9 Febbraio 2021

Qualche interrogativo da dipanare sull’idrogeno verde

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C’è un piano nazionale per l’idrogeno in gestazione e l’idea è che in un decennio spendendo 10 miliardi potremmo portare il contributo dell’idrogeno dall’1 al 2% del paniere energetico. Poi si accelera, e bruscamente, fino al 2050; ma con dettaglio ancora tutto da costruire. Dorato è il futuro, ma fosca la via per arrivarci. Numerosi gli interrogativi da sollevare e a cui dare risposta. Ne proponiamo alcuni: dall’importanza di riformare il permitting per consentire un’adeguata capacità di generazione rinnovabile, passando le modalità d’impiego e la programmazione di potenziali flussi e volumi, fino alla necessità di un’equa ripartizione dei costi e di una governance che indichi chi e dove può investire. Solo risolti questi ci si può fare un’idea dei tempi che ci vorranno.

[continua]

Incorniciate le condizioni secondo le quali l’idrogeno può servire come stoccaggio dell’elettricità prodotta da fonti rinnovabili per tornare ad essere elettricità (power-to-power ptp) proseguiamo con alcuni interrogativi che andrebbero sbrogliati sull’idrogeno verde.

Primo interrogativo: l’overproduction. Oggi in apparenza non si trovano investimenti neanche per colmare la generazione non eccedente. Il 4° bando FER ha messo in gara in Gruppo A 1.160,8 MW; e ne ha aggiudicati 279,3. Abbiamo un problema di investimento rinnovabile. Le aste hanno successo in Spagna: e vanno quasi deserte in Italia. Il che suggerisce che l’ostacolo sia molto più di permitting che di finanza.

L’ultima asta per fotovoltaico ed eolico ha aggiudicato appena un quarto della potenza (279,3 su 1.160,8 MW)

Senza revisione del sistema autorizzativo può essere velleitario anche solo ipotizzare una generazione rinnovabile eccedente; e dunque pensare di realizzare una delle condizioni indispensabili per avviare una produzione significativa di idrogeno verde.

Secondo interrogativo. Se lo produciamo, cosa gli facciamo fare? O, meglio, chi ci va a spiazzare nell’interfuel competition? Dei settori hard-to-abate, e delle condizioni di sua competitività (di regola col carbone) si è accennato. Poi ci sono le situazioni dove la non competitività con l’elettrico può essere annullata dall’assenza dell’elettrico, e perciò di una rete di distribuzione.

Idrogeno: se lo produciamo, cosa gli facciamo fare?

I treni a idrogeno sono un esempio tipico. Se ne parla solo per linee non elettrificate, e sul presupposto – da verificare caso per caso – che andare a idrogeno costi meno che elettrificare.

Aggiungiamo infine che la prima fonte (secondaria) che l’idrogeno dovrebbe spiazzare è l’idrogeno stesso; nel senso dell’idrogeno verde che si sostituisce a quello grigio nelle lavorazioni caratteristiche (ammoniaca, usi di raffineria, …).

Ma il resto? Maneggiare con cautela. La gas-to-hydrogen competition, se mai, è per un futuro non vicinissimo. Saggio ad es. che per il residenziale nella bozza di piano italiano se ne parli post 2030, viste anche le difficoltà di trasporto e il differenziale di potere calorifico (un Nm3 di metano è 3 volte quello di un Nm3 di idrogeno).

Idrogeno vs idrogeno, idrogeno vs elettricità, idrogeno vs gas, idrogeno vs batterie al litio; idrogeno vs diesel; idrogeno vs GNL

Altro discorso i trasporti. Mobilità automobilistica, con le fuel cells che competono con le batterie al litio. L’esito non è scontato; ma insieme dovrebbero comunque riuscire a togliere dal mercato un qualche volume di petrolio.

Poi i trasporti pesanti, che qualcuno a idrogeno già circola. Ce lo presentano come concorrenza al diesel (concorrenza che può essere resa possibile solo da un fortissimo divario di trattamento fiscale); ma in realtà è anche concorrenza con il GNL. E il GNL per trasporto meriterebbe forse qualche salvaguardia. C’è chi vi ha investito per motori e depositi e reti di distribuzione. Un eccessivo favor per l’idrogeno potrebbe innescare un blocco degli investimenti in GNL; e tra GNL che si ferma e idrogeno che parte adagio c’è il rischio paradossale che si finisca per prolungare l’esistenza del vecchio caro diesel.

Chi paga? Una questione di giustizia sociale e distributiva

Terzo interrogativo: chi paga? Qui in realtà la risposta già c’è, e pure unanime. Dimenticatevi che la hydrogen parity possa essere conseguita per cause naturali (una volta si diceva “mercato”). Senza “sostegno pubblico” non si va neanche a incominciare.

A proposito di elettrolisi cito per tutti il Report H2 IT (novembre 2020, p.22), ove “tutti i costi sono a carico del GSE e contribuiscono alle accise di rete”.

La miscela tariffa/carbon tax rischia di finire tutta in bolletta: una forma di tassazione recessiva

Ed anche, e per converso, rimando ai continui richiami all’uso della carbon tax per accelerare la competitività dell’idrogeno. La differenza tra costo di produzione e parity si può colmare in apparenza solo sussidiando il produttore e/o aumentando per tassazione i costi dei competitor fossili (poi ci sarebbe la tecnologia che ti migliora l’efficienza; ma i tempi della tecnologia sono più lunghi di quelli del cash).

Qui se posso un richiamo alla gradualità. La miscela tariffa/carbon tax rischia di finire tutta in bolletta, trasformandosi di fatto in una forma di tassazione recessiva. Se la si vuole mettere massicciamente in pista servono in parallelo meccanismi progressivi di redistribuzione del reddito. Il rischio è che altrimenti decarbonizzazione e idrogeno si facciano generatori di diseguaglianza e figlino una nuova generazione di gilet gialli.

Quale target di produzione nazionale? Una questione di spazio…

Quarto interrogativo. Quali possono essere dei traguardi realistici di produzione nazionale? Del prezzo come condizione dell’overproduction si è detto. La questione qui si fa di spazio.

Oltre 2/3 del nostro territorio è fatto di montagne e colline. La densità di potenza della fonte (fotovoltaica) originaria (5-10 W/m2) fa sì che da ogni m2 occupato per generazione si possano produrre allo stato con insolazione media poco più di 4-5 kg di H2/anno. Installare un MW occupa 5000 mq; e (visto anche che vi ci verrebbero in alternativa 25 quintali di grano) spero che non vi paian pochi.

A titolo di esempio, alla raffineria bio di La Mède al servizio di un elettrolizzatore da 40 MW capace di produrre 5 tons di H2/ giorno stanno realizzando un fotovoltaico da 100 MW. In termini di spazio, grosso modo 500.000 mq.

…ma anche di costo

Si dirà forse che lo spazio possiamo andare a prendercelo offshore. Qui però il limite è di costo prima che di spazio. In Adriatico la ventosità è assai minore che nel Mare del Nord; e conseguentemente i costi di generazione si fanno anche più alti. Il detto popolare ci dice che l’eolico è meglio concentrarlo a nord e il solare a sud; e in fondo pare competitivamente saggezza.

Per gli obiettivi che ci stiamo ponendo in Europa e in Italia, per il 2050 lo spazio del sud non sembrerebbe bastare. Tutti dicono che compenseremo importando dal Sahara. Bisognerebbe per questo forse risolvere qualche problema di disponibilità dei 9 litri acqua per kg di H2 prodotto necessari all’elettrolisi (forse anche con acqua marina, per nuove tecnologie, di cui almeno una italiana).

Dalla produzione nazionale al Sahara e all’Arabia Saudita

E poi sarebbe urgente capire se esistano imprese davvero intenzionate a cavalcare e capitalizzare il progetto di generazione sahariana, e se sarà progetto europeo o solo nazionale. I tedeschi che tentano lo sbarco in Marocco sembrano segnalare che ci si muoverà in ordine sparso; e non parmi un bene.  

Senza più spazio, Sahara o quant’altro, c’è il rischio che approntiamo un’infrastruttura senza avere di che riempirla. Potrebbe ironicamente finire che ci tocchi di importare idrogeno (in parte verde ma prevalentemente blu) dagli stessi paesi da cui oggi importiamo fossili. Il Giappone che già importa ammoniaca blu dai Sauditi e idrogeno blu prodotto da lignite (!) dall’Australia temo ci stia mandando un segnale.

Dammi la regolazione, e ti dirò chi può investire e dove

Quinto interrogativo. L’onda montante dell’idrogeno e la sua governance. Tutta da costruire, e forse presto per costruirla. Però già da pensare. Unbundling sul modello elettrico e gas con monopolio esteso alla distribuzione locale? Oppure permissibilità di integrazioni verticali? O un qualche mix? Un modello si può cambiare. Però lavorarci sin d’ora, almeno a tendere, può aiutare.

Pensate a dove si dovrebbe piazzare l’elettrolizzatore in tempi di rigoroso unbundling. Se fa power-to-gas (ptg) e vende idrogeno l’elettrolizzatore fa certo parte della generazione, e dunque non può essere agito da nessun champion monopolista (Snam/Terna).

Se fa (solo) power-to-power (ptp), può essere ancora in generazione oppure essere integrato nella rete con funzione di stoccaggio e di complemento ad altri sistemi di accumulo. Rete che poi, nel caso, non potrebbe oggi che essere quella di Terna o dei distributori elettrici locali.

Dammi la regolazione, e ti dirò chi può investire e dove. È domanda, come le precedenti, cui già da ora dobbiamo iniziare risposta

Idrogeno verde, quando? 10 miliardi, in 10 anni per passare dall’1 al 2% del paniere energetico

Infine – e giungiamo al sesto – i tempi dell’idrogeno verde, interrogativo non facile. Nel piano nazionale per l’idrogeno ora in gestazione l’idea è che in un decennio spendendo 10 miliardi potremmo portare il contributo dell’idrogeno dall’1 al 2% del paniere energetico.

Sembrerebbe detta così much ado about nothing. Però tranquilli, che poi l’accelerazione sarà impetuosa e nel 2050 arriviamo secondo stima al 23% dei consumi finali.

Con l’avvertenza che una previsione di lungo termine è gratis; e da prassi non si nega a nessuno.


Massimo Nicolazzi è docente di economia delle risorse energetiche presso l’Università di Torino

Il testo rielabora l’intervento al webinar di Adam Smith Society  “Idrogeno ingrediente per jukebox o potente fattore di sviluppo” del 3 Febbraio


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Foto: Unsplash

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