4 Febbraio 2021

La “Dual Circulation Strategy” cinese: un possibile brutto colpo per l’agenda climatica globale

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Nel marzo 2021 sarà approvata la nuova strategia di sviluppo economico della Cina per i prossimi 5 anni. Il governo cinese intende coniugare una maggiore aggressività sui mercati esteri con lo sviluppo di un mercato interno il più possibile autosufficiente. Ma perseguire il cammino tracciato dalla strategia porterà il paese a incrementare ulteriormente il suo consumo energetico per arrivare a valori pro capite simili a quelli occidentali. Un brutto colpo per un futuro low-carbon. Se è pur vero che la Cina è uno dei principali investitori nel settore delle rinnovabili, queste fonti vanno ad aggiungersi, non a sostituirsi, alle tradizionali fonti energetiche. L’azione climatica occidentale potrebbe risultare irrilevante nel quadro geopolitico globale, schiacciata dalle aspirazioni economiche di una potenza in continuo sviluppo. Mentre non è da escludere l’ipotesi di una sorta di “orientalizzazione” dell’Occidente.

Mentre in Europa si perseguono ambizioni progetti energetici e climatici (il Green Deal) e anche gli Stati Uniti cercheranno di mantenere il passo con l’elezione a Presidente di Joe Biden, in Oriente le priorità sembrano decisamente differenti.

Nel maggio 2020, in piena pandemia COVID, il Presidente Xi ha annunciato la “Dual Circulation Strategy (DCS)”, nuova strategia economica del gigante asiatico da approvare per il 14th Five-Year Plan (2021-2025), il prossimo marzo. L’idea di base è quella di mantenere la Cina aperta al mondo (“the Great International Circulation”), ma, allo stesso tempo, rinforzare il mercato interno (“the Great Domestic Circulation”).

Secondo quanto recentemente affermato dal Presidente, la Cina ha bisogno di supply chains indipendenti e controllabili: la creazione di uno spazio di produzione domestico per tutte le commodities essenziali è ritenuto tema di sicurezza nazionale.

Una Cina aperta al mondo, ma all’occorrenza anche autosufficiente

La combinazione di autosufficienza economica e maggiore aggressività sui mercati esteri descrive accuratamente la politica che il governo cinese intende seguire. “Where linkages with the global economy create vulnerabilities, China wants to minimise them,” dice Andrew Polk di Trivium China, “Where the linkages create benefits, China wants to expand them.”

Questo apparente cambio di rotta nelle relazioni internazionali cinesi è in realtà l’inevitabile conseguenza strutturale del processo di “doppia transizione”, come definita da Yang Yao già nel 2011, che ha permesso il successo di un’economia export-based negli ultimi decenni.

La prima transizione, una forte spinta all’urbanizzazione, ha spostato grandi masse di persone dalle campagne alle città e costituito la base per il settore industriale cinese. La seconda transizione, demografica, dovuta alla politica del figlio unico, ha messo a disposizione la più grande forza lavorativa al mondo, con una bassa percentuale di inattivi (bambini e anziani). Dopo più di tre decadi di imponente crescita economica, una popolazione più anziana e uscita dalla povertà aspira a un tenore di vita occidentale (secondo il partito comunista cinese “a switch from high-speed to high-quality development”), mentre il continuo processo di urbanizzazione aumenta spontaneamente la domanda interna di beni ed energia, trasformando contadini poveri in cittadini consumatori.

Il processo, ancora in divenire, comporterà necessariamente una trasformazione socioeconomica radicale, passando da una economia industriale, basata su produzione ed esportazioni, a un’economia post-industriale, knowledge-based, trainata da innovazione, tecnologia e servizi, sul modello occidentale.

“In China, for China”, una visione politica molto simile all’“America First” trumpiana

Questo profondo cambio socioeconomico porta con sé una visione politica che ne dia legittimazione. L’apertura ai mercati internazionali e l’alto tasso di esportazioni dovranno coniugarsi con la narrativa “In China, for China” (molto simile all’“America First” trumpiano), che promuove una maggiore indipendenza economica ed energetica, con una forte attenzione alla green economy e alle energie rinnovabili domestiche, per limitare l’enorme sete di petrolio (importato) del paese.

Perché se il Presidente Xi vuole veramente percorrere il cammino tracciato dalla strategia Dual Circulation, la Cina dovrà ulteriormente incrementare il suo consumo energetico, arrivando a valori pro capite simili a quelli occidentali (Figura 1). Con una popolazione di quasi 1,5 miliardi di persone, lo scenario per un futuro low-carbon si fa cupo.

Particolarmente rilevanti sono i futuri cambiamenti nel consumo energetico residenziale, dove si aspettano grandi incrementi. Se finora è stata l’industria a sospingerlo, e continuerà a farlo secondo la logica della great domestic circulation, un alto consumo energetico pro capite è la condizione sine qua non per un alto tenore di vita materiale, come sostenuto da Velasco-Fernández et al. in un paper del novembre 2020.

Fig.1 – Consumo energetico lordo (GER, Gross Energy Requirement) per ora-uomo (MJ/h) nei settori residenziali in ascissa (HH, Household) e nel lavoro retribuito in ordinata (PW, Paid Work), 2000-2016.
Fonte: Velasco-Fernández et al. 2020
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Le centrali a carbone in Cina con meno di 14 anni creano un pericoloso effetto lock-in per il futuro low-carbon

Se è pur vero che la Cina è uno dei principali investitori nel settore delle rinnovabili, queste fonti vanno ad aggiungersi, non a sostituirsi, alle tradizionali fonti energetiche. Un esempio su tutti: la nuova potenza elettrica installata in Cina (meno di 14 anni), quasi esclusivamente a carbone, creerà un lock-in di future emissioni di CO2.

Fig. 2 – Struttura “demografica” della capacità di generazione elettrica globale.
Fonte: Tong et al. 2019

Allo stesso tempo, gli andamenti delle importazioni di greggio, così come la capacità di raffinazione installata, sono in crescita (IEA 2020). La capacità estrattiva domestica, altamente intensiva energeticamente e in termini di emissioni di CO2, si espanderà gradualmente (Wang et al. 2015). Questo porta a pensare che il governo di Pechino preveda un sostanziale aumento del consumo di derivati del petrolio nei prossimi anni cercando di fronteggiare la forte incertezza dei mercati internazionali.

L’influenza cinese sui mercati petroliferi si intensificherà nei prossimi decenni, in particolar modo se l’industria del fracking americana non riuscisse a ripartire, dopo il duro colpo inferto dal COVID.

L’influenza cinese sui mercati petroliferi si intensificherà nei prossimi decenni

Fig.3 – Importazioni mondiali di greggio e NGL
Fonte: Oil information overview 2020, IEA

L’azione climatica occidentale potrebbe risultare irrilevante nel quadro geopolitico globale, schiacciata dalle aspirazioni economiche di una potenza in continuo sviluppo. Il fenomeno che invece si potrebbe prospettare è una sorta di “orientalizzazione” dell’Occidente: con un mercato petrolifero incerto e probabilmente sempre più supply-restricted, le limitazioni adottate per il contenimento del COVID potrebbero tradursi in dinamiche sociali permanenti, limitando la mobilità privata, il trasporto aereo e ripensando radicalmente la nostra maniera di lavorare e socializzare, come paventato dal World Economic Forum.

La nostra impronta di carbonio collettiva diminuirà, probabilmente in misura maggiore rispetto all’adozione di qualsiasi misura di efficienza energetica. Ma a discapito del nostro stile di vita. Forse sarebbe il momento opportuno per intraprendere un cammino simile, ma una discussione democratica su dove vogliamo andare sarebbe appropriata.


Michele Manfroni è PhD student, ICTA-UAB (Instituto de Ciencias y Tecnologias Ambientales – Universitat Autonoma de Barcelona)


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Foto: Unsplash

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