Il TAP e la geopolitica del gas proiettano il conflitto per il Nagorno-Karabakh oltre i suoi confini prettamente regionali. Il Caucaso è centrale per l’ambizione europea di costituire una rotta di approvvigionamento alternativa alla Russia che produrrebbe benefici sia di mercato che di sicurezza. Ma le tensioni politiche nell’area – deste o latenti, micro o macro-regionali – restano un ostacolo difficilmente sormontabile. Oltre ad Armenia e Azerbaijan, l’asse che desta maggiori preoccupazioni in Europa è infatti quello tra Turchia e Russia.
La recente inaugurazione del Trans Adriatic Pipeline (TAP) rappresenta un passo importante per le politiche europee di diversificazione degli approvvigionamenti dalla Russia, incrementando la sicurezza energetica dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
Nonostante il suo impatto non debba essere sovrastimato, l’operatività del TAP costituisce un asset strategico in funzione dei futuri progetti infrastrutturali che collegano il Caucaso al Mediterraneo.
In un simile quadro, il conflitto tra Armenia ed Azerbaijan per il Nagorno-Karabakh potrebbe avere implicazioni più rilevanti e trasversali di quanto la natura – de facto regionale – delle ostilità possa suggerire.
Il TAP e la geopolitica del gas proiettano il conflitto per il Nagorno-Karabakh oltre i suoi confini prettamente regionali
Gli idrocarburi presenti nel Mar Caspio stanno spingendo paesi della regione – come l’Azerbaijan che dispone dell’1,4% delle riserve globali di gas – ad approfondire il dialogo con compagnie e governi stranieri per l’export e la monetizzazione delle risorse.
Ne sono riprova l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC), operativo dal 2006, e il gasdotto del Caucaso meridionale (South Caucasus Pipeline, SCP), il primo dei tre segmenti che compongono il Corridoio Meridionale del Gas (Southern Gas Corridor, SGC) insieme a TANAP e TAP.
Il Corridoio – della lunghezza di 3.500 km – parte dal giacimento azero di Shah Deniz II e trasporta 16 mld mc/a di gas, di cui 8 destinati all’Italia. È stato riconosciuto dall’UE come Progetto di Interesse Comune (PCI), in quanto ritenuto valida alternativa a Mosca e alla tratta ucraina, specie per i paesi dell’Europa sud-orientale.
Progetto che, vale rilevare, può raddoppiare le forniture avvalendosi di interconnettori come l’IGB (Interconnector Greece-Bulgaria) che dal TAP si dirama verso Grecia e Bulgaria.
Di norma, maggiori fonti di approvvigionamento e condotte di trasporto contribuiscono a rendere più omogenei i meccanismi di prezzo nelle Borse europee del gas. Il processo di armonizzazione tra i vari hub europei ne risulta agevolato garantendo migliori condizioni d’acquisto nei paesi in cui i prezzi del gas sono più elevati. Si ridurrebbero, ad esempio, le differenze tra il Punto di Scambio Virtuale italiano (PSV) e il Title Transfer Facility olandese (TTF), benchmark europeo per il mercato spot del gas.
Inoltre, una crescita dei volumi destinati al Vecchio Continente andrebbe a rafforzare la base per contratti d’approvvigionamento indicizzati non più al petrolio (come previsto, ad esempio, negli accordi tra Italia e Russia o Algeria), ma ai prezzi scambiati negli hub di gas di riferimento producendo un effetto virtuoso sui prezzi.
Più flessibilità, rapidità di reazione a cambiamenti di mercato, prezzi favorevoli non sono solo benefici economico-finanziari ma anche strumenti di pressione tolti dalle mani di paesi esteri
Da un punto di vista economico-finanziario, significa maggiore flessibilità, reazioni più rapide ad eventuali cambiamenti di mercato, prezzi più favorevoli. Da quello politico, 3 strumenti di pressione tolti dalle mani degli Stati che godono di una posizione dominante sul mercato energetico e la esercitano per obiettivi di politica estera.
Sotto questo profilo, le tensioni tra Armenia e Azerbaijan contribuiscono a minare le speranze europee di beneficiare delle risorse del Caucaso. Il conflitto irrisolto e imprevedibile disincentiva di fatto i flussi di capitale verso l’area.
Le tensioni tra Armenia ed Azerbaijan disincentivano i flussi di capitale nella regione a causa del carattere ancora irrisolto e imprevedibile del conflitto
Il Nagorno-Karabakh è un territorio a maggioranza armena, ma assegnato nel 1923 per volontà di Stalin alla Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaijan. Dal 1994 è teatro di ricorrenti e violenti scontri, iniziati a seguito della proclamazione della propria indipendenza da Baku con il nome di Repubblica dell’Artsakh (internazionalmente, Nagorno-Karabakh) sostenuta militarmente dall’Armenia e con capitale Stepanakert.
Numerosi sono stati i tentativi di mediazione da parte, prima, dal Gruppo di Minsk (Russia, Stati Uniti e Francia) e, più recentemente, dall’UE, con esiti tuttavia insoddisfacenti. Le ostilità sono ben lontane dall’essere archiviate, nonostante Baku si sia imposta militarmente nell’ultimo confronto. Ne sono riprova le violente proteste scoppiate a Yerevan dopo l’accordo per un cessate il fuoco che ha visto l’Azerbaijan mantenere i territori conquistati a seguito degli scontri tra luglio e novembre scorsi.
Turchia-Russia è la tensione latente che più preoccupa l’Europa
L’asse che desta maggiori preoccupazioni in Europa per l’approvvigionamento dal Caspio, tuttavia, è quello tra Turchia e Russia.
In altre parole, Russia e Turchia condividono alcune, strategicamente rilevanti, porte di casa e non sembrano intenzionate a lasciarne le chiavi di accesso a un diretto competitor. Simili posizioni sono corroborate dalla crescente presenza militare di Mosca e Ankara nell’area.
La prima legata all’Armenia dal Collective Security Treaty Organization forte di una base militare di circa 3.000 uomini. A seguito degli accordi di cessate il fuoco, ha dispiegato altri 2.000 soldati come forze di pace a presidiare il Corridoio Lachin, che collega la capitale del Karabakh, Stepanakert, all’Armenia.
Secondo alcune indiscrezioni Ankara sta costruendo basi aeree a Ganja, la seconda città dell’Azerbaijan, e già durante il più recente conflitto diversi F-16 turchi hanno sorvolato lo spazio aereo armeno e del Nagorno per poi rientrare in Azerbaijan.
Se gli accordi del 10 novembre tra Armenia e Azerbaijan hanno visto la mediazione fondamentale di Mosca, che ha così mantenuto il suo ruolo di arbitro del Caucaso meridionale, Ankara, pur non coinvolta a livello diplomatico, si è ritagliata uno spazio di primo piano nel conflitto, consolidando e accrescendo tanto la sua influenza nella regione quanto la sua leadership nel mondo musulmano appoggiando Baku.
Ma più che a uno scontro diretto, Russia e Turchia potrebbero puntare a mantenere irrisolto il conflitto lasciando l’Europa fuori dall’area
Nonostante la guardia alta della Russia e il muscolarismo della Turchia, una futura escalation del conflitto in Nagorno-Karabakh che porti a confronto diretto tra i due paesi sembra un’ipotesi remota. Al contrario, la strategia a loro più congeniale potrebbe essere quella di mantenere lo status quo nella regione, attraverso un clima teso che comprende esercitazioni militari congiunte e, soprattutto, traendo vantaggio dal carattere indefinito del conflitto.
In tal senso, Russia e Turchia possono disporre della pedina del Nagorno per tutelare i propri interessi, in particolare quelli energetici.
Da una parte, Putin è consapevole dell’attenzione di Bruxelles alle risorse del Caspio e punta a scoraggiare il finanziamento di nuovi progetti di diversificazione da Mosca che ne minerebbe il ruolo di principale approvvigionatore di gas in Europa.
Dall’altra, Erdogan punta a preservare e accrescere il ruolo della Turchia come paese di transito, continuando a sostenere militarmente e politicamente Baku, fondamentale per la sicurezza energetica della Turchia e importante investitore nella sua precaria economia. Bisogna ricordare, infatti, che SOCAR (la compagnia petrolifera azera che gestisce il giacimento di Shah Deniz ed è tra gli azionisti di maggioranza del TAP) è diventata il principale investitore estero in Turchia.
Inoltre, allo scopo di inibire progetti che possano compromettere i loro interessi, Mosca e Ankara potrebbero scoraggiare investimenti europei nel Caucaso innescando nuove tensioni.
In conclusione, dagli scontri del 1994, la conflittualità nell’area si è estesa e inasprita per la combinazione di una serie di fattori e la moltiplicazione degli attori coinvolti.
In primo luogo, il significativo aumento nello scorso decennio della produzione di gas dell’Azerbaijan che le ha permesso di migliorare la sua performance economica e, inter alia, assumere una posizione militarmente privilegiata nel suo conflitto con l’Armenia.
In secondo luogo, le politiche maggiormente assertive della Turchia, sostenute da un piano di leadership regionale e nel mondo arabo che passano anche dalla sicurezza energetica e che contribuiscono a metterla di fronte a una Russia con cui condivide parte del ‘cortile di casa’ di quest’ultima.
3 considerazioni finali: sul confronto Armenia-Azerbaijan; sul rapporto Russia-Turchia; sulle ambizioni europee
Per quanto riguarda l’approvvigionamento europeo, nonostante un’eventuale ripresa delle ostilità non sembri in grado di minacciare le attuali (e modeste) forniture di gas provenienti dal Caspio e dirette verso l’Europa, il quadro risulta essere molto più complesso e il TAP indirettamente lo evidenzia.
Infatti, come sottolineato da Joseph Murphy – presidente di BP in Turchia – il gasdotto trans-adriatico non rappresenta un game changer in termini di reale approvvigionamento. La sua maggior rilevanza risiede nella strategicità dell’infrastruttura e in un progetto che può essere ampliato, fornendo ai paesi dell’Europa Sud-orientale (dall’Italia alla Grecia, dalla Romania ai Balcani) ulteriori canali di importazione da quelli altalenanti di Russia, Libia e Algeria.
Un’espansione del Corridoio Meridionale del gas, oltre a dover fare i conti con i piani europei di decarbonizzazione che rendono la messa in cantiere di grandi opere infrastrutturali per fonti fossili sempre più difficile, si deve confrontare anche con il contesto geopolitico nel Caucaso, del quale il conflitto in Nagorno-Karabakh rappresenta una piccola ma fondamentale pedina.
Gabriele Ghio è analista di geopolitica dell’energia
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Immagine: Unsplash
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