Il mercato elettrico texano, ritenuto un modello ‘ideale’ di energy only market a spiccato carattere concorrenziale nel retail, è ora chiamato a spiegare cosa è accaduto durante la crisi di febbraio. Abbiamo già indagato le ragioni della crisi legate al mercato del gas naturale e gli errori commessi nella programmazione della generazione elettrica di emergenza. In questa ultima parte, ricostruiamo come i prezzi astronomici registrati nel mercato all’ingrosso faranno la fortuna di alcuni retailer, mandandone in bancarotta tanti altri. Che ora chiedono al regolatore una riduzione retroattiva dei prezzi fissati dal mercato in quei fatidici cinque giorni
Come ho scritto nella prima parte di questa analisi, il modello di regolazione texano è ora chiamato a spiegare cosa è esattamente accaduto e perché è accaduto. Ho studiato di recente il funzionamento dei suoi mercati elettrici perché quello all’ingrosso gestito da Ercot è (era?) ritenuto un modello ideale di ‘only energy market’ e perché la concorrenza nel retail è molto sviluppata.
Dopo avere evidenziato gli errori commessi nell’esercizio di programmazione, in questo terzo e ultimo contributo provo a spiegare in dettaglio quanto accaduto ai prezzi nel mercato all’ingrosso a metà febbraio e le ripercussioni sugli operatori e sulla domanda finale.
La produzione elettrica in Texas, si è detto, è di circa 480 TWh/anno. La media dei prezzi all’ingrosso nel 2018 e nel 2019 ha oscillato tra i 38 e i 47 dollari per MWh. Dai dati mensili che posso vedere, la media per il 2020 sembra essere rimasta leggermente al di sotto di questo range. Questo significa che negli ultimi tre anni il valore all’ingrosso della produzione elettrica ha oscillato in un intervallo compreso tra 18 e 22 miliardi di dollari. Nella settimana in cui l’offerta ha scarseggiato in termini relativi e i prezzi hanno stazionato sui valori massimi quasi ininterrottamente, il valore della produzione è stimato a oltre 40 miliardi di dollari. Per una sola settimana!
La tabella, ripresa da S&P Global Market Intelligence, confronta le medie dei prezzi del giorno prima nelle ore di punta nei mercati ‘regionali’ degli Stati Uniti durante lo scorso febbraio. È molto evidente come Ercot sia risultato molto più colpito dagli effetti dell’ondata di gelo anche rispetto a mercati limitrofi, come il Southwest Power Pool (SPP), dove pure ci sono state interruzioni di fornitura a rotazione (Current Grid Conditions – Southwest Power Pool).
Di fronte a questa abnorme anomalia, è iniziata una resa dei conti che, temo, durerà a lungo. Qualcuno ha già perso il suo posto ai vertici di Ercot e della Public Commission (PUC). A livello federale, la FERC ha annunciato un’indagine su possibili manipolazioni dei mercati dell’energia elettrica e del gas naturale durante l’ondata di freddo gelido, e la US Commodity Futures Trading Commission sta avviando un’inchiesta simile sui mercati dei derivati legati all’energia. Nello Stato del Texas continueranno audizioni, interrogazioni e iniziative parlamentari, mentre l’esecutivo darà mostra di agire sui fronti più esposti alla crisi.
La PUC svolgerà un’investigazione sui fornitori di energia elettrica che offrivano contratti con prezzi indicizzati ai prezzi all’ingrosso e ha preso provvedimenti immediati per mitigare i contraccolpi sulle utenze finali.
Qualche cliente finale, in effetti, ha già ricevuto o riceverà a breve una bolletta astronomica. Sono però casi eccezionali anche se il loro clamore finisce in prima pagina. Tra loro vi sono soprattutto i quasi 30 mila clienti di Griddy. La situazione della società è diventata alquanto caotica dopo che un procuratore del Texas l’ha messa sotto accusa per pubblicità ingannevole ed Ercot le ha ritirato la licenza ad operare sul mercato.
Bollette astronomiche per i (pochi) consumatori con contratti a prezzi variabili, gran parte di loro paga tariffe fisse
Per la stragrande maggioranza dei clienti, i prezzi dei contratti di fornitura elettrica sono praticamente fissi. Ed è proprio questo a mettere molti retailer in condizioni di estrema vulnerabilità finanziaria.
Il 15 febbraio qualcuno su Twitter – Javier Blas – notava l’eccentrica offerta di 100 dollari rivolta dal retailer Volt ai propri clienti per cercarsi in fretta e furia un altro fornitore. Ai primi di marzo, la più antica cooperativa elettrica del Texas, che conta circa un milione e mezzo di clienti, ha portato in tribunale i suoi libri contabili non essendo in grado di pagare il conto di 2,1 miliardi di dollari presentato da Ercot per le forniture di una settimana.
Evidentemente i clienti di quella cooperativa avevano contratti di fornitura a prezzo fisso. La stessa PUC confermava che i consumatori finali non si trovano quasi mai esposti direttamente ai prezzi all’ingrosso, contrariamente ai wholesale buyers e ai generators, soprattutto se sprovvisti di un’adeguata copertura dal rischio prezzi.
Bancarotta per i retailer esposti all’aumento dei prezzi all’ingrosso, invece chi ha prodotto più di quanto previsto ha realizzato enormi profitti
Chi in quei giorni è riuscito a produrre in misura superiore a quanto, eventualmente, stabilito da contratti di vendita ha potuto realizzare profitti stellari vendendo la sua energia sul mercato: la produzione di 48 ore di una wind farm da 100 MW in un febbraio normale vale circa 40 mila dollari; la stessa produzione collocata sul mercato il 15 e il 16 febbraio scorsi potrebbe valere più di 9,5 milioni di dollari.
Altri saranno costretti a sborsare cifre ragguardevoli. Come le wind farm di Algonquin Power & Utilities Corp. legate a contratti derivati che impongono la consegna fisica dell’energia che è stata resa loro impossibile da condizioni meteo avverse. La mancata consegna dovrà ovviamente essere compensata da acquisti fatti ai prezzi di mercato di quei giorni. La compagnia stima un extra-costo di 45- 55 milioni di dollari, sempre che la causa di forza maggiore invocata dai suoi legali non venga riconosciuta.
Stilare un elenco completo dei vincitori e dei perdenti è al momento quasi impossibile. Nella conferenza stampa del 24 febbraio, anche Ercot ha ammesso di avere una visibilità limitata delle posizioni contrattuali dei partecipanti al mercato. Per quello che concerne “the level of energy hedging by Load Serving Entities (nda: i retailer) varied from fairly long to fairly short relative to their physical load. This could also vary by operating day for the same entity”.
Inoltre: “These positions would have been affected by load reductions resulting from the instructed firm load shed and other losses of load, as well as loss of generation through de-ratings or outages that occurred during the event”.
Forse solo le indagini federali consentiranno di essere più precisi.
Secondo il Financial Times, un gruppo di soggetti coinvolti nello sviluppo di progetti rinnovabili avrebbe scritto alla PUC per chiedere la riduzione retroattiva dei prezzi più che astronomici che il mercato ha fissato tra il 14 e il 19 febbraio e che potrebbero mettere in crisi dozzine di progetti eolici, con un impatto molto negativo sugli investimenti in Texas. Sebbene sia difficile che la richiesta sia accolta, anche per non sollevare proteste da parte di chi ha beneficiato di questi prezzi, la questione rivela la possibile eterogenesi dei fini perseguiti da Ercot quando decise di modificare il meccanismo di formazione dei prezzi per renderlo più sensibile alla scarsità di riserva.
Cito in proposito l’abstract di un paper di William Hogan e Susan Pope con mio corsivo che evidenzia i fini di questa modifca: “The recent innovation of the ERCOT Operating Reserve Demand Curve (ORDC) addressed the fundamental problem of inadequate region‐wide scarcity pricing that has plagued other organized markets, which have exhibited inadequate incentives both for reliable operations and efficient investment”.
La bufera si è abbattuta soprattutto sul mercato con la disputa sull’applicazione dei meccanismi di formazione dei prezzi tra i regolatori: Ercot, Puc e IMM
Oltre ai prezzi nodali Ercot possiede infatti un’altra caratteristica distintiva: i price adder, che sono stati chiamati in causa più volte in questa crisi. Il primo di essi è frutto della curva ORDC di cui Ercot si avvale dal 2014 per dare un prezzo “congruo” alla scarsità di riserva. La curva è utilizzata quando il margine di riserva nel sistema è inferiore a 5.000 MW e si colloca al prezzo massimo di 9.000 dollari per MWh quando il margine scende sotto i 2.000 MW rendendo necessarie le azioni di emergenza. Al culmine della crisi, la PUC ordinò a Ercot di ripristinare lo scarcity pricing ai livelli più alti.
Era successo che Ercot avesse escluso dalla domanda che entra nel calcolo del margine (e quindi dei prezzi) quella che di fatto non sarebbe stata rifornita per via delle interruzioni a rotazione iniziate il 15 febbraio. In questo modo riapparivano margini di riserva nel sistema e dalla curva ORDC uscivano valori più bassi, sui 1.200 dollari per MWh.
Secondo la PUC: “If customer load is being shed, scarcity is at its maximum, and the market price for the energy needed to serve that load should also be at its highest”. E per questo motivo ordina, ed Ercot esegue, che di lì in avanti (cioè dal 16 febbraio): “firm load that is being shed in EEA3 is accounted for in ERCOT’s scarcity pricing signals”.
Non entro nel dettaglio tecnico di un’altra questione sollevata nello stesso Order, che cito qui per curiosità. Ercot ha dovuto sterilizzare l’applicazione di una regola che avrebbe determinato l’innalzamento del price cap indicizzato ai prezzi del gas naturale che erano “exceptionally high”. La ragione di fondo è semplice: il contesto che portava all’applicazione di questa regola non era quello pensato quando la regola era stata concepita.
Su Ercot vigila anche un organismo di controllo indipendente (IMM) che redige con regolarità rapporti sullo stato del mercato. Il 4 marzo IMM ha suggerito di correggere l’applicazione, a suo dire errata, del secondo price adder (il reliability price adder, o per esteso Real-Time On-Line Reliability Deployment Price Adder) che avrebbe causato un aggravio di spesa di ben 16 miliardi di dollari.
Questo price adder è calcolato da Ercot facendo girare una seconda volta il software di dispacciamento per verificare che l’eventuale inserimento di unità di generazione e l’eventuale esclusione di carichi, al di fuori dell’ordine di merito economico e per motivi legati all’affidabilità di sistema, non abbia soppresso al primo giro i prezzi. Se questo è accaduto la differenza tra i due prezzi diventa il price adder.
Nella ricostruzione dell’IMM, dopo che il 18 febbraio si erano concluse le azioni di emergenza che avevano giustificato il precedente order della PUC, Ercot avrebbe mantenuto i prezzi a valori massimi gonfiando il reliability price adder per altre 32 ore.
Il maggior esborso ricade su tutti i partecipanti al mercato che pagano la Real-Time Ancillary Service Imbalance Charge e non può essere protetto con strumenti di hedging. Secondo l’IMM, la sospensione del reliability price adder non avrebbe un grande impatto sui generatori, che continuerebbero a venire pagati almeno i loro “as-offered costs”, e stabilirebbe un prezzo più efficiente rispetto alle effettive condizioni di offerta, domanda e riserva in quelle 32 ore. La richiesta non è stata – finora – accolta dal nuovo Presidente della PUC, sostanzialmente per le ragioni che richiamavo prima: “A retroactive decision would have winners and losers: “You don’t know who you’re hurting. And you think you’re protecting the consumer and it turns out you’re bankrupting [someone else]”.
La richiesta di revisione dei prezzi registrati nei giorni critici è stata per ora respinta: una sua approvazione sposterebbe ingenti somme di denaro dagli attuali vincitori agli attuali perdenti
L’ultimo tassello del mosaico è il mercato retail, dove la concorrenza si è molto sviluppata negli ultimi anni grazie, soprattutto, alla discesa dei prezzi all’ingrosso frutto proprio della disponibilità crescente di gas naturale a buon mercato. L’analisi del Wall Street Journal del 24 febbraio scorso che imputa alla deregulation texana un aggravio delle bollette per i consumatori residenziali di 28 miliardi di dollari è in realtà viziata perché non considera i sussidi incrociati presenti nelle tariffe delle aziende municipalizzate, di cui i clienti domestici sono i maggiori beneficiari (per ulteriori approfondimenti si veda si veda il documento di Baker Institute richiamato in calce).
Dell’analisi più dettagliata del mercato retail texano che ho compiuto su ENERGIA riporto alcuni fatti. I clienti residenziali erano molto attivi nel cambio di fornitore; nel sito Power To Choose potevano trovare un discreto numero di offerte che incentivavano maggiori consumi, vuoi garantendo elettricità gratuita nel weekend e nelle ore notturne, vuoi subordinando gli sconti al superamento di soglie elevate di consumo; il consumo medio di energia elettrica e la bolletta delle famiglie texane sono tra le più alte degli Stati Uniti(si veda il documento EIA riportato in calce).
Un’altra caratteristica peculiare che ha molto pesato nelle ultime settimane è la diffusione del riscaldamento elettrico: tra il 1970 e il 2018 la percentuale di abitazioni scaldate in questo modo è costantemente aumentata dall’8% al 61%. C’entra il prezzo basso del kWh ma c’entrano soprattutto le condizioni climatiche che, essendo in media relativamente miti, rendono preferibile il riscaldamento elettrico anche per i suoi minori costi di impianto.
Con le temperature miti tutto l’anno e bassi prezzi del kWh, i texani preferiscono il riscaldamento elettrico garantito da impianti che sono per lo più vecchi e poco efficienti
Si tratta molto spesso di stufe con una resistenza elettrica e di vecchi modelli di pompe di calore, che ricorrono alla resistenza elettrica quando il freddo si fa pungente. Poiché “a standard electric furnace or heat pump in this auxiliary mode pulls double the power that an air-conditioner pulls in the summer”, ecco che improvvisamente il picco della richiesta invernale diventa temibile almeno quanto il picco della domanda estiva. Inoltre, i pochi programmi di demand response esistenti, compresi quelli che coinvolgono grandi utenze, sono tarati sui picchi estivi: “There is less certainty and intuitive knowledge about how large consumers will respond to winter peak conditions”.
Difficile con questa dotazione impiantistica attivare una demand response nell’ordine di 15-20 GW tale da scongiurare le 70 ore di load shed che Ercot è stata costretta ad effettuare con le interruzioni di fornitura a rotazione. Ma è anche difficile che i bassi prezzi finali e le offerte scontate che incentivano maggiori consumi giustifichino investimenti in efficienza energetica e demand response.
Ammesso che lo scarcity pricing riesca a stimolare qualche riduzione di domanda nelle fasi emergenziali, condivido quel che scrive Michael Hogan: “beyond some duration, the actions scarcity pricing is meant to motivate have been largely exhausted, after which it is ineffectual”.
Che senso ha, allora, mantenere a lungo prezzi astronomici se questi non possono richiamare in servizio centrali o limitare la domanda?
Hogan suggerisce un meccanismo (da tarare) per cui al superamento di una soglia determinata dai prezzi cumulati in un certo arco di tempo entra in vigore un prezzo amministrato inferiore anche se comunque alto: 300 dollari australiani per MWh (si veda il documento AEMC richiamato in calce).
Nel mio articolo su ENERGIA 4.20 ho scritto: “Negli energy only markets descritti sui manuali una carenza fisica di offerta dovrebbe alzare il prezzo dell’energia fino al valore riconosciuto dalla domanda che un’offerta ridotta riesce a servire. Questo presuppone che la domanda sia in condizione di essere attiva sul mercato. Tanto meno questo accade tanto più amara sarebbe la medicina degli scarcity prices per la domanda”.
Non pensavo onestamente che un evento di simile portata accadesse così presto. Pensavo, ovviamente, a sistemi elettrici del futuro, in cui le fonti rinnovabili intermittenti avranno superato il 50-60% del mix di generazione lasciando il sistema esposto alla loro imprevedibile indisponibilità.
Il modello di regolazione texano si è dimostrato molto efficiente quando nel sistema c’è un eccesso di offerta garantita. Ma occorre rendere la domanda attiva sul mercato
Un modello di regolazione come quello texano si è dimostrato molto efficiente quando nel sistema c’è un eccesso di offerta garantita. Ma anche per questa sua efficienza di breve periodo non trova una demand response capace di compensare una perdita di potenza importante quasi istantaneamente, e di scongiurare le interruzioni a rotazione.
In questi anni, eventi simili capitano per qualche ora ogni due o tre estati e per qualche giorno ogni dieci inverni, ma in futuro la frequenza con la quale una potenza importante sarà indisponibile per tempi anche lunghi rischia di aumentare notevolmente.
L’unico aspetto positivo di quest’ultimo evento è che potrebbe anticipare adattamenti in Ercot, per garantire una maggiore affidabilità dell’offerta in scenari di rischio, e nel retail, per incentivare la domanda all’efficienza energetica e alla demand response.
Giovanni Goldoni è professore presso l’Università di Verona e membro del Comitato Scientifico della rivista ENERGIA
Foto: Unsplash
Documenti per approfondire:
Puc opens Investigation Into “Indexed” Retail Electricity Plans
Electricity Prices during the 2021 Winter Storm Prepared by the Public Utility Commission of Texas 2/21/2021 Effect of high wholesale prices on residential customers
Second Order directing Ercot to take action and granting exception to commission rules
PUC Project No. 51812, Issues Related to the State of Disaster for the February 2021 Winter Weather Event
Electricity reform and retail pricing in Texas
EIA – 2019 Average Monthly Bill-Residential
AEMC – Review of administered electricity price compensation arrangements
Sulla crisi in Texas leggi anche:
Cronache texane/2: un’indagine ancora aperta, di Giovanni Goldoni, 9 Marzo 2021
Cronache texane/1: l’anello debole del gas, di Giovanni Goldoni, 4 Marzo 2021
Texas: non c’è sovranità nella solitudine (energetica), di Emiliano Morgia, 24 Febbraio 2021
La lezione texana, di Alberto Clò, 23 Febbraio 2021
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