbabile per molti analisti fino a qualche mese fa.
La storia della liberalizzazione del mercato del gas nel Regno Unito può spiegare l’impennata dei prezzi in Europa
“(…) Così come in altri settori dell’economia, il Regno Unito è stato il primo paese europeo ad intraprendere un processo di liberalizzazione nel mercato del gas e a concluderlo nel più breve lasso di tempo. Il primo passo fu intrapreso con il Gas Act del 1986 (5), che decretava la privatizzazione di British Gas e l’istituzione dell’autorità di regolamentazione Office of Gas Supply (Ofgas) e del Gas Consumers Council al fine di regolarne il monopolio (6).
Dai primi anni Novanta, British Gas plc fu indotta da Ofgas e dall’Office of Fair Trading a ridurre le sue vendite all’ingrosso e al dettaglio a una soglia massima di poco più di 70 mila kilowatt l’anno (Heather 2010). Ciò comportò che parte del gas prodotto nell’upstream interno o importato da British Gas plc doveva essere venduto ai nuovi concorrenti nella distribuzione. Negli stessi anni fu portato a termine il disegno che aveva previsto una riorganizzazione in vista di dismissioni di parte dell’azienda (7). Fu il Gas Act del 1995 a tradurre tale programma in legge e a definire in maniera più dettagliata come il processo di unbundling avrebbe portato a una piena liberalizzazione del mercato del gas (8).
Negli anni Novanta parte del gas prodotto nel Regno Unito o importato dalla Compagnia nazionale doveva essere venduto ai nuovi concorrenti nella distribuzione
L’introduzione del Network Code nel 1996 sanciva il completamento della transizione, almeno al livello regolatorio, verso il modello di mercato liberalizzato. Infatti, tale norma istituiva un sistema di allocazione di capacità all’interno della rete che non fosse discriminatorio verso alcuni operatori. Ne conseguì una riduzione progressiva della quota di mercato di British Gas plc, che dal 1990 al 1996 diminuì di quasi il 70%, e cioè dal 97% al 29% (Price 1997). Il numero degli operatori nel mercato all’ingrosso aumentò da 15 a più di 50 nel biennio 1995-1997. La quota delle transazioni a breve termine, incluse quelle giornaliere, aumentò notevolmente grazie a un differenziale di prezzo di circa 30% rispetto ai contratti di lungo termine, che vennero presto allineati al ribasso per non perdere quote di mercato (Heather 2010).
L’erosione della quota del monopolista, la comparsa di numerosi operatori concorrenti: nel 1996 il Network Code stabilisce il completamento del mercato concorrenziale
Il processo di liberalizzazione fu effettivamente accompagnato da una progressiva riduzione dei prezzi del gas venduto sia all’ingrosso che al dettaglio. Per i consumatori industriali, la media nazionale si era dimezzata da circa 4,3 a 2,1 euro/gigajoule (GJ) dal 1991 al 1996, quando le riforme furono completate (Fig. 1). Diverso era il trend nei prezzi degli altri principali mercati del gas in Europa in quegli anni, molto indietro rispetto al Regno Unito quanto a liberalizzazioni (9).
Tuttavia, per fornire un quadro più completo dei fattori che hanno influenzato l’andamento dei prezzi nel Regno Unito dagli anni delle riforme, è necessario prendere in considerazione l’andamento nei livelli di offerta e lo sviluppo infrastrutturale. In particolare, è possibile notare che la netta diminuzione dei prezzi negli anni Novanta corrisponde ai periodi di maggiore sfruttamento delle risorse nazionali nel Mar del Nord con un raddoppio della produzione interna da 2 milioni terajoule (mil. TJ) nel 1991 a un picco di 4,5 mil. TJ nel 2000. Da allora i livelli di produzione sono tornati a diminuire, assestandosi intorno ai 1,5 mil. TJ l’anno (IEA 2020b).
I prezzi in effetti calarono negli anni Novanta, anche in relazione alle maggiori risorse estratte nel Mar del Nord
Le riforme della liberalizzazione hanno favorito maggiori livelli di produzione interna, in quanto potenziali investitori nell’upstream britannico poterono trarre beneficio dalla presenza di un più ampio ventaglio di acquirenti di gas nel downstream e dalla liberalizzazione del mercato elettrico, che consentiva di approvvigionare anche centrali termoelettriche. In altre parole, la liberalizzazione permetteva [alle imprese operanti nell’upstream] di vendere il gas estratto a prezzi [potenzialmente] più alti di quelli tradizionalmente imposti dall’acquirente unico British Gas”.
In realtà, in un primo momento, l’ingresso di nuovi operatori non avvantaggiò tanto i profitti delle imprese upstream, quanto i consumatori finali, che beneficiarono dai prezzi al ribasso praticati dai nuovi operatori downstream desiderosi di sottrarre quote di mercato al vecchio monopolista British Gas. Quest’ultimo si trovò ad affrontare forti perdite a causa dell’obbligo di onorare contratti di lungo termine che imponevano l’acquisto di quantità di gas che sarebbero rimaste invendute, a causa della perdita di quote di mercato imposta dai nuovi regolamenti; i contratti di approvvigionamento di British Gas prevedevano inoltre prezzi superiori rispetto a quelli praticati ai nuovi operatori tramite il mercato spot, in caduta rispetto ai prezzi pre-liberalizzazione. Ma appena negli anni Duemila le riserve hanno cominciato ad assottigliarsi, i prezzi hanno ricominciato a salire, avvicinandosi ai livelli europei.
“(…) Negli anni Duemila vi fu un’impennata dei prezzi, che nel caso dei consumatori industriali passarono dal livello minimo storico di 2,1 euro/GJ del secondo semestre del 1996 ai 5,7 del 2002 fino ai quasi 11 del 2007. La diminuzione dell’offerta e la crescita dei prezzi vennero accompagnate anche da una notevole diminuzione delle transazioni di breve termine (10)”.
Lo sviluppo della produzione interna, più che la liberalizzazione, fu quindi il fattore chiave della caduta dei prezzi, che infatti tornarono a salire negli anni 2000, quando le riserve del Mar del Nord cominciarono ad assottigliarsi
Il modello regolatorio basato su deregolamentazione e competizione di mercato mostrò minore efficacia non appena la produzione interna dovette essere sostituita con crescenti importazioni, che furono rese possibili grazie alla realizzazione dei gasdotti sottomarini UK Interconnector nel 1998 e Langeled Pipeline nel 2006, che collegano il Regno Unito al Belgio e alla Norvegia. Da questo punto in poi, il Regno Unito si trovò assorbita dalle dinamiche nei prezzi dei mercati europei, che a quei tempi tendevano al rialzo per via di una domanda in crescita e di livelli di produzione sempre minori, oltre che di un boom nei prezzi del petrolio (al quale i contratti di lungo-termine europei per l’importazione di gas erano ancorati). Gli effetti positivi della competizione tra fonti domestiche ed europee risultavano avere un’incidenza sui prezzi minore rispetto alla pressione al rialzo esercitata dalla scarsità di offerta (a livello inglese ed europeo).
Negli anni 2010 il mercato ha registrato una condizione di abbondanza e un abbassamento dei prezzi
“(…) La presenza di queste infrastrutture e la posizione geografica favorevole tra le rotte di trasporto del gas che collegano il Nord e il Sud dell’Europa hanno permesso negli anni 2010 un ritorno a una condizione di abbondanza e un abbassamento dei prezzi”.
Sebbene l’alto livello di competizione che ormai da anni caratterizza il mercato inglese abbia sicuramente giocato un ruolo, il ritorno a prezzi bassi fu reso possibile grazie a un eccesso di offerta a livello europeo (generato tramite importazioni) e mondiale. Tuttavia, l’aumento dei prezzi negli ultimi mesi conferma ancora una volta che gli assetti regolatori basati sulla liberalizzazione non siano sempre ideali a garantire prezzi bassi e sicurezza delle forniture. Molto dipende invece dai livelli di offerta prevalenti in un dato periodo.
Gli assetti regolatori basati sulla liberalizzazione non garantiscono di per sé prezzi bassi e sicurezza delle forniture
Come anche mostrato dal caso inglese, le liberalizzazioni possono solo garantire un successo a intermittenza se il loro effetto non sia quello di un cambiamento strutturale che generi abbondante produzione interna.
Il post presenta alcuni estratti dall’articolo Riflessioni sull’effetto delle liberalizzazioni sui prezzi del gas di Roberto Cardinale, pubblicato su ENERGIA 3.20, ed è stato elaborato con il contributo dell’autore
Roberto Cardinale è Assistant Professor presso il Dipartimento di Economia dell’American University in Cairo
Foto: Ming Jun Tan, Unsplash
Sui prezzi del gas naturale leggi anche:
Forte volatilità sui mercati del gas, di Gian Paolo Repetto, 20 Gennaio 2021
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