L’ascesa della questione climatica nell’agenda di governi e società civile ha attirato l’interesse dei mercati finanziari verso strumenti di debito “verdi”, volti a finanziare la transizione energetica e le tecnologie low-carbon. Ma come sta reagendo la finanza verde nel momento storico attuale segnato dalla tragedia della pandemia da COVID-19? Il 2020 ha mostrato una battuta d’arresto dei green bond e un exploit dei social bond: la pandemia ha suscitato l’interesse degli emittenti privati per progetti di mitigamento dei rischi sociali, mettendo di fatto in secondo piano quelli per la mitigazione climatica.
Le obbligazioni verdi o green bond sono strumenti di debito focalizzati su progetti di mitigazione dell’impatto ambientale e di efficientamento energetico. Un rapido recap su cos’è la finanza verde e quali strumenti utilizza si può trovare in un mio precedente commento. Hanno registrato nel corso dell’ultimo decennio una crescita esponenziale che li ha portati a superare, proprio di recente, il traguardo dei 1.000 miliardi di dollari emessi in totale da quando sono emersi nel 2007.
In questo 2020, stanno emergendo nuove priorità sociali, politiche, economiche a cui anche la finanza sostenibile si sta forzatamente allineando. La grande richiesta di capitali per affrontare l’emergenza sanitaria e finanziare la ripresa sembra stia ridimensionando il ruolo importante delle obbligazioni verdi in favore di nuovi strumenti.
2020: battuta d’arresto dei green bond, exploit dei social bond
Dopo un 2019 chiusosi largamente in positivo, con un aumento delle emissioni di green bond del 51% sul 2018 a 259 mld doll., nei primi sei mesi dell’anno, infatti, si è registrata una battuta d’arresto nelle emissioni di green bond con un calo del 26% sul pari periodo 2019.
Per contro, si è assistito ad un exploit dei social bond, obbligazioni sociali che finanziano progetti con obiettivi di cui beneficia la collettività quali il miglioramento della sicurezza alimentare, l’accesso all’istruzione e l’assistenza sanitaria. Nel caso dei COVID-19 social bond, si tratta di strumenti utili a trovare fondi per ridurre i rischi sociali derivanti dalla pandemia e per aiutare imprese ed enti territoriali a far fronte all’emergenza in corso.
La pandemia ha accelerato l’interesse degli emittenti privati per progetti di mitigamento dei rischi sociali, mettendo in secondo piano quelli per la mitigazione climatica
Secondo Morgan Stanley, nel solo mese di aprile sono stati emessi 32 miliardi di dollari tra obbligazioni sociali e di sostenibilità, superando per la prima volta il valore dei green bond emessi nello stesso periodo. La pandemia, infatti, ha accelerato l’interesse degli emittenti privati per progetti di mitigamento dei rischi sociali ad essa collegati, determinando l’aumento di strumenti idonei al loro finanziamento.
La crisi del COVID-19, insomma, non ha ridotto la preferenza degli investitori per gli investimenti sostenibili – che rispondono ai criteri ESG (Environmental, social and corporate governance) – ma li ha direzionati verso gli aspetti sociali e di governance – la parte “S” e “G” dell’acronimo – che riguardano specialmente il modo in cui rispondere all’emergenza pandemica in corso. Se questo sforzo di investimenti sarà sufficiente ad accelerare il processo di decarbonizzazione, però, è tutto da valutare.
Il mercato del debito sostenibile è una quota minoritaria nel mercato obbligazionario globale
Bisogna, infatti, considerare che il mercato del debito sostenibile rappresenta ancora una quota minoritaria nel mercato obbligazionario globale; pertanto, seppur è indubbio uno spostamento della finanza mondiale verso il settore green, il valore assoluto di questo mercato non induce a ritenere che sia in atto un definitivo cambio di direzione della finanza mondiale.
Guardando ai dati della decarbonizzazione, si arriva alla medesima conclusione. Un parametro su tutti è l’intensità carbonica dell’energia ovvero il rapporto tra la CO2 emessa e l’energia consumata. Se confrontiamo questo dato negli ultimi tre decenni, come hanno Enzo Di Giulio e Stefania Migliavacca su ENERGIA 3.20, emerge un quadro in sostanziale stallo con un rapporto pari a 2,39 nel 1990 che scende ad appena 2,32 nel 2018, facendo emergere la lentezza con cui sta procedendo la decarbonizzazione mondiale. Ancor più negativo l’andamento dell’intensità carbonica dell’elettricità addirittura aumentata del trentennio da 2,50 a 2,52, a dimostrazione di una mancata decarbonizzazione.
Occorre accelerare i tempi della transizione se si vuole dare risposte concrete ai problemi globali senza lasciare l’onere della loro risoluzione alle generazioni future. La pandemia che ruolo gioca in questo processo?
Da una parte, essa ha fatto emergere ancor più le criticità di carattere globale che richiedono necessariamente azioni concertate tra istituzioni e paesi. Inoltre, le misure di contenimento del virus e la recessione economica che ne è scaturita, determinando un calo della domanda di energia e un forte crollo dei prezzi del petrolio, stanno impattando notevolmente sulle prospettive del settore petrolifero globale. Questo momento storico potrebbe essere l’occasione per ripensare al rilancio dell’attività economica all’interno di un percorso di sostenibilità, permettendo così un’accelerazione della transizione energetica.
La neutralità carbonica richiede investimenti per 50.000 miliardi di dollari al 2050
Tuttavia, come evidenziano Ivan Faiella e Filippo Natoli sempre su ENERGIA 3.20, bisogna considerare che la crisi economica derivante dalla pandemia ha reso ancor più incerte le prospettive di investimento future, potendo costituire un ostacolo più che un trampolino per la decarbonizzazione. La neutralità carbonica, infatti, richiede investimenti per 50.000 miliardi di dollari al 2050 e una prolungata recessione globale potrebbero ostacolare questo processo.
C’è insomma ancora molta strada da fare e per ora la transizione energetica in corso non sembra assumere una dimensione tale da poter contrastare il cambiamento climatico in linea con le prescrizioni formulate dall’IPCC. Per contenere la crescita della temperatura mondiale almeno entro i 2°C, servono maggiori investimenti nelle tecnologie low-carbon e azioni congiunte della politica internazionale. D’altronde, a problemi globali corrispondono soluzioni altrettanto globali. Che è poi la lezione più importante che il virus ci sta insegnando.
Chiara Proietti Silvestri è ricercatrice presso Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche
Per ulteriori approfondimenti si rimanda alla newsletter del GME di ottobre 2020
Su finanza verde leggi anche:
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Quanto è verde la finanza mondiale?, di Redazione, 21 Settembre 2020
Covid: freno o turbo della transizione energetica?, di Redazione, 7 Settembre 2020
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Finanza verde: cos’è e quali strumenti utilizza, di Chiara Proietti Silvestri, 8 Ottobre 2019
Foto: Pixabay
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