Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza adottato dal Consiglio dei Ministri il 12 gennaio ha sollevato non poche osservazioni in materia energetica e ambientale, sia di merito che di metodo. Alberto Clô e GB Zorzoli hanno raccolto le principali critiche nell’editoriale in pubblicazione su ENERGIA 1.21. Prima di essere presentato all’Europa entro il 30 aprile, il PNRR dovrebbe soprattutto assimilare due lezioni essenziali del Presidente Einaudi.
“Mai come in questo momento dovremmo far tesoro delle lezioni di Luigi Einaudi. Specialmente di due: «Prima conoscere, poi discutere, poi deliberare» contenuta nelle Prediche Inutili del 1956 e «Dove sono troppi a comandare, nasce la confusione» riportata nel volume Il Buongoverno (1). Vien da chiedersi se queste due lezioni siano state seguite nell’elaborare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR o Recovery Plan), articolato in 6 «Missioni», 16 «Componenti», 47 «linee di interventi» (2).
Piano che dovrebbe ridisegnare il futuro del Paese in linea con le priorità fissate nel Next Generation EU (NGEU) (3) e col Recovery and Resilience Fund (4) che indica riforme e investimenti per i prossimi cinque anni. I fondi assegnati all’Italia ammontano a 196,5 miliardi di euro, distribuiti per un terzo in sovvenzioni a fondo perduto (grants) e due terzi in prestiti (loans) (5).
A questi se ne aggiungono altri per un totale dei fondi a noi disponibili di 223,91 miliardi di euro (…). Quasi più della metà di quanto gli Stati Uniti ci riconobbero col Piano Marshall del 1948 (6).
“Prima conoscere, poi discutere, poi deliberare. Dove sono troppi a comandare, nasce la confusione”. Chi ha redatto il PNRR ha seguito queste lezioni?
Riteniamo che la risposta alla domanda posta all’inizio non possa che essere negativa, almeno per quanto riguarda la Missione 2 – Rivoluzione verde e transizione ecologica – cui sono destinati 69,8 miliardi di euro (31% del totale), e la Missione 3 – Infrastrutture per una mobilità sostenibile – con una dotazione di 31,98 miliardi (14%). Negativa per ragioni di metodo e di merito.
Sul piano del metodo, nel redigere il Piano, riprendendo il monito di Einaudi, sono stati «troppi a comandare» derivandone così una grande «confusione», senza un coordinamento centrale capace di amalgamare e rendere coerente la congerie di contributi forniti da diversi soggetti espressione spesso di interessi particolari. La questione è dirimente per due ragioni.
In primo luogo, perché disattende (…) la necessità che gli Stati membri individuino l’organismo tecnico, o «cabina di regia» che dir si voglia (CIPE? Presidenza del Consiglio? MEF? Responsabili singoli Ministeri?), deputato a controllare l’effettiva implementazione dei progetti, nei contenuti e tempi previsti; a verificarne la coerenza rispetto ad altre linee di intervento; a comporre dissidi e conflitti di competenza; non ultimo a vagliare i progetti qualificabili come effettivamente verdi, evitando di disperdere i denari in mille rivoli e sussidiando ogni balzana idea. Quel che il Recovery Plan non ha fatto.
(…) In secondo luogo, è dirimente perché l’effettiva erogazione dei fondi spalmata dal 2021 al 2026 sarà subordinata all’iniziale approvazione dei Piani nazionali da parte della Commissione, da presentarsi formalmente entro il 30 aprile prossimo, ma anche al conseguimento degli obiettivi intermedi e finali dei progetti indicati, sotto lo sguardo feroce in entrambi i casi dei cosiddetti «paesi frugali» del Nord Europa.
Se i progetti saranno valutati come troppo generici, come a noi talora sembra, o non verranno realizzati secondo i contenuti e le scadenze temporali indicate, le risorse potrebbero o non essere assegnate o essere interrotte
(…) La mancata definizione di una precisa governance deriva dal fatto che i progetti, almeno per la parte relativa ad energia e clima, siano stati formulati da più mani – strutture ministeriali, enti pubblici, associazioni di categoria, società private – recependo le richieste e le aspettative più disparate, in assenza di un loro coordinamento rispetto all’esigenza di realizzare programmi di spesa capaci di massimizzarne l’impatto espansivo dell’economia e dell’industria nazionale dando seguito alle linee del Green Deal europeo.
I progetti in energia e clima sono stati formulati da più mani, recependo le richieste e le aspettative più disparate
Relativamente alle questioni di merito la lezione einaudiana – «conoscere per deliberare» – sembra esser stata ancor più disattesa. Quattro le critiche dirimenti.
Primo: la totale assenza di un quadro concettuale organico dei diversi progetti inseriti nel Piano – rispetto all’effettiva situazione energetica del nostro Paese (…);
Secondo: la conseguente mancata evidenziazione delle potenziali «sinergie» dei vari progetti concepiti come compartimenti stagni (…);
Terzo: l’assenza di ogni valutazione sull’impatto economico-sociale dei progetti proposti (…);
La quarta critica attiene alla congruità tra il Recovery Plan e il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) richiesta dalle regole comunitarie (…).
Non vi è dubbio che il perno dei piani nazionali di green recovery dovrà essere la realizzazione delle infrastrutture essenziali per fronteggiare il riscaldamento globale, ma nondimeno perché possono innescare «processi di aumento della produttività totale dei fattori, creando quindi surplus permanenti» (20) in grado di incrementare benessere e tasso di crescita in maniera da evitare un ulteriore distanziamento dai principali paesi europei, anche contribuendo a ridurre il debito pubblico.
Infrastrutture finalizzate a più obiettivi:
(a) rafforzare l’interconnessione dei mercati nazionali per il completamento dei mercati unici europei (elettricità e gas naturale);
(b) sfruttare il potenziale delle risorse rinnovabili, sviluppandone l’integrazione nel sistema elettrico in condizioni di massima sicurezza e resilienza;
(c) adeguare le reti alle nuove tecnologie che si vanno configurando o costruendone ex novo come nel caso della rete di ricariche elettriche.
La sfida è trovare progetti in grado di incrementare benessere, crescita e ridurre il debito pubblico
Quel che richiederà uno sforzo straordinario di programmazione e una capacità di realizzazione sinora verificatasi di rado (21). Obiettivo conseguibile, se contestualmente alla definizione e implementazione dei progetti, attueremo – proprio per potervi dar seguito – quelle riforme istituzionali richieste dalle autorità dell’Unione (…)”.
Il post presenta l’editoriale Le lezioni di Einaudi e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (pp. 8-11) di Alberto Clô e G.B. Zorzoli pubblicato su ENERGIA 1.21
Alberto Clô è Direttore Scientifico di ENERGIA
G.B. Zorzoli è membro del Comitato Scientifico di ENERGIA
Foto: unsplash
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