Un vero e proprio ‘diritto climatico’ non esiste ancora, ma già incombe su politiche nazionali e strategie aziendali. I contenziosi sui cambiamenti climatici sono quasi raddoppiati negli ultimi tre anni. Sono aumentati sia i paesi, sia la tipologia degli attori coinvolti. Negli Stati Uniti si registra il maggior numero di casi, ma alcuni tribunali si sono pronunciati anche in Europa. Anche in Italia i tribunali potrebbero essere chiamati a giudicare sulla responsabilità di Stato e imprese per i cambiamenti climatici.
Istituti di ricerca e osservatori internazionali si occupano da tempo dei contenziosi sul climate change, monitorando il numero e le tipologie dei contenziosi al fine di valutarne gli impatti a livello di policy. Non v’è dubbio che si tratti di un trend in crescita costante.
I contenziosi sul climate change, infatti, sono quasi raddoppiati negli ultimi tre anni e sono aumentati sia i paesi sia la tipologia degli attori coinvolti.
Sebbene, prevedibilmente, gli Stati Uniti registrino il maggior numero di casi (1.231 su un totale di 1.587 casi fino a maggio 2020) molti contenziosi sono stati avviati in Australia, Regno Unito e Unione Europea. Al contempo, cresce anche il numero dei casi che coinvolgono Asia, America Latina e Africa, segno tangibile dell’interesse globale per questo tema.
In Italia, per quanto ci consta, non sono stati registrati allo stato contenziosi climatici ma, dati i numeri crescenti e le forti spinte ambientaliste nel nostro Paese, è facile immaginare che assisteremo presto all’instaurazione dei primi casi.
Quanto agli attori coinvolti, non si tratta solo di ONG ambientaliste ma anche di partiti politici, individui e gruppi di popolazioni indigene. Viceversa, la gran parte dei convenuti è rappresentata da Stati ma non mancano azioni verso singole imprese.
Anche in Italia i tribunali potrebbero essere chiamati a giudicare sulla responsabilità di Stato e imprese per i cambiamenti climatici
Per il giurista è interessante analizzare e ricondurre a categorie giuridiche conosciute le pretese fatte valere in giudizio. A tale proposito, si possono distinguere i casi in cui il cambiamento climatico è il fondamento dell’azione da quelli in cui questo fenomeno si affianca ad asserite violazioni di diritti e interessi di varia natura.
In alcuni casi – soprattutto statunitensi e sudamericani – si contesta una violazione di specifiche previsioni di leggi nazionali, in altri l’obbligo di mitigare gli effetti del cambiamento climatico viene ricondotto a principi più generali. Ciò che si sostiene, in particolare, in questo tipo di contenziosi è la violazione di alcuni diritti umani fondamentali nell’ambito del cambiamento climatico, quali il diritto alla vita, alla salute, al cibo e all’acqua.
Si ricorda, in tal senso, il caso Urgenda in cui per la prima volta una Corte Suprema – quella olandese – ha imposto al proprio Governo la riduzione del livello di emissioni argomentando sulla base di alcuni diritti fondamentali riconosciuti nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (il diritto alla vita di cui all’articolo 2 e il diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’articolo 8) e dell’obbligo di ciascuno Stato di approntare un rimedio legale effettivo ed efficace contro ogni violazione, perpetrata o anche solo potenziale, dei diritti tutelati dalla Convenzione.
Diritto alla vita, alla salute, al cibo e all’acqua: le violazioni dei diritti umani contestate
Si pone nello stesso solco una sentenza del Tribunale amministrativo parigino del 3 febbraio 2021, che, su azione di quattro ONG, ha condannato il Governo francese a pagare un risarcimento morale di entità simbolica, pari a 1 euro, per non aver posto in essere azioni efficaci per il raggiungimento dei target dell’accordo di Parigi. Tale controversia è tuttora pendente in attesa dell’eventuale imposizione di misure idonee a rimediare al danno arrecato.
La sentenza – che è stata definita ‘il caso del secolo’ – ha statuito il principio della responsabilità di uno Stato per i danni riconducibili ad una condotta omissiva. In particolare, secondo la Corte, vi sarebbe un nesso causale tra il mancato raggiungimento di obiettivi per contrastare il cambiamento climatico e il danno ecologico causato e le ONG avrebbero titolo giuridico per chiedere l’ottenimento di misure idonee a eliminare o mitigare i danni prodotti. Sarà interessante, quindi, seguirne gli sviluppi e esaminare quali misure in concreto saranno imposte allo Stato francese.
Ad oggi si registrano molteplici casi simili in attesa di definizione in vari Paesi europei, nel continente americano e in Corea del Sud.
Per la Corte di Parigi esisterebbe un nesso causale tra il mancato raggiungimento di obiettivi ambientali nazionali e il danno ecologico causato
I contenziosi promossi contro soggetti privati che esercitano attività particolarmente emissive, si basano, invece, su danni alla salute, falsa rappresentazione agli investitori circa l’impatto della loro attività sul climate change e il ‘greenwashing’, ossia la diffusione di messaggi ingannevoli circa la sostenibilità ambientale senza che ciò corrisponda a un reale comportamento dell’impresa.
Sebbene, ad oggi, non molti contenziosi abbiano avuto successo, casi come Urgenda e quello della Corte parigina nonché il sempre crescente numero di azioni intentate negli Stati Uniti e nel resto del mondo non possono essere ignorati.
A seguito della sentenza nel caso Urgenda, i Paesi Bassi hanno adottato provvedimenti specifici al fine di ridurre le proprie emissioni e lo stanziamento di 30 miliardi di euro nell’ambito dello schema SDE++ a testimonianza di un cambio di rotta. Questo provvedimento è stato approvato dalla Commissione come aiuto di Stato compatibile con il mercato comune poiché necessario per la realizzazione di investimenti volti alla riduzione dei gas ad effetto serra.
Ma anche quando i contenziosi non hanno un impatto diretto sulle policy, inevitabilmente le condizionano perché rivelano un sentimento diffuso crescente circa il ‘diritto climatico’ di cui tenere conto al fine del mantenimento del consenso politico.
A ciò si aggiungono gli impatti sulle imprese, spesso partecipate dallo Stato, sia in termini di misure da queste adottate per evitare il rischio di contenziosi, sia in termini finanziari, in particolare sui prezzi di strumenti quotati di imprese emissive.
È comunque ragionevole attendersi un’ulteriore evoluzione dei contenziosi sul climate change visto il quadro normativo che si sta consolidando sia a livello nazionale sia internazionale e che fornirà sempre più spesso la base giuridica, e non solo ideologica, a fondamento di tali azioni.
Un ‘diritto climatico’ ancora emergente, ma che già incombe su politiche nazionali e strategie aziendali
Sono sempre più numerosi, infatti, i provvedimenti che rispondono specificamente all’emergenza climatica. Accanto ai documenti programmatici – quali a livello internazionale, ad esempio, l’Accordo di Parigi COP 21, la UN 2030 Agenda for Sustainable Development o l’EU Green Deal – singoli Stati e organizzazioni internazionali promuovono la tutela del clima attraverso specifiche norme di legge.
A livello europeo, ad esempio, è in vigore ormai da tempo il sistema di scambio delle quote di emissione (EU ETS), che, con uno schema di cap-and-trade, pone un onere economico in capo alle imprese nei settori dell’energia, dell’industria e dell’aviazione che emettono gas a effetto serra.
È indicativo che il trend dei prezzi di mercato di tali quote sia in rialzo e ciò costituisce un ulteriore incentivo al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione delle imprese soggette agli obblighi ETS.
Quanto agli obblighi di disclosure, l’Unione Europea ha dapprima emanato il Regolamento sull’informativa di sostenibilità dei servizi finanziari (Sustainable finance disclosure regulation – SFDR) e, successivamente, il Regolamento sulla tassonomia.
Il primo, entrato in vigore lo scorso 10 marzo 2021, ha uniformato i requisiti e gli obblighi di reporting dei processi di investimento in capo ai partecipanti ai mercati finanziari.
Il secondo sarà integrato da un Regolamento delegato della Commissione che specificherà i criteri tecnici di screening in base ai quali specifiche attività economiche possono contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici e all’adattamento ai cambiamenti climatici. In tale contesto, secondo la bozza di atto delegato pubblicata dalla Commissione il 20 novembre 2020, il criterio DNSH (do not significant harm) sarà utilizzato per determinare se tali attività economiche causino o meno danni significativi a qualsiasi altro obiettivo ambientale rilevante.
L’abbondante corpus normativo nazionale ed europeo fornirà la base per futuri contenziosi
Anche sul fronte italiano, i principi costituzionali del diritto all’ambiente e del diritto alla salute, tutelati dagli articoli 9 e 32 della Costituzione, rispettivamente, hanno trovato puntuale attuazione in norme di diritto positivo – tra tutte, il cd. Testo Unico Ambientale e il cd. ‘decreto clima’– oltre che in documenti programmatici quali, ad esempio, il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC).
È lecito, quindi, attendersi che il contenzioso sul cambiamento climatico verterà sempre più spesso sulla violazione di specifiche norme di diritto positivo anziché argomentando sulla base di diritti fondamentali riconosciuti da convenzioni internazionali. Un vero e proprio ‘diritto climatico’ non esiste ancora, ma già incombe su politiche nazionali e strategie aziendali.
Per approfondire:
I database internazionali più completi e affidabili di monitoraggio sui contenziosi in tema di climate change, su cui sono stati realizzate molte relazioni (incluso il rapporto di Joana Setzer e Rebecca Byrnes – Global trends in climate change litigation: 2020 snapshot del luglio 2020), sono quelli del Sabin Center for Climate Change Law della Columbia Law School e del Climate Change Laws of the World (CCLW).
Lorenzo Parola e Francesca Morra, Herbert Smith Freehills Studio Legale
Sul tema ambiente e diritto climatico leggi anche:
Olanda, storica sentenza della Corte Suprema in materia di climate change, di Lorenzo Parola e Vanessa Nobile, 28 Gennaio 2020
Revisione degli incentivi e controversie: i casi di Italia e Spagna, di Redazione, 20 Settembre 2019
L’Energy Charter Treaty e le controversie tra Stati e investitori stranieri, di Lorenzo Parola, Teresa Arnoni, Vanessa Nobile e Fabio Angelini, 16 Luglio 2019
COVID-19 getta un’ombra d’incertezza sui PPA e lo sviluppo delle rinnovabili, di Lorenzo Parola, Francesca Morra e Simone Egidi, 16 Aprile 2020
Foto: Unsplash
Che il mondo proceda sempre più in direzione folle è da tempo noto e quanto stiamo subendo neghli ultimi 15 mesi ne sono un eclatante esempio.
Da tempo la speculazione sui temi del clima impazza e dici bene Lorenzo, l’ideologia sta sempre più prendendo piede fagocitata dai tanti speculatori pseudo-ambientalisti.
Parlare di : “diritto climatico”,”giustizia del clima”, “neutralità climatica” è davvero un’assurdità che chiamare eresia blòasfema non è certo fuori luogo.
Eppure ci sarebbe la storia del clima a disposizione per rendersi conto di quanto fallaci siano tali fuorvianti teorie, ma l’approfondimento non è iniziativa comune e così continuiamo ad ubriacarci e sperperare un’enormità di risorse che meriterebbero di essere investite in cose molto ma molto più urgenti e concrete. In primis l’enorme divario di sviluppo che continua a penalizzare oltre un terzo della popolazione mondiale che vive nei troppi Paesi sotto sviluppati del pianeta, dove ciò che davvero mancva è un ragionevole accesso all’energia, quella davvero sostenibile che solo le Fonti Fossili ed il Nucleare, per ora e per molti decenni a venire, è a disposizione dell’umanità per prosperare e migliorare le condizioni di vita sul Pianeta.
Ma c’è chi vive satollo nei paesi avanzati e preferisce insegujire il “pifferaio magico” anzichè+ aprire gli occhi e metterrsi una mano sulla coscienza, anche ad altissimi livelli, purtroppo!
Riuscirà l’umanità a svegliarsi e scrollarsi di dosso tale ingannevole incubo, per riprendere un cammino più razionale? Speriamo!