15 Gennaio 2021

Primum vivere, deinde philosophari

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Le recenti dinamiche mostrano i prezzi di petrolio e gas naturale in crescita. Una situazione paradossale ove i prezzi aumentano mentre la domanda cala o comunque è di molto inferiore a quella pre-crisi. Quattro le conclusioni che possono trarsi. Ma molto dipenderà da come evolverà la crisi sanitaria e con essa la domanda di energia. Sul fronte petrolifero, se il gap domanda/offerta dovesse ampliarsi, si rischierebbe un’impennata dei prezzi. Una possibilità che i governi non dovrebbero sottovalutare. Perché guardare alla transizione energetica è importante e prioritario, ma non lo è di meno arrivarci vivi. 

Tutti presi a scrutare all’orizzonte la luce del dopo-petrolio e dopo-metano ci siamo quasi dimenticati di queste fonti, quasi fossero già fuori dal nostro cruscotto energetico. Per poi sorprenderci che la dinamica dei prezzi interni – dei carburanti, dell’elettricità, del metano – dipenda dai loro prezzi internazionali.

Quelli del petrolio sulla borsa londinese del Brent dopo essere precipitati dai circa 70 dollari al barile di inizio 2020 ai 20 doll/bbl di fine aprile (quelli effettivi sono stati di molto inferiori) sono risaliti a fine anno a 51 e nei giorni scorsi a circa 57. Un guadagno in due mesi di circa il 33%.

Ancor più eclatante la curva dei prezzi del metano. Quelli sulla piattaforma olandese TTF sono passati da 11,9 euro/MWh di inizio 2020 a minimi di 3 a fine maggio per balzare di sei volte a 19 a fine anno e segnare nei giorni scorsi 26 euro/MWh. Un balzo in due mesi dell’85%.

  I prezzi italiani del gas sono balzati del 182% in meno di un anno

Relativamente al nostro Paese i prezzi del metano sono passati dai 9,6 doll/MWh del marzo scorso agli attuali 27,1 doll/MWh con un balzo del 182%. Ne è derivato un sensibile aumento a inizio 2021 dei prezzi interni sia dell’elettricità che del metano. Una situazione paradossale ove i prezzi aumentano mentre la domanda cala o comunque è di molto inferiore a quella pre-crisi.

La situazione più sorprendente, imprevista e imprevedibile, si è avuta nei prezzi spot del GNL, normalmente considerato come fattore calmieratore dei prezzi. Ebbene nei giorni scorsi nel principale mercato mondiale, quello asiatico, i prezzi sono balzati da valori di poco superiore a 1 doll./MBtu ad aprile 2020 a livelli a gennaio di 30 doll./MBtu.

Negli stessi giorni i prezzi dell’elettricità in Giappone sono schizzati toccando il massimo storico di oltre 250 yen/Kwh contro la media di 6,5 nel 2020.

Quattro le conclusioni.

Primo: l’intero spettro dei prezzi energetici è ancora condizionato da quelli degli idrocarburi.

Secondo: le dinamiche nei sistemi energetici dipendono ampiamente da variabili fuori dal loro controllo.

Terzo: la volatilità e imprevedibilità dei prezzi rende il futuro talmente incerto da non potersi dare per scontata alcuna dinamica (come, ad esempio, la prevista crescita della domanda elettrica).

Quarto: aumenta la rischiosità degli investimenti riducendosi di conseguenza la propensione ad investire delle imprese.

Va da sé che molto dipenderà, variabile spesso sottaciuta, da come evolverà la crisi sanitaria, la diffusione dei vaccini, l’uscita dalla recessione. Se questo avverrà, quando avverrà, la domanda di energia potrebbe riprendere, anche se a livelli inferiori a quelli pre-crisi.

Si vedrà allora se l’impatto negativo che la crisi ha avuto sulla produzione di petrolio o di metano potrà essere riassorbito così da poter soddisfare la ripresa della domanda.

Le importazioni cinesi di petrolio hanno raggiunto nuovi massimi storici

Sebbene quella mondiale di petrolio sia ancora inferiore al livello del 2019 – ancorché non nell’area asiatica, con nuovi massimi storici di import del greggio in Cina – l’offerta vi resta inferiore, a motivo soprattutto dell’elevato rispetto dei paesi OPEC-Plus delle riduzioni tra loro concordate. Quel che spiega la pressione al rialzo dei prezzi.

Se, come previsto da molti centri, la domanda risalirà dai circa 92 mil.bbl/g del 2020 (100 nel 2019) a livelli oltre i 97 nel 2021 e terrà l’intesa tra paesi OPEC-Plus, i prezzi potrebbero – il condizionale è d’obbligo – consolidare la loro crescita, nonostante l’elevata capacità inutilizzata e le abbondanti scorte.

Solo i paesi OPEC-Plus e il drenaggio delle scorte potranno garantire nei mesi a venire un’offerta addizionale, data la sostanziale stagnazione di quella non-OPEC. Tutto dipenderà dalla capacità del duopolio Mosca-Riad di mantenere la disciplina nei paesi loro satelliti, fronteggiando le variabili che potrebbero minarla (aumento domanda, maggiori prezzi, nuova offerta da Iran e Libia, etc.).

Il punto dirimente, che abbiamo evidenziato più volte, è l’impatto già nei prossimi due-tre anni della minor offerta di petrolio dovuta al crollo degli investimenti upstream: dagli 800 miliardi di dollari nel 2014 ai 500 nel 2019 ai 328 (secondo la IEA) del 2020 ai 315 previsti nel 2021 (secondo Energy Intelligence).

Sia l’OPEC che la IEA ritengono che il gap tra produzione calante e domanda crescente possa ammontare nel 2022 a 27 mil.bbl/g e nel 2030 addirittura a 68 mil.bbl/g (PIW, Is Market Heading for Supply Crunch?, 8 gennaio 2021). Per colmarlo Deloitte stima siano necessari investimenti annuali per 525 miliardi di dollari. Quasi il doppio di quelli correnti.

525 i miliardi di dollari l’anno stimati da Deloitte per colmare il gap domanda-offerta

Non so se potrà avverarsi la previsione dei prezzi del petrolio formulata da JPMorgan di 190 doll/bbl da qui a qualche anno, ma anche solo una lontana possibilità che questo possa avvenire non dovrebbe essere sottovalutata dai governi del mondo.

Perché sarebbe in gioco la stabilità dell’intero sistema economico mondiale. Guardare alla transizione energetica è importante e prioritario, ma non lo è di meno arrivarci vivi.


Alberto Clô è direttore di ENERGIA e RivistaEnergia.it


Sul tema del petrolio, investimenti e transizione energetica leggi anche:

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Petrolio: ma quale accordo “storico”? , di Alberto Clô, 15 Aprile 2020
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Foto: pxhere.com


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