22 Febbraio 2021

Majors: il De Profundis è prematuro

LinkedInTwitterFacebookEmailPrint

I prezzi del petrolio sono tornati ai livelli di un anno fa. Se ne parla poco perché il petrolio è dato per morto, salvo quando facciamo il pieno. 4 le ragioni alla base di questa risalita. Le scorte si sono ridotte ma si mantengono tuttavia ancora superiori al livello pre-pandemia. Oltre alle dinamiche di mercato di breve termine, le compagnie petrolifere si trovano a fronteggiare una minaccia esistenziale e i colloqui avviati tra ExxonMobil e Chevron ne sono riprova. Non è la prima minaccia che l’industria O&G si trova ad affrontare e sarebbe errato sottostimare la capacità reattiva delle grandi majors petrolifere. E anche il bisogno del loro contributo per la transizione energetica.

Un gradino dopo l’altro i prezzi del petrolio hanno riguadagnato l’8 febbraio i 60 dollari al barile per poi superarli a 63,3 il 16 febbraio, tornando ai livelli di circa un anno fa con un guadagno da fine ottobre di circa il 70%.

Pochi ne parlano anche perché a parere di molti il petrolio è bello che morto, come ha scritto Philip Verleger, suo grande esperto, nel post “The End of Oil. Ai prezzi del petrolio si presta ormai poca attenzione, salvo accorgersene quando facciamo il pieno.

Una loro ripresa, nonostante la crisi economica, il rallentamento della domanda per la seconda ondata della pandemia, la nebbia fitta sul suo futuro, segnala che il mercato del greggio ha recuperato una sua robustezza, più di quanto possa dirsi per quello dei prodotti raffinati, il “tallone d’Achille” del mercato petrolifero, caratterizzato da eccesso di offerta ed alte scorte.

54 doll./bbl il “consensus” sul prezzo medio del greggio nel 2021

La media di 38 previsori colloca il prezzo medio del greggio nel 2021 sui 54 dollari al barile e 58 il prossimo anno. Più bullish con valori proiettati sino a 70 dollari al barile, sia Energy Intelligence che Edward Morse, capo dell’ufficio studi sulle commodity di Citigroup che con Francesco Martoccia tratterà degli equilibri del mercato petrolifero sul prossimo numero di ENERGIA in uscita a marzo.

4 le ragioni alla base di questa risalita sono:

  • graduale ripresa della domanda dai livelli medi (fonte AIE) nel 2020 di 91 mil.bbl/g (contro i 100 del 2019), ai 96,4 nel 2021 (con 99,6 nel IV trimestre dell’anno);
  • progressiva diffusione dei vaccini contro il COVID-19;
  • massiccio stimolo all’economia americana di 1.900 miliardi di dollari del Presidente Joe Biden;
  • perdurante disciplina nei tagli alla produzione dei paesi OPEC+, con un maggior rispetto dei paesi OPEC (108%) rispetto a quelli non-OPEC (Russia e alleati, 93%).

Il mismatch domanda-offerta di greggio ha portato ad una riduzione delle scorte che si mantengono tuttavia ancora superiori al livello pre-pandemia. La risalita dei prezzi è il maggior incentivo ai paesi OPEC+ a proseguire nella loro cooperazione, così come è l’antidoto ai produttori americani a rialzare la loro produzione.

La risalita dei prezzi è il maggior incentivo ai paesi OPEC+ a proseguire nella loro cooperazione

A sostenere i prezzi concorre anche, da un lato, la più severa regolazione ambientale che si va diffondendo ovunque e, dall’altro lato, il rallentamento delle spese di molte compagnie petrolifere nei business tradizionali a favore di quelli green.

La possibilità che vengano introdotti più severi standard emissivi nei trasporti, come intende fare Joe Biden, o che possano essere messe al bando auto a combustione interna, proiettano ombre nelle curve forward dei prezzi con contratti nel 2026 inferiori di 10 dollari al barile a quelli del mese prossimo.

Le fosche prospettive del petrolio proiettano i prezzi sotto i 10 doll./bbl nel 2026

Una prospettiva che potrebbe essere capovolta qualora i tagli poderosi degli investimenti upstream si traducessero in vuoti di offerta. Da qui il rischio che possano mancare, secondo Total, 10 milioni di barili al giorno nei prossimi anni, con un inevitabile balzo dei prezzi che JP Morgan (il maggior finanziatore di fonti fossili) colloca in prossimità dei 200 dollari al barile.

A tale prospettiva si contrappone Edward Morse nel suo articolo in pubblicazione su ENERGIA 1.21, secondo cui le nuove tecnologie hanno consentito di abbassare la curva dei costi marginali sia di produzione, nel range 45-60 dollari al barile, che di ricerca e sviluppo sui 18 dollari al barile.

Per fronteggiare anni di bassi prezzi, le compagnie hanno adottato strategie per migliorare l’efficienza e una severa disciplina finanziaria che privilegia il valore sul volume delle produzioni. Strategie che tuttavia non risolvono la minaccia esistenziale che si trovano a fronteggiare, una combinazione di:

  • politiche climatiche avverse
  • pressione degli investitori a riconvertirsi verso business green
  • incertezze sul punto di svolta verso il basso della domanda

Nel 2020 l’industria energetica ha perso 1/3 del suo valore

Ne ha risentito il valore delle imprese energetiche (per lo più oil&gas) su quello complessivo del S&P 500, sceso dal 30% del 1980, al 16% del 2008, all’attuale 2,3%. Nel 2020 l’industria energetica ha perso un terzo del suo valore, rispetto ad un indice complessivo aumentato del 18%.

Una gran massa di capitali si è riallocata dall’industria energetica tradizionale a quella futuribile, al di là dei rendimenti attesi, dei cash flow, del contenuto intrinseco delle società.

Che il multiplo a cui è valutato ExxonMobil sia intorno ad 8 contro i 220 di Tesla, che ha realizzato solo quest’anno un qualche profitto, la dice lunga.

Il rischio di una bolla rinnovabile?

Valutazioni “folli” le ha definite Patrick Pouyanné, CEO di Total. Non dissimili follie portarono allo scoppio della bolla dell’‘high-tech’ all’inizio dello scorso decennio. A forza di gonfiarsi è del tutto plausibile accada anche per le ‘high-renewables’.

Di minacce esistenziali le compagnie petrolifere ne hanno peraltro conosciute altre, a partire dalle nazionalizzazioni post-1973 che sottrassero loro i 3/4 degli asset. Non è esagerato affermare che ogni volta ne sono uscite rafforzate, anche se il loro numero è andato progressivamente riducendosi.

Quel che avvenne soprattutto alla fine degli scorsi anni Novanta, all’indomani di un ennesimo tonfo dei prezzi a livelli inferiori ai 10 dollari al barile. La risposta strategica fu la grande ondata di fusioni&acquisizioni che portò alla nascita delle attuali mega-majors. Quel che potrebbe ripetersi.

ChevrExxon: oltre le ultra-majors

Se i colloqui avviati tra ExxonMobil e Chevron porteranno a una loro aggregazione nascerebbe un gruppo in grado di produrre petrolio per 6 milioni di barili al giorno, più di ogni paese Opec a parte l’Arabia Saudita, e 170 miliardi di metri cubi di gas (due volte e mezzo il consumo italiano).

Dell’attuale quota delle compagnie petrolifere – 15% sulla produzione mondiale – le due compagnie verrebbero a coprirne poco meno della metà. Le altre, escluse quelle controllate dagli Stati produttori, scompariranno (come accadde a Mobil, Gulf, Texaco, Standard of California) o si convertiranno nei business verdi.

Ieri la lotta avveniva sul terreno del mercato, oggi in larga parte su quello della politica

La grande differenza tra ieri e oggi è che ieri la lotta avveniva sul terreno del mercato, oggi in larga parte su quello della politica. Si consoliderà comunque la competizione tra le compagnie petrolifere – maggiori, minori, indipendenti, con interessi sempre più divergenti – e tra queste e i giganti dell’high-tech e le grandi imprese rinnovabili, in larga parte cinesi. Nuove tensioni geopolitiche – specie tra Cina e Stati Uniti – si affermeranno su quelle precedenti.

Chi controllerà il petrolio e il metano e le maggiori compagnie energetiche –secondo Daniel Yergin, la triade Stati Uniti, Russia, Arabia Saudita – non si arrenderà tuttavia facilmente. Si difenderanno con le due loro maggiori armi: da un lato, i bassi costi e bassi prezzi, a discapito dell’avanzata delle nuove tecnologie (se non supportate da sussidi) e, dall’altro, l’insostituibilità del petrolio e metano in numerosi processi industriali (per non parlare del trasporto aereo), come spiegato da Vaclav Smil nell’ultimo numero della rivista World Energy di Eni.

Nei tre un po’ fantasiosi scenari formulati da Shell al 2100 (!) la domanda di petrolio raggiungerà il suo picco nei prossimi due decenni, rimanendo maggioritaria sulle altre fonti.

Un prematuro De Profundis

Sarebbe errato, in conclusione, dar per morto il petrolio e, insieme, sottostimare la capacità reattiva delle grandi majors petrolifere: forti di indiscusse competenze tecnologiche, capacità organizzative, straordinarie esperienze realizzative in aree alla frontiera del mondo. Atout non riscontrabili nelle imprese che dovrebbero sostituirle e che a mio avviso quelle petrolifere si giocheranno sul terreno delle nuove tecnologie low-carbon.

Perché la dimensione – industriale, finanziaria, tecnologica – nell’energia ha sempre premiato. Il mondo abbisogna ancora del loro contributo, alla pari di quello delle altre industrie energetiche e in rapporti, è sperabile, di collaborazione verso il comune obiettivo della salvaguardia del Pianeta.


Alberto Clô è direttore di RivistaEnergia.it e del trimestrale ENERGIA.


Sul tema del petrolio, investimenti e transizione energetica leggi anche:
Navigare attraverso la transizione energetica verso l’obiettivo 0 emissioni, di Lorenzo Parola, Giulia Musmeci, 25 Gennaio 2021
Verso un nuovo super-ciclo delle materie prime?, di Alberto Clò, 26 Gennaio 2021
Le 10 previsioni energetiche Wood Mackenzie per il 2021, di Redazione, 18 Gennaio
Primum vivere, deinde philosophari: fare la transizione energetica, ma anche arrivarci vivi, di Alberto Clò, 15 Gennaio 2021
L’imprescindibile necessità degli investimenti (che non ci sono), di Redazione, 18 Settembre 2020
Petrolio: la tenuta dei prezzi e la iattura di una minore offerta futura, di Alberto Clò, 26 Agosto 2020
Petrolio: l’imprevedibile prevedibile, di Alberto Clô, 29 Luglio 2020
Un mercato dissolto, di Redazione, 3 Luglio 2020
Un’ondata di gelo sugli investimenti energetici, di Alberto Clô, 18 Giugno 2020
Darwinismo petrolifero, di Alberto Clô, 5 Maggio 2020
Petrolio: ma quale accordo “storico”? , di Alberto Clô, 15 Aprile 2020
L’Apocalisse del petrolio, di Alberto Clô, 2 Aprile 2020
Transizione, investimenti e nuove dipendenze energetiche, di Alberto Clô, 29 Luglio 2019

Fonte: Wikimedia

0 Commenti

Nessun commento presente.


Login