18 Febbraio 2021

Compensazioni alle imprese electro-intensive/2: perché alcuni paesi UE ne fanno ricorso e l’Italia no?

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Perché un’acciaieria tedesca o una cartiera spagnola possono dormire sonni più tranquilli delle cugine italiane? Sono 11 i paesi dell’UE che al 2020 hanno usufruito dello schema di compensazione tramite sussidio diretto ai settori a più alta intensità di uso di energia elettricità operativo dal 2013. La Germania è di gran lunga il principale fruitore di questo sistema: 202 i milioni di euro elargiti nel 2019 a 322 imprese. L’Italia, per contro, non ne ha ancora fatto ricorso. In attesa del «Fondo per la transizione energetica nel settore industriale», per sgravare le imprese dall’elevato costo dell’energia si è adottata la normativa «energivori», che però nasce con finalità diverse (fiscali e non legate al prezzo della CO2) e taglia gli oneri di sistema anziché la materia energia. Il governo italiano vorrà porre rimedio a questa obiettiva anomalia?

[Segue]

Al 2020 i paesi UE che hanno adottato schemi di compensazione delle emissioni indirette sono: Germania, Paesi Bassi, Belgio (due schemi di compensazione, uno per le Fiandre e uno per la Vallonia), Spagna, Grecia, Lituania, Slovacchia, Francia, Finlandia, Lussemburgo e Regno Unito. La Repubblica Ceca e la Polonia hanno ottenuto dalla Commissione il via libera per aggiungersi all’elenco dal 2020-2021, forse seguite da Norvegia e Romania. L’Italia, come si può vedere dalla figura, non rientra tra i paesi UE che hanno usufruito di questa opportunità.

Distribuzione degli schemi di compensazione tra i paesi membri dell’ETS al 2020
Fonte: rielaborazione dell’autore.

Il quadro è estremamente variegato, sia per quanto riguarda gli esborsi totali che la percentuale sugli introiti dalle aste. Riportiamo i dati del 2017 (con riferimento ai consumi del 2016), ma non se ne devono trarre indicazioni conclusive in quanto i valori sono mutati notevolmente di anno in anno.

Ammontare assoluto delle compensazioni e ammontare percentuale sui ricavi dalle aste, 2017
Fonte: CRU International.

La Germania pare essere di gran lunga il principale fruitore di questo schema, sia in termini lordi che in termini pro-capite, vista anche la sua stazza economica (e la stazza delle sue emissioni). Nel 2019 (relativamente ai consumi del 2017) sono state elargite sovvenzioni per circa 202 milioni di euroa 322 imprese.

202 milioni di euro, le sovvenzioni elargite dalla Germania a 322 imprese tedesche

Pur ondivago di anno in anno, il valore medio degli aiuti ricevuti per società beneficiaria si è sempre situato al di sopra dei 500 mila euro, talvolta superando il milione. Solo Finlandia e, recentemente, Spagna sembrano essersi avvicinate a tale primato. Chimica, siderurgia, cartiere e metallurgico sono i settori che raggruppano pressoché la totalità delle sovvenzioni.

Negli ultimi anni (almeno dal 2015), la Germania ha elargito aiuti ingentissimi e ad ampio spettro. A titolo puramente ipotetico, in base ai grafici, un’acciaieria tedesca può aver ricevuto fino a 105 mil. € in sconti in bolletta (di fatto) nell’arco di cinque anni.

Ripartizione settoriale delle compensazioni in Germania (2019)
Fonte: Deutsche Emissionshandelsstelle.
Ripartizione delle compensazioni in Germania in base all’ammontare ricevuto (2015-2019)
Fonte: Deutsche Emissionshandelsstelle.

Paesi Bassi: una scelta controcorrente?

I Paesi Bassi, dal canto loro, parrebbero andare in controcorrente. Per il budget 2021 hanno annunciato che non verrà più rinnovato lo schema di aiuti per le emissioni indirette nel quadro ETS. Si tratta di una mossa ambiziosa dal dichiarato valore emission-abating (a confermare le perplessità degli ambientalisti sul tema), che verrà affiancata all’introduzione di una embrionale carbon tax su alcuni settori industriali, parallelamente al sistema ETS. Ad ogni modo, ancora nel 2016 76 imprese olandesi avevano percepito un sussidio medio annuo di circa 730.000 €, con un massimo di oltre 8 milioni di euro.

Spagna: l’aumento del budget è dovuto all’aumento del prezzo dell’energia elettrica a causa delle quote ETS

La Spagna ottenne l’approvazione da parte della Commissione del suo piano di aiuti nel 2013, ma solo nel 2018 arrivò il via libera ad un suo consistente allargamento di budget da 91 a un massimo di 200 milioni € annui per il 2019 e il 2020 (compreso).

La giustificazione esplicita dietro tale aumento del budget è stata proprio l’aumento del prezzo dell’energia elettrica a causa delle quote ETS, nonché la presunta maggiore esposizione alla concorrenza estera. Gli aiuti spagnoli giungono alle imprese in parte via rimborso diretto, in parte via di deduzioni fiscali e abbuoni d’interesse. Per esempio, nel 2019 le imprese coinvolte sono state 183 per un totale di 172 milionidi euro, con il primo beneficiario (ALUMINIO ESPAÑOL S.L.) che ha incamerato ben 22,8 milioni di €.

A differenza degli altri paesi, in Spagna sono consultabili pubblicamente le sovvenzioni alle singole imprese, anno per anno. Recentemente, Madrid ha anche ottenuto dalla Commissione il via libera per la creazione di un fondo perpetuo, noto come FERGEI (Fondo Español de Reserva para Garantías de Entidades Electrointensivas), dell’entità di 200 mil. €/anno, esplicitamente destinato a coprire il rischio derivante alle imprese energivore sul medio e lungo periodo dall’accresciuto prezzo dell’energia.

58 mil. € a 61 imprese nella Gran Bretagna pre-Brexit

Un altro esempio concreto di ripartizione settoriale delle compensazioni per l’accresciuto costo dell’energia (si veda la prima parte dell’analisi) riguarda il Regno Unito per il 2019 (pre-Brexit). Le imprese coinvolte sono 61 e i sussidi circa 58 milioni di euro (al tasso di cambio medio dell’anno 2019).

Ripartizione settoriale delle compensazioni nel Regno Unito (2019)
Fonte: Governo di Sua Maestà.

Francia: 31,5% gli introiti generati dalle aste dei permessi andate in compensazioni alle imprese electro-intensive

Infine, anche in Francia il sistema di compensazione dei costi indiretti risulta attualmente vivo e vegeto. Nel 2019, per esempio, 296 siti industriali hanno ottenuto (relativamente ai bilanci dell’anno 2017) in totale quasi 99 milioni di euro di compensazioni, di cui 25 milioni sono andati alla siderurgia, 21 all’alluminio, 18 alla chimica inorganica, 14 alle cartiere, 12 alla chimica organica e via dicendo. L’ammontare totale copriva il 31,5% degli introiti generati dalle aste dei permessi.

A questo punto sorge una domanda spontanea: l’Italia si è mai mossa a riguardo?

Nel giugno 2020, quando nella Gazzetta Ufficiale n°146 veniva finalmente recepita (con più di un anno e mezzo di ritardo) la nuova Direttiva ETS del 2018 è riportato quanto segue:

“Il fondo denominato «Fondo per la transizione energetica nel settore industriale», […] è alimentato […] nel rispetto della normativa europea in materia di aiuti di Stato e della normativa relativa al sistema per lo scambio di quote di emissione […]. Con uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente […] e con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono stabiliti i criteri, le condizioni e le procedure per l’utilizzo delle risorse del Fondo […]. Le misure finanziarie a favore di settori o di sottosettori considerati esposti a un rischio elevato di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio a causa dei costi indiretti connessi alle emissioni di gas a effetto serra trasferiti sui prezzi dell’energia elettrica, al fine di compensare tali costi, sono basate sui parametri di riferimento nei due anni precedenti la data di presentazione dei dati […] e successivamente ogni cinque anni […]. I Ministeri […], per ogni anno nel quale […], utilizzano più del 25% delle risorse dei proventi delle aste relative ai soggetti impianti fissi, predispongono e pubblicano una relazione nella quale si espongono i motivi per cui è stata superata la predetta soglia”.

In realtà, il «Fondo per la transizione energetica nel settore industriale» era stato già istituito con il Decreto Legge «Crisi aziendali» del 2019 presso il MiSE, da alimentare con iproventi delle aste ETS (nella misura di 100 mil. € per il 2020 e 150 mil € annui dal 2021).

In attesa del «Fondo per la transizione energetica nel settore industriale» i grandi consumatori industriali di energia elettrica hanno potuto usufruire della normativa «energivori»…

Questo fondo, che da normativa comunitaria si sarebbe potuto tradurre in versamenti diretti a rimborso degli acquisti energia (come negli altri paesi), dovrebbe prendere la via prioritaria del finanziamento degli «interventi di decarbonizzazione e di efficientamento energetico» del settore industriale.

Nonostante questo intento, nella legge di bilancio del 2021 si sono andate a ricomprendere le generiche «misure finanziarie» a favore dei settori esposti al carbon leakage; anzi, si è inteso sbilanciare fortemente gli stanziamenti nella misura di 140 milioni per le misure finanziarie e soli 10 per gli interventi diretti.

Il condizionale comunque resta d’obbligo, purtroppo. Dopo un iter legislativo alquanto accidentato, a inizio febbraio 2021 si attendono ancora i decreti attuativi e del Fondo non s’è vista alcuna traccia.

Naturalmente, se questo quadro di inazione può essere considerato un’occasione (sin qui) persa, gli operatori industriali electro-intensive­ in Italia non sono lasciati in mera balia delle bollette. La cosiddetta normativa «energivori» (a partire dal DM 05/04/2013 del MEF) è il più importante e noto strumento di supporto per i grandi consumatori industriali di energia elettrica – che tuttavia va ad agevolare e tagliare in varie misure quelli che sono gli oneri di sistema del costo energia (come la componente tariffaria ASOS di sostegno alle rinnovabili), non la materia energia stessa.

…che però taglia gli oneri di sistema del costo energia (come il sostegno alle rinnovabili) e non la materia energia stessa

È questa la lampante differenza con i meccanismi di compensazione legati all’ETS messi in pratica dai nostri principali competitors, visto che l’accresciuto costo dei permessi di emissione si riflette con una correlazione molto alta sui prezzi della materia prima energia.

Ad ogni modo, potrebbe anche essere che lo sconto italiano sugli oneri finisca per equivalere agli esempi di sussidio più ingenti descritti sopra – il che, sebbene le componenti tariffarie italiane siano effettivamente tra le più alte in Europa, resta tutto da dimostrare. Certo è che, a differenza dei programmi descritti, la normativa «energivori» non nasce per controbilanciare l’effetto rialzista dei permessi di emissione sul prezzo dell’energia elettrica, né abbraccia indistintamente tutti i componenti di un settore industriale, ma richiede il rispetto di precisi parametri per essere applicata (andando a valutare l’incidenza del costo energia sul fatturato e sul valore aggiunto lordo).

Inoltre, quel che gli energivori non pagano in oneri di sistema ricade su tutti gli altri partecipanti alla rete, trattandosi di una voce che è globalmente a gettito invariato.

Ma al di là di questo, resterebbe interessante spiegare perché, ceteris paribus, un’acciaieria tedesca o una cartiera spagnola dormano sonni più tranquilli delle cugine italiane per quanto riguarda il prezzo di mercato della materia prima energia e l’impronta emissiva dei propri consumi elettrici. Resta, infine, da capire se il governo italiano intenda porre rimedio a questa obiettiva anomalia.


Michele Soldavini è analista dei mercati energetici presso FEDABO S.p.A.

Leggi anche: Compensazioni alle imprese electro-intensive/1: cosa sono?

Foto: Pixabay

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