25 Febbraio 2021

Se l’auto elettrica sbanda nella curva (di Kuznets)

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Il futuro dell’auto elettrica non è al momento interamente nelle mani di chi la costruisce, ma ha bisogno della politica. Da qui l’esitazione delle case automobilistiche, i cui annunci sono più aspirazioni che commitment. E la politica ha bisogno di unità in un mondo che procede a 2 velocità lungo la transizione energetica. Senza un cambio di passo la parte in salita della curva ambientale di Kuznets (che mostra il nesso tra emissioni e crescita economica) è destinata ad affossare gli sforzi di quella in discesa. E l’unità politica è da auspicare in una leadership climatica condivisa tra Cina, Stati Uniti ed Europa che favorisca questo cambio di passo.

General Motors ha recentemente annunciato che dal 2035 produrrà solo veicoli elettrici a emissioni zero. Entro il 2025, il 40% dei modelli offerti sul mercato statunitense saranno alimentati a batteria e i consumatori potranno scegliere tra 30 modelli diversi.

Mentre si legge la news, la mente partorisce una riflessione e poi, un istante dopo, una domanda. La prima dice che si tratta di una rivoluzione, la seconda si chiede se l’annuncio di GM sia solo l’inizio del crollo della diga poiché presto altre aziende automobilistiche la seguiranno.

Poi, però, si leggono meglio le parole di Mary Barra – AD di GM, unica donna AD nell’empireo dell’automotive mondiale – e si capisce che la questione è più complessa e che c’è ancora tempo per la rivoluzione.

L’obiettivo di GM è un’aspirazione, non un commitment

GM definisce gli obiettivi un’aspirazione la cui realizzazione richiede adeguate policy, infrastrutture e altro ancora. Di qui la critica di Consumer Reports, un’associazione a difesa dei consumatori, per la mancanza di un “commitment” esplicito al quale Mary Barry avrebbe dovuto ancorare le azioni future di GM. Ma questo non accade.

Si torna alla casella di partenza: l’industria ha bisogno della politica. Senza la seconda la prima è zoppa, perché occorrono potenti policy di incentivo per sostenere l’acquisto dell’auto elettrica, oggi nettamente più costosa di quella tradizionale. E non solo: occorrono nuove stazioni di servizio e infrastrutture che altri agenti, esterni all’automotive industry, dovranno costruire.

In parole semplici, il futuro dell’auto elettrica non è al momento interamente nelle mani di chi la costruisce. Di qui la cautela di Mary Barry nel disegnare e comunicare, ai mercati prima che al pubblico, il futuro di GM.

Tesla è riprova che la svolta elettrica è possibile e a portata?

Ma, si dirà: e Tesla? Non è Tesla la negazione della cautela di GM? Non è la sua strategia la conferma della possibilità che si può scommettere sull’auto elettrica, già da adesso? Sì, certo, la scommessa è possibile ma essa richiede, appunto, uno scommettitore.

In tal senso Elon Musk rappresenta la quintessenza del risk lover: un uomo che punta a portare l’uomo su Marte nei prossimi cinque anni e a impiantare un chip nella testa di un essere umano già nel 2021 non ha nessuna difficoltà a scommettere sull’auto elettrica. Di fatto, quella della mobilità elettrica è la scommessa più facile tra le tre, ma essa è comunque eccessivamente rischiosa per le felpate strategie dell’automotive tradizionale. Almeno per ora.

Certo è che, nel bene e nel male, pur con tutte le follie delle borse mondiali, la strategia da first mover di Elon Musk sta dando i suoi frutti, per lo meno a livello finanziario.

Ma dov’è la ragione? Nell’aggressività di Tesla oppure nella cautela di GM e di un intero settore che si spinge con moderazione nella nuova frontiera della mobilità elettrica? Rispondere a questa domanda non è affatto semplice.

La via maestra è sempre la stessa – studiare i dati – ma l’interpretazione dei numeri non è univoca. Vediamo quelli più significativi.

La mobilità elettrica ha superato molto bene il test di resilienza della pandemia…

Nel 2020, come già per le rinnovabili (si veda Transizione energetica: il baratro tra essere e dover essere), i dati hanno smentito le stime caute della IEA, che a metà anno prevedeva una sostanziale stabilità del mercato della mobilità elettrica rispetto al 2019, a fronte di un calo complessivo del 15%. Questo non è accaduto, al contrario la vendita di auto a batteria (EV) e ibride plug-in (PHEV) ha raggiunto il 4,2% del mercato globale contro il 2,5% del 2019.

Come mostra il grafico sottostante, driver della crescita sono stati i paesi europei (+137%, mercato globale – 20%) – a conferma della spinta esercitata dal Green Deal – e in minor misura la Cina (+12%, mercato globale – 4%) e gli Stati Uniti (+4%, mercato globale – 15%).

…ma la strada da fare è ancora molto lunga

Dunque, la mobilità elettrica ha superato molto bene il test di resilienza della pandemia tanto da far registrare il suo massimo storico. Tuttavia il 4,2% di quota di mercato e circa l’1% di quota nello stock complessivo mondiale rappresentano ancora piccoli numeri per indurre una fuga generalizzata degli automaker tradizionali dal motore a scoppio nel giro di un paio di decenni.

Variabile critica della decisione sarà l’evoluzione delle vendite di veicoli elettrici nei prossimi dieci anni. Ed è qui che i forecast divergono. La IEA (vedi grafico sottostante), nel suo Stated Policies Scenario, prevede un balzo dagli 8 milioni di veicoli elettrici del 2019 ai 50 milioni del 2025 e ai 140 milioni del 2030.

In altre parole, nel decennio in corso il numero di veicoli elettrici crescerà a un tasso medio annuo pari al 30% portando lo stock di auto elettriche al 7% della flotta mondiale nel 2030. Le vendite di veicoli elettrici saranno il 10 e il 16% del totale, rispettivamente nel 2015 e nel 2030.

Questi numeri ragguardevoli, tuttavia, non sono in linea con l’obiettivo dei 2°C, tanto che nel suo scenario normativo (Sustainable Development Scenario) l’Agenzia di Parigi eleva lo stock di veicoli elettrici da 140 a 245 milioni (circa 32% delle vendite totali nel 2030).

IEA e Deloitte: lo stesso tasso di crescita medio annuo (circa il 30%) porta a ipotizzare quote di vendita molto differenti (16% vs 32%)

Analogamente allo Stated Policies Scenario della IEA, Deloitte prevede, nel prossimo decennio, un tasso di crescita medio anno dello stock di auto elettriche intorno al 29% che porterà a una quota di mercato del 32% nel 2030.  

Bastano questi tre scenari per comprendere la nebbia che avvolge il futuro dell’auto elettrica.

Lo stesso tasso di crescita medio annuo (circa il 30%) porta a sostenere che i veicoli elettrici rappresenteranno il 16% (IEA) e il 32% (Deloitte) delle vendite totali. D’altra parte, la stessa IEA abbandona il lettore nel vasto mare dell’incertezza nel momento in cui propone due scenari assai distanti (Stated Policies e Sustainable Development) e non assegna ad essi alcuna probabilità.

È vero che è proprio questa neutralità previsiva il punto di forza del ragionare per scenari: il mettere sul tavolo della riflessione possibili traiettorie future invitando il lettore a riflettere su di esse. D’altra parte, è innegabile che al termine della riflessione la nebbia, seppure se ne misurino i confini, resta tale.

Di qui l’incertezza – inevitabile perché nessuno riesce a prevedere tempi e modi della transizione energetica – in cui versa il settore, e l’esitazione delle case automobilistiche nel sottoscrivere e comunicare al mondo obiettivi vincolanti di phase-out delle auto alimentate a combustibili fossili.

Vietare la vendita di auto a combustibile fossile: una garanzia per la svolta elettrica?

Sebbene quasi 20 paesi – tra i quali Cina, Francia, Spagna, Olanda, Regno Unito, Israele, Norvegia, Danimarca, Irlanda, Svezia – abbiano annunciato, con diverse scadenze, target di divieto di vendita di auto tradizionali, il cammino è ancora lungo.

Dichiarare, come ha fatto recentemente la Cina, che dal 2035 tutte le auto vendute dovranno essere di tipo “new-energy”, non scioglie il nodo della penetrazione delle auto a batteria, se il 50% delle nuove vendite potrà essere rappresentato dai motori ibridi.

Analogamente, leggere che la Norvegia è il primo paese al mondo nel quale le vendite di auto elettriche superano quelle di auto a benzina, diesel o ibride messe insieme – e addirittura raggiungono i 2/3 delle vendite totali negli ultimi mesi del 2020 – getta solo parzialmente una luce nuova sulla questione dell’auto elettrica.

Curve ambientali di Kuznets: il nesso tra emissioni e crescita economica

Ed è così perché l’esperienza di un paese opulento quale la Norvegia non fa altro che confermare qualcosa che già sapevamo e che gli esperti, con linguaggio sibillino, chiamano curve ambientali di Kuznets: al di là di un certo livello di reddito pro-capite le emissioni cominciano a scendere perché le policy ambientali diventano sempre più importanti.

Fonte: Wikipedia

In altre parole, la causa e la soluzione della questione climatica è la stessa: la crescita economica. Fino a un certo livello di reddito le emissioni salgono, dopo – proprio perché si è raggiunto un elevato livello di benessere e la qualità ambientale diventa prioritaria – esse cominciano a scendere. La curva delle emissioni è una parabola e l’ambiente è un bene per ricchi.

La curva delle emissioni è una parabola e l’ambiente è un bene per ricchi

Si torna al nodo cruciale della transizione energetica: un mondo a due velocità. Da una parte stanno i paesi ricchi, dall’altra quelli poveri ed emergenti. Se vi sono dubbi che la velocità di azione dei primi sarà sufficiente a decarbonizzare le loro economie in tempo utile per evitare il disastro, vi è la certezza che i secondi non riusciranno a stare nei tempi. E non si può attendere che il loro reddito si elevi tanto da portarli al punto di picco della curva ambientale di Kuznets, perché non c’è tempo.

Di qui la rilevanza di un approccio globale alla questione climatica nella quale le 3 aree dalle quali dipende il 50% delle emissioni mondiali – Cina, Stati Uniti ed Europa – esercitino un’azione congiunta di leadership e di traino nei confronti degli altri paesi: perché a nulla vale il loro sforzo se il restante 50% di emissioni continua a crescere.

Cina, Stati Uniti ed Europa: una leadership condivisa per trainare il resto del mondo

Il momento è propizio come non mai: con il nuovo target di net-zero emissions al 2060 la Cina ha affiancato l’Europa nella leadership climatica. È verosimile che la nuova Amministrazione Biden formalizzi, in tempi brevi, un target di neutralità carbonica già annunciato. Sarebbe la prima volta che il 50% delle emissioni mondiali è posto sotto il controllo dei tre principali emettitori attraverso l’esplicitazione di un obiettivo di emissioni nette zero.

La loro azione, da questo momento in poi, dovrà essere congiunta perché è solo con un’azione coordinata che si può risolvere un funesto e complicato – ma nondimeno solubile – problema globale.


Enzo Di Giulio è membro del Comitato Scientifico di ENERGIA


Sulla velocità della transizione energetica leggi anche:
La “Dual Circulation Strategy” cinese: un possibile brutto colpo per l’agenda climatica globale, di Michele Manfroni, 4 Febbraio 2021
Transizione energetica: il baratro tra essere e dover essere, di Enzo Di Giulio, 1 Febbraio 2021
Primum vivere, deinde philosophari, di Alberto Clò, 15 Gennaio 2021
Quanto è verde la finanza mondiale?,
di Redazione, 21 Settembre 2020
Il mito del decoupling: un mondo a due velocità, di Redazione, 2 Febbraio 2018
Crescita economica, causa e soluzione del problema ambientale: le curve ambientali di Kuznets, di Redazione, 18 Giugno 2018

Su auto elettrica, Tesla ed Elon Musk leggi anche:
Maradona e Musk: fenomenologia del mito, di Enzo Di Giulio, 3 Dicembre 2020
Il valore di Tesla e l’alba di una nuova era, di Enzo Di Giulio, 13 Gennaio 2020
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Foto: Unsplash

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