22 Marzo 2021

Petrolio: ‘geopolitics (still) matters’

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L’ultimo attacco dei ribelli yemeniti all’Arabia Saudita non ha intaccato la tenuta dei mercati petroliferi come invece era accaduto nel 2019. Viene da chiedersi, quindi, se la variabile geopolitica possa ritenersi ormai irrilevante oppure se sussistano fattori di crisi che possano far ritenere che nel petrolio ‘geopolitics (still) matters’. L’aggravarsi delle tensioni geopolitiche in Medio Oriente, specie guardando agli sviluppi nelle relazioni tra USA e Arabia Saudita, potrebbe accentuare la crescita dei prezzi del petrolio consolidando il rischio di un nuovo super-ciclo dei prezzi delle materie prime

Il 7 marzo scorso, esattamente come il 13 settembre 2019, i ribelli yemeniti Houthi, supportati dall’Iran, hanno attaccato con 14 droni e 8 missili balistici le infrastrutture petrolifere dell’Arabia Saudita. Allora l’obiettivo era la raffineria di Abqaiq, la più grande del mondo con una capacità di 7 milioni barili al giorno (mil. bbl/g); oggi il nevralgico terminal di esportazione di Ras Tanura (6,5 mil. bbl/g). Mentre allora i prezzi aumentarono in poche ore di circa il 15% a ridosso dei 70 dollari al barile, l’aumento questa volta è stato minimo a valori ugualmente prossimi ai 70 dollari al barile.

La ragione di questa differenza sta in primo luogo nel fatto che questa volta l’obiettivo degli attacchi è fallito grazie ai sistemi difensivi sauditi, mentre allora misero fuori servizio circa la metà della produzione saudita, pari ad oltre il 5% di quella mondiale. Riyad riuscì in poco tempo a rimediare ai guasti provocati dall’attacco, mentre la capacità estrattiva disponibile (spare capacity) non era in grado di rimpiazzare le quantità perse. Quando la crisi rientrò, nel giro di una settimana i prezzi ripiegarono a 60 dollari al barile, attorno a cui oscillarono sino verso fine anno.

La seconda ragione della tenuta dei mercati è stata l’assoluta indifferenza con cui l’ultimo attacco, diversamente dal primo, è stato considerato nella politica internazionale e nei media. Quasi che la variabile geopolitica fosse stata definitivamente espunta dall’equazione petrolifera o ancor prima, che il petrolio fosse stato espunto dall’equazione energetica mondiale.

Perché l’attacco all’Arabia Saudita del 7 marzo è stato ignorato dai media? La geopolitica non conta più nell’equazione energetica mondiale?

Presunzioni in entrambi i casi a mio avviso totalmente errate e pericolose. Ne sono dimostrazione i dati del 2020 che i più riportano a dimostrazione dell’approssimarsi della ‘fine del petrolio’. Ebbene, in un anno in cui il mondo si è letteralmente fermato, i consumi di petrolio si sono ridotti in media d’anno di appena il 10%, a 91,0 mil. bbl/g, rispetto ai 100 del 2019, risaliti a 93,9 nel primo trimestre 2021 e previsti risalire a 99,2 nel quarto trimestre (IEA, Oil Market Report, marzo 2021).

Vien da chiedersi – con le macchine ferme, gli aerei a terra, i traffici internazionali bloccati, le fabbriche chiuse per mesi – come e dove lo si sia consumato. Morale: quando l’economia riprenderà, i consumi risaliranno oltre i livelli pre-crisi. Secondo l’Agenzia di Parigi a 104,1 mil. bbl/g nel 2026 (IEA, Oil 2021 – Analysis and forecast to 2026, 2021).

Se ciò è probabile, o almeno non escludibile, la domanda da porsi tornando all’attacco yemenita è se la variabile geopolitica possa ritenersi ormai irrilevante in uno scenario politico internazionale diverso da quello del 2019. Partendo proprio dal rischio di un aggravarsi della ‘guerra dimenticata’ tra Yemen-Arabia Saudita, riflesso dell’infinito scontro tra Teheran e Riyad.

Se nel 2019 infatti poteva darsi per certo il sostegno di Trump a Riyad, lo stesso non può dirsi con Joe Biden che ha rimosso l’accusa di terrorismo al movimento yemenita; ha messo in discussione la vendita di armi non difensive a Riyad, che lo scorso anno Trump aveva utilizzato come leva per far cessare la guerra dei prezzi tra Arabia Saudita e Russia; non ultimo, ha accusato il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman per l’uccisione del giornalista Khasshogi.

Biden mette in discussione il rapporto con Riyad, alterando il precedente equilibrio in Medio Oriente

Questi ed altri fattori di crisi in Medio Oriente fanno ritenere che nel petrolio ‘geopolitics matters’. Disinteressarsene specie per chi più dipende dal petrolio, come l’Europa, è un’emerita sciocchezza. Secondo il Petroleum Intelligence Weekly, un po’ il mattinale dei petrolieri, “As oil markets tighten further in coming months, geopolitical risk will likely weigh more heavily on traders’ minds, potentially providing more bullish fodder for crude(PIW, Saudi Attacks Put Geopolitics Back in Focus, 12 marzo).

Un aggravarsi delle tensioni geopolitiche potrebbe, in sostanza, accentuare la crescita dei prezzi del petrolio (+75% da inizio novembre scorso) consolidando il rischio di un nuovo super-ciclo dei prezzi delle materie prime.

Nel petrolio ‘geopolitics matters’. Disinteressarsene, specie per chi più dipende dal petrolio come l’Europa, è un’emerita sciocchezza

A contribuire a questo rialzo potrebbero concorrere altri fattori. L’ottima tenuta, in primo luogo, dell’intesa OPEC Plus che ha ribadito la decisione di non allentare la presa sul controllo restrittivo dell’offerta di petrolio che ha consentito la ripresa dei prezzi, in attesa che a farlo sia la risalita della domanda grazie alla diffusione delle vaccinazioni e alle politiche espansive fiscali e monetarie. La possibilità, in secondo luogo, che diversamente dal passato i produttori americani dell’oil shale non approfittino del rialzo dei prezzi per accrescere la produzione, preferendo rimborsare finanziatori e investitori, mentre Biden ha reso molto più difficile l’accesso alle public lands vietandovi la fratturazione idraulica. Se così sarà, l’OPEC Plus potrà favorire il rialzo dei prezzi senza perdere quote di mercato come in passato.

Il crollo degli investimenti upstream, la tenuta dell’OPEC Plus e della produzione shale possono favorire il rialzo dei prezzi  

A favorire questo rialzo sarà, non ultimo, il ‘vuoto di offerta’ che si avvertirà nei prossimi anni a causa del crollo degli investimenti nell’upstream petrolifero in atto dal contro-shock del 2014 e acuito dall’anno orribile del 2020. Un nuovo e duraturo strappo dei prezzi, che taluni proiettano addirittura verso i 200 doll/bbl, potrebbe generare conseguenze solo in parte simili a quelle osservate con gli shock petroliferi del 1973-74, 1979-80, 2007-08.

Mentre oggi non ne dovrebbe derivare come in passato una svolta depressiva del ciclo economico, potrebbe però similmente registrarsi un abbassamento della traiettoria dei consumi, rendendo più convenienti le alternative all’impiego del petrolio. Quel che si ebbe negli anni Settanta con lo spiazzamento dell’olio combustibile nella generazione elettrica, a favore di nucleare, carbone, gas naturale, ed oggi dei carburanti a favore delle vetture elettriche. Oggi, come allora, “un consumo perso è perso per sempre”.

Prezzi alti nei mercati petroliferi spingerebbero i consumatori a considerare alternative più convenienti

Una simile prospettiva pone un trade-off esistenziale per i paesi produttori e le compagnie petrolifere: favorire il rialzo dei prezzi del petrolio avvicinandone però il picco della domanda o, alternativamente, spostarlo nel tempo seguendo la strategia definita in teoria come il ‘green paradox’: che le imprese massimizzino nel breve la loro produzione per diminuire l’esposizione al rischio delle politiche climatiche che ridurrebbero il valore delle loro risorse, così esacerbando le emissioni e deprimendo i prezzi. Preferendo in sostanza il poco al niente, ma rendendo più difficoltosa la transizione al dopo-fossili.

Ai paesi produttori e alle Oil Companies la sfida più ardua: scegliere tra il ‘peak oil’ e il ‘green paradox’

Politiche climatiche che ignorano le leggi dell’economia – come quelle volte alla riduzione forzata della domanda – possono essere controproducenti, al punto da accrescere e non ridurre il global warming.


Alberto Clò è Direttore Scientifico di ENERGIA


Sul tema della geopolitica leggi anche:

Il futuro del petrolio nel ‘Mondo Virato’, di Redazione, 15 Marzo 2021
Il nodo del Nagorno-Karabakh nella trama energetica del Caucaso, di Gabriele Ghio, 1° Marzo 2021
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