Gli Stati dell’UE possono compensare tramite sussidio i settori a più alta intensità di uso di energia elettrica (electro-intensive undertakings). Al fine di prevenire i fenomeni di carbon leakage sono quindi consentiti dei programmi di aiuti pubblici. Una possibilità operativa dal 2013 e confermata per la fase IV dello schema ETS, inaugurata il 1° gennaio 2021. La regola generale prevede che gli Stati siano tenuti a spendere in questi aiuti non più del 25% degli introiti generati dalle aste dei permessi e a giustificare eventuali sforamenti. Un sistema che può apparire controverso, per il suo impatto sulle emissioni di CO2 e per le possibili distorsioni interne al mercato unico, tra paesi che adottano gli aiuti e paesi che non li adottano.
Gli Stati membri dell’Unione Europea possono – stando all’articolo 10a(6) della Direttiva ETS del 2003, poi emendata nel 2018 – compensare tramite sussidio i settori a più alta intensità di uso di elettricità per i maggiori costi sostenuti per l’acquisto dell’energia. Si tratta di un tema poco conosciuto se non del tutto assente nel dibattito italiano.
Il prezzo dell’energia è cresciuto sostanzialmente per via dell’andamento rialzista dei prezzi dei permessi di emissione (proprio mentre scriviamo toccano di slancio un nuovo record storico, a 40 €/tonn CO2e). Per queste imprese naturalmente si tratta di emissioni indirette (parte del cosiddetto Scope-2) e come tali sono trattate dalla normativa comunitaria. Le compensazioni sono appunto l’equivalente «indiretto» dell’allocazione gratuita dei permessi.
Le compensazioni sono appunto l’equivalente «indiretto» dell’allocazione gratuita dei permessi
Questa norma è parte delle più ampie disposizioni volte a prevenire i fenomeni di carbon leakage: le imprese coinvolte devono quindi far parte di settori esposti alla concorrenza internazionale proveniente da paesi con regolamentazioni sulle emissioni più blande o assenti, che non si traducono nei relativi oneri.
(La lettera della norma parla di “genuine risk of carbon leakage due to significant indirect costs that are actually incurred from greenhouse gas emission costs passed on in electricity prices”, che poi le curve di domanda nei vari settori coinvolti siano o no inelastiche, cioè che le imprese siano in grado o meno di trasferire l’aumento dei costi sui prezzi finali e siano o meno esposte alla concorrenza internazionale, non pare essere un fenomeno indagato dal legislatore comunitario.)
A scopo di compensazione sono consentiti quindi dei programmi di aiuti pubblici, che devono comunque soddisfare l’insieme di linee-guida stabilite dalla Commissione europea in merito alle sovvenzioni di Stato (ETS State Aid Guidelines) ed essere pre-approvati caso per caso dalla Commissione stessa.
La possibilità per i Paesi membri di concedere questi aiuti è operativa dal 2013 ed è stata confermata per la fase IV dello schema ETS, inaugurata il 1° gennaio 2021, con un potenziamento della trasparenza in fase di reporting.
Le linee-guida comunitarie, scadute a fine 2020, sono state emendate e aggiornate: i settori cui è riconosciuto titolo delle compensazioni sono stati ridotti da 13 a 10; il tasso di compensazione ammissibile sugli accresciuti costi è passato dall’85% al 75%; alcune tecnologie non efficienti sono state espunte dall’ammissibilità; le compensazioni stesse sono state rese condizionali rispetto agli sforzi aggiuntivi di decarbonizzazione che le imprese si impegnano a perseguire a seguito di specifici audit sulla loro efficienza.
La regola generale prevede che gli Stati siano tenuti a spendere in questi aiuti non più del 25% degli introiti generati dalle aste dei permessi e a giustificare eventuali sforamenti; inoltre, gli Stati si impegnano a rendere pubblico (per impresa o per settore) l’ammontare concesso alle installazioni beneficiarie delle compensazioni.
Un sistema contrario al principio “chi inquina paga”?
Naturalmente questo sistema può apparire controverso. Innanzitutto, molte associazioni e gruppi d’interesse ambientalisti ne hanno chiesto a più riprese la cancellazione, in quanto si tratta di un utilizzo degli introiti degli scambi di quote che non abbatte le emissioni – al contrario, rischia di aumentarle, andando ad alleggerire l’onere di partecipazione al sistema per molte imprese (e quindi a diluire il principio stesso “chi inquina paga” alla base delle tassazioni ambientali), agendo sul loro esborso in conto energia.
Inoltre, c’è un altro quesito ambiguo e pressante, da una prospettiva comparata: se il sistema abbia o meno portato a delle distorsioni interne al mercato unico, tra paesi che adottano gli aiuti e paesi che non li adottano.
Il pressoché unico contributo scientifico disponibile a riguardo è il report “The Effects of EU ETS Indirect Cost Compensation on Firms Outcomes” prodotto a inizio 2020 dal Joint Research Centre di Ispra (Va) che sottolinea come non si possano trarre evidenze conclusive né sull’efficacia delle compensazioni nell’impedire la delocalizzazione delle imprese, né sugli effetti trasversali in termini di competitività nei singoli settori rispetto ai paesi che non garantiscono aiuti.
Le imprese che percepiscono un sostegno più elevato ottengano una performance generalmente migliore rispetto a quelle meno sussidiate
Tuttavia, lo studio suggerisce altresì che le imprese che percepiscono un sostegno più elevato ottengano una performance generalmente migliore rispetto a quelle meno sussidiate, per quanto riguarda il fatturato, il livello degli investimenti (asset endowment) e il mantenimento dei posti di lavoro.
Il principale limite di queste considerazioni, tuttavia, consiste nell’impossibilità di operare una raccolta puntuale a livello delle singole imprese dei dati di performance necessari alla comparazione, e quindi ad interventi di policy più equi, mirati e ragionati.
Un problema fra i molti consiste ad esempio nel fatto che un aiuto fornito ad un’impresa nella misura di meno di 200.000 € spalmati su tre anni non sottostà all’obbligo di reporting per la normativa comunitaria ed è quindi probabile che i totali comunicati dai paesi membri approssimino per difetto (soprattutto) i volumi riservati alle piccole e medie imprese.
Ad ogni modo, dalla documentazione presentata dai singoli governi è possibile iniziare ad indagare, con qualche esempio puramente empirico, l’utilizzo che si è fatto nei vari paesi di questo schema di compensazioni.
[Continua]
Michele Soldavini è analista dei mercati energetici presso FEDABO S.p.A.
Foto: Christopher Craig
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