La Transizione Ecologia è una vera e propria rivoluzione ed è questo il fine ultimo che il neonato Ministero è chiamato a raggiungere. Una rivoluzione che, lungi dall’essere facilmente e rapidamente conseguibile, comporterà vincitori e vinti tra imprese, lavoratori, territori. In barba alla portata della sua missione, il nuovo dicastero dovrà svolgere in tempi brevissimi compiti importantissimi e complicatissimi: dalla rielaborazione della parte energetico-ambientale del Recovery Plan, cui è destinato oltre un terzo delle risorse, all’aggiornamento del PNIEC in armonia con i nuovi obiettivi europei, oltre che con lo stesso Recovery Plan.
L’istituzione del Ministero della Transizione Ecologica ha dato la stura a innumerevoli positivi commenti da cui traspare il convincimento che conseguire la neutralità carbonica a metà secolo, obiettivo ultimo della Transizione, sia cosa facilmente e rapidamente conseguibile.
Basta volerlo, pare. Per più ragioni. Perché costituisce una grande opportunità per riconvertire la nostra economia, la nostra industria, la nostra occupazione. Perché è in grado di generare “solidarietà e prosperità”, è stato scritto, coniugando protezione del clima e sviluppo economico. Perché l’Accordo di Parigi è sostanzialmente un pasto gratis, tra dare e avere, grazie anche ai fondi europei.
Affermazioni perentorie fin troppo entusiastiche che dovrebbero superare il vaglio del realismo e del pragmatismo.
L’impronta carbonica italiana pro-capite è inferiore del 16% alla media europea, del 32% a quella tedesca, del 38% a quella olandese
Non perché non si debba operare per ridurre l’impronta carbonica del nostro Paese – pur sapendo che quella pro-capite è inferiore del 16% alla media europea, del 32% a quella dei tedeschi, del 38% a quella degli olandesi – ma per aver piena contezza di quel che significa operare una vera e propria rivoluzione. Perché di questo si tratta.
Rivoluzione nei modi di produrre; nei beni e nei materiali che consumiamo (si pensi alla plastica); nei cibi che mangiamo; nei modi di vivere a iniziare dalla mobilità ancorata per più dell’85% ai mezzi privati; nella ristrutturazione del nostro patrimonio edilizio, vecchio di oltre mezzo secolo, per garantirne la sicurezza sismica e ridurne i consumi di energia.
Una rivoluzione che comporterà vincitori e vinti tra imprese, lavoratori, territori. Alcune industrie ne trarranno vantaggio, altre ne saranno emarginate. Dieci, cento esigenze che andranno congiuntamente affrontate definendo le priorità e le risorse da destinarvi. Solo per il rinnovo del parco edilizio si è stimato un fabbisogno di 130 miliardi di euro.
Solo per il rinnovo del parco edilizio si è stimato un fabbisogno di 130 miliardi di euro
Vi sono compiti prioritari che in tempi brevissimi dovranno essere svolti dal nuovo dicastero. Il primo è l’elaborazione del Recovery Plan (quello esistente non può dirsi tale) per la parte energetico-ambientale cui è destinato oltre un terzo delle risorse. Quel che comporta di recepire nuovi progetti e relative misure attuative che siano in grado di rispettare i rigidi criteri indicati dalla Commissione in base ai quali esaminerà i piani proposti dagli stati membri.
Per ciascun progetto bisognerà indicare l’impatto che avrà sulla transizione ecologica, inclusa la biodiversità, nel lungo termine. I progetti dovranno spaziare dal rinnovo del parco edilizio, all’efficienza energetica, alla decarbonizzazione industriale, alla forestazione, alla produzione alimentare sostenibile e cento altri temi.
Oltre i contenuti, ciascun progetto deve riportare un preciso cronoprogramma di attuazione, al cui rispetto è ancorato il rilascio dei fondi europei.
Il secondo compito del nuovo dicastero è aggiornare il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) – tenendo conto dei nuovi obiettivi fissati dalla Commissione quanto a riduzione delle emissioni al 2030 (dal 40% al 55%) – alla cui attuazione siamo vincolati dalla stessa Commissione.
Aggiornare il PNIEC, in armonia con il Recovery Plan
Terzo: coordinare, anche qui secondo il regolamento fissato dalla Commissione, i contenuti del Recovery Plan con quelli del PNIEC.
Quarto compito: valutare che ogni misura per l’attuazione delle riforme e degli investimenti non disattenda (regolamento 2020/852 del Parlamento e Consiglio europeo del 10 febbraio) il principio di “non arrecare un danno significativo” (DNSH) ai sei obiettivi ambientali contemplati dal regolamento Tassonomia. Verificare, in sostanza, se può arrecare o meno danni significativi alla mitigazione/adattamento ai cambiamenti climatici nel suo intero ciclo di vita. La Commissione non approverà il Piano “se una o più misure non sono conformi al principio DNSH”.
‘Do no significant harm’: principio europeo da rispettare nel progettare le riforme dei settori strategici
Riforme come quella della giustizia, dell’istruzione, del lavoro non presentano rischi di tal genere. Diversamente da altre riforme nei trasporti, nell’industria, in funzione di come sono progettate.
Il nuovo dicastero, al di là dei tempi necessari alla sua piena funzionalità, dovrà svolgere in conclusione in tempi brevissimi – i Piani dovranno essere presentati ufficialmente “di norma entro il 30 aprile” – compiti importantissimi e complicatissimi, anche in ragione del fatto che il lavoro sin qui eseguito non ha corrisposto alle indicazioni contenute nei regolamenti comunitari.
Se così non avverrà, nonostante le generali speranze che i nuovi competenti responsabili possano riuscirvi, sarà amaramente vero l’anagramma di “Transizione Ecologica” scritto da Stefano Bartezzaghi “Sognatori Eccezionali”.
Alberto Clô è direttore di ENERGIA e RivistaEnergia.it
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Foto: Pixabay
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