Il 2020 sembra confermare il cambio di direzione dell’economia mondiale dall’Oil&Gas al green. In un anno di imprevista e drammatica criticità, gli investimenti nella transizione energetica non solo sono cresciuti, ma lo hanno fatto in misura superiore agli ultimi due anni. Ma è una realtà solo apparentemente positiva. La tendenza beneficia dell’ottima performance dell’Europa, ma Cina e Stati Uniti hanno registrato segno negativo. Se poi si guarda alla finanza, la realtà diventa patinata in un affresco luminoso. Non è così. Basta vedere gli sforzi richiesti all’Unione Europea per comprendere la complessità della sfida e lo iato che separa l’essere dal dover essere. Serve un cambio di passo e uno scatto rapido.
Ora che ci sono numeri, si può dire: le rinnovabili hanno superato lo stress test della pandemia. Lo scorso maggio, nel suo World Energy Investment 2020, l’Agenzia dell’Energia aveva stimato che gli investimenti di tutte le fonti energetiche, rinnovabili incluse, sarebbero diminuiti a ragione della devastazione economica indotta dal virus.
+9% la crescita degli investimenti green: da 450 a 501 miliardi di dollari
Così non è stato, come mostra il recente rapporto BloombergNEF “Energy transition investment trends”. Al contrario delle fonti fossili, duramente ridimensionate dalla pandemia, gli investimenti nella transizione energetica non solo sono cresciuti, ma lo hanno fatto in misura superiore agli ultimi due anni, passando da 450 a 501 miliardi di $ (vedi figura).
Occorso in un anno di imprevista e drammatica criticità, questo +9% su base annua è forse il segno, più che di forza del settore, di aspettative inesorabilmente positive circa la direzione di marcia dell’economia mondiale: a vele spiegate verso il green, è quello il nuovo mondo.
Così non era stato in occasione della crisi del 2008-2009, anno in cui le rinnovabili avevano segnato il passo. Nel 2020 ciò non è accaduto ed è come se gli operatori, pur nella necessità di tagli feroci indotti dalla distruzione di valore del Covid, abbiano comunque deciso di preservare gli investimenti green.
Senza l’Unione Europea la tendenza mondiale degli investimenti green sarebbe in recesso
Questa lettura, tuttavia, è parziale in quanto la crescita degli investimenti green a livello mondiale è dovuta soprattutto all’ottima performance dell’Europa (166 miliardi di dollari, +67%) mentre in Cina (135 mld $) e negli Stati Uniti (85 mld $) si registrazioni flessioni pari, rispettivamente, al 12 e all’11%.
È come se, sotto la spinta dell’annunciato Green Deal, l’Unione Europea sostenga il complesso mondiale degli investimenti green, altrimenti in recesso.
Altri aspetti interessanti sono il ruolo chiave degli investimenti in rinnovabili – sia solare (149 mld $, +12%) che eolico (146 mld $, -6%) – della mobilità elettrica, soprattutto privata (118 mld $, +44%), mentre idrogeno (1,5 mld $, -20%) e CCS (3mld $, + 212%) confermano la propria irrilevanza.
Infine, degno di nota è l’effetto amplificativo dello stock market dove il +9% degli investimenti si gonfia oltremisura trovando il suo omologo finanziario nel +142% del WilderHill New Energy Global Innovation Index. En passant segnaliamo anche che il NYSE Arca Oil Index collassa del 38%.
La realtà deformata dall’esagerazione finanziaria: il +9% diventa +142%
È come se fossimo di fronte a un passaggio di testimone per mezzo del quale l’oil&gas cede il passo al green, in una realtà deformata dall’esagerazione finanziaria dello stock market. In sintesi, lo stress test dà esito positivo ma a livello di aree la realtà è meno rosea di quello che sembra e comunque, nel complesso, assai distante dalla realtà patinata dipinta nell’affresco luminoso della finanza.
Altro stress test positivo del 2020 è quello rappresentato dalla tenuta dei prezzi della CO2 nel mercato dell’ETS, con valori ormai nella fascia 30-35 € ton CO2 (si veda: CO2: bene rifugio ai tempi del COVID)
Questi numeri, tutto sommato positivi, dicono dell’essere della transizione energetica a fine 2020. Ma oggi siamo nel 2021, ovvero siamo entrati in una nuova era, nel primo anno di quel decennio critico che rappresenta il tempo della resa dei conti per la transizione energetica. L’obiettivo dei 2°C implica obiettivi di emissioni nette zero entro il 2050 o, alla meglio, entro il 2070. Per il mondo intero.
3-3,5% il tasso di riduzione annuo necessario all’UE per raggiungere l’obiettivo -55% al 2030 (1% la media 1990-2020)
A volere prendere sul serio questo target occorrerebbe, come ha fatto l’Unione Europea, definire step intermedi per decennio e allora si capirebbe la complessità della sfida che abbiamo di fronte e lo iato che separa il dover essere dall’attuale essere della transizione energetica.
L’obiettivo del -55% delle emissioni nel 2030 implica un tasso di riduzione nel decennio corrente compreso tra il 3 e il 3,5% annuo, contro l’1% circa del periodo 1990-2020. In parole povere, la velocità dell’abbattimento deve essere triplicata.
Questo zoom sull’Unione Europea, che ci fa vedere tutta la difficoltà dell’operazione per un’area che è leader nel campo della battaglia al cambiamento climatico -sottolinea l’enorme complessità della traiettoria per aree che ancor devono vederla, metabolizzarla, aderirvi.
Servono soldi, tanti soldi, da mettere sul tavolo della transizione subito e senza indugi, se l’auspicato net zero emissions deve essere il corrispettivo verbale di un progetto reale e non l’eco di una retorica e di un wishful thinking.
Dei circa 11 trilioni di dollari dei paesi G20 per fronteggiare la pandemia solo 0,4 sono andati in direzione green
Secondo l’Agenzia dell’Energia, a livello mondiale occorrono poco meno di 30 trilioni di dollari per decennio, ovvero circa 3.000 miliardi di dollari all’anno – una volta e mezzo il Pil dell’Italia – una cifra dalla quale siamo assai distanti.
Il rapporto di Boston Consulting Group “Accelerating Climate Action in the New Reality” mostra come gli investimenti dovrebbero crescere dagli attuali 0,6 trilioni di dollari a un cifra compresa tra 1,8 e 4 trilioni di dollari.
Per bene che vada, lo sforzo richiesto è il triplo dell’attuale; nel caso peggiore, si passa a un moltiplicatore compreso tra 6 e 7. Ed è significativo il fatto che dei circa 11 trilioni di dollari immessi nei sistemi economici dei paesi G20 per fronteggiare la pandemia solo 0,4 trilioni siano andati in direzione green.
Serve un cambio di passo e uno scatto rapido. Lo stesso deve accadere a livello della tassazione dove – se nel caso dell’Europa il prezzo della CO2 deve crescere di 2-3 volte avvicinandosi a quota 100 €/ton. CO2 – nel caso del mondo il moltiplicatore diventa pari a 50, se è affidabile la stima del Fondo Monetario Internazionale che colloca l’attuale prezzo implicito della CO2 a livello mondiale in un intorno del 2$.
In sintesi, tra l’essere e il dover essere della transizione energetica vi è un baratro. Solo quando gli istogrammi degli investimenti verdi si eleveranno verso l’alto evidenziando un salto – visibile al semplice sguardo – potremo dire di essere dentro un progetto reale e non all’interno di un’ambizione che è per metà sogno e per metà retorica.
Enzo Di Giulio è membro del Comitato Scientifico di ENERGIA
Sull’avanzamento della transizione energetica leggi anche:
Primum vivere, deinde philosophari, di Alberto Clò, 15 Gennaio 2021
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Foto: Valdemaras D. / Pexels
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