La telenovela della liberalizzazione elettrica si arricchisce di un nuovo capitolo con l’ennesima proposta di rinvio targata Movimento 5 stelle. Un rinvio al 2024 sarebbe incomprensibile e dannoso. Intanto, si tratterebbe dell’ennesima prova che, nel nostro paese, nessuna scadenza è affidabile, e sbaglia chi prende sul serio gli impegni dello Stato. I continui rinvii non solo penalizzano le imprese di vendita che hanno investito per prepararsi alla piena apertura del mercato, ma alimentano i comportamenti scorretti di chi approfitta della confusione normativa. Oggi più che mai è però necessario andarci coi piedi di piombo: sarebbe un pessimo segnale di indisponibilità alle riforme promesse all’Europa, proprio mentre il premier incaricato, Mario Draghi, si accinge a riscrivere il Recovery Plan.
La telenovela della liberalizzazione elettrica si arricchisce di un nuovo capitolo con l’ennesima proposta di rinvio targata Movimento 5 stelle. Oggi più che mai è però necessario andarci coi piedi di piombo: sarebbe un pessimo segnale di indisponibilità alle riforme, proprio mentre il premier incaricato, Mario Draghi, si accinge a riscrivere il Recovery Plan. Ma andiamo con ordine.
Il Capogruppo pentastellato a Montecitorio, Davide Crippa, ha presentato un emendamento al decreto milleproroghe per posticipare di ben due anni la fine-tutela per i clienti domestici e micro-imprese, attualmente prevista per il 1 gennaio 2022. Il presidente della Commissione Industria al Senato, il grillino Gianni Girotto, lo ha addirittura scavalcato proclamando che “personalmente ritengo che la maggior tutela non vada eliminata ma al limite modificata”.
Ritengo che la maggior tutela non vada eliminata ma al limite modificata – Gianni Girotto, M5s
Al momento l’esito dell’emendamento è incerto: solo la Lega e Forza Italia, per bocca rispettivamente di Paolo Arrigoni e Luca Squeri, hanno preso le distanze. Il Partito democratico, che pure la liberalizzazione l’aveva voluta e l’ha sempre più o meno difesa, al momento non sembra dare segni di vita.
Un rinvio al 2024 sarebbe incomprensibile e dannoso. Intanto, si tratterebbe dell’ennesima prova che, nel nostro paese, nessuna scadenza è affidabile, e sbaglia chi prende sul serio gli impegni dello Stato. I continui rinvii non solo penalizzano le imprese di vendita che hanno investito (o lo stanno facendo) per prepararsi alla piena apertura del mercato. Alimentano, soprattutto, i comportamenti scorretti di quelle imprese e agenzie (porta a porta e call center) che approfittano della confusione normativa per bombardare i clienti con messaggi contraddittori, fuorvianti e a volte perfino truffaldini.
I continui rinvii non solo penalizzano le imprese di vendita che hanno investito per prepararsi alla piena apertura del mercato, ma alimentano i comportamenti scorretti di chi approfitta della confusione normativa
Il superamento della maggior tutela – il meccanismo di regolamentazione del prezzo in vigore “transitoriamente” dal 2007 – fissato originariamente per il 2018, è stato prima spostato al 2019, poi rimandato al 2020, posticipato al 2021, spinto al 2022 e adesso – forse – rimbalzato al 2024. Come si può chiedere ai cittadini di credere alle campagne di comunicazione private e istituzionali, quando si continuano a cambiare le carte in tavola?
Tra l’altro, la stessa Commissione Attività produttive della Camera ha avviato, proprio su sollecitazione di Crippa (e del deputato di Forza Italia Luca Squeri), un’indagine conoscitiva sul mercato elettrico. Quali esiti ne sono emersi? Su quali evidenze poggiano l’iniziativa di Crippa e il rilancio di Girotto? Mistero. Un mistero buffo, a dir la verità, visto che la liberalizzazione riguarda non solo famiglie e microimprese (attualmente in ballo), ma anche le piccole imprese.
Per queste ultime, il Ministro dello Sviluppo uscente, Stefano Patuanelli, anche lui del M5s, ha firmato poche settimane fa il decreto che stabilisce le modalità per il superamento della maggior tutela attraverso un meccanismo di aste, accogliendo i suggerimenti migliorativi dell’Arera e dell’Antitrust. Si tratta di circa 200 mila imprese: un campione piccolo e con caratteristiche peculiari (la morosità tra le pmi in tutela è superiore al libero mercato, per esempio).
Perché prima di prendere decisioni avventate non si aspetta l’esito delle aste (indette su iniziativa M5s)?
Perché, prima di prendere decisioni avventate, non si aspetta l’esito delle gare, i cui risultati saranno noti a fine maggio, e sulla base di quello non si valutano eventuali aggiustamenti o correzioni? Tra l’altro, il silenzio del MiSE è sconcertante: perché Patuanelli, dopo aver tracciato una strada finalmente chiara verso la normalizzazione dei mercati retail dell’energia elettrica e del gas, si lascia mettere i piedi in testa in modo tanto plateale?
Crippa ha un solo argomento dalla sua: se prendiamo sul serio la scadenza del 1° gennaio 2022, bisogna sbrigarsi, perché l’organizzazione di gare per l’individuazione dei nuovi fornitori richiede tempo, specie di fronte alle svariati milioni di consumatori coinvolti. Ma a questa constatazione oggettiva si può rispondere con un rinvio “tecnico” di pochi mesi o, alternativamente, distinguendo il momento della liberalizzazione delle microimprese e delle famiglie.
Per le prime, poco più di un paio di milioni su una platea complessiva di circa sette, si potrebbe mantenere la deadline di gennaio. Si potrebbe spostare il completamento della liberalizzazione alla metà del 2022 o al massimo a gennaio 2023 per il più corposo contingente delle famiglie (oltre 13 milioni su un totale di quasi 30, a cui si aggiungono oltre sei milioni di clienti gas). Certo non al 2024, come vorrebbe Crippa: paradossalmente, sarebbe un allungamento dei tempi eccessivo per essere raccontato come mera esigenza tecnica, e insufficiente a segnare il punto politico invocato con onestà intellettuale da Girotto.
La piena liberalizzazione elettrica è un impegno verso la Commissione, ribadito nel Pniec
Ma c’è un’altra ragione per cui si tratterebbe di una pessima idea. La piena liberalizzazione elettrica è una delle riforme che l’Italia si è impegnata a fare di fronte alla Commissione. La promessa è stata ribadita anche dal Governo uscente, sia nel Programma nazionale di riforma sia, più importante, nel Piano nazionale energia e clima.
Proprio nella valutazione del Pniec, la Commissione ha riconosciuto l’importanza di questo passaggio ma ha bacchettato l’Italia in quanto “obiettivi, tappe e scadenze chiari per realizzare le riforme e le misure previste”. Un rinvio al 2024 verrebbe letto come un dito nell’occhio alle raccomandazioni di Bruxelles proprio nel momento in cui la credibilità delle riforme è un elemento essenziale ai fini dell’erogazione dei fondi di Next Generation EU.
Davvero Draghi si merita di essere accolto con un simile sgarbo?
Carlo Stagnaro è direttore dell’Osservatorio sull’economia digitale dell’Istituto Bruno Leoni
Su tutela e suo superamento leggi anche:
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