Un libro, due opinioni. Alberto Clò e Enzo Di Giulio commentano il volume di Bill Gates sul Clima
Il libro di Bill Gates sul clima non è l’ennesimo libro su come salvare il mondo dalla catastrofe ambientale. È ben altro. È una guida su come riuscirvi. Senza ipocrisie, false illusioni, inutili promesse: quel che fa di questo libro un libro scomodo.
Gates si dice comunque ottimista sulla possibilità di vincere la lotta al riscaldamento del Pianeta, distinguendo però «ciò che è probabile da ciò che è possibile ma improbabile»(p. 39). Lo fa forte delle conoscenze che ha appreso nei numerosi incontri con scienziati di varie discipline e con imprenditori. Ma anche leggendo i libri dello storico energetico Vaclav Smil o di scienziati climatici come Ken Caldeira o John Cox. Sin dall’inizio, Gates affronta la «crudele ingiustizia» (p. 252) dei paesi poveri che più soffrono del surriscaldamento pur avendo meno contribuito a generarlo.
Alle diseguaglianze Nord-Sud aggiunge quelle tra fasce di reddito delle popolazioni: quelle ricche e di reddito medio, che provocano la maggior parte delle emissioni, e quelle povere, che ne pagano di più le conseguenze. E, aggiungiamo noi, su cui più ricadono i costi delle politiche climatiche.
Gates affronta ogni questione con approccio pragmatico, da imprenditore, di chi ha investito molto in start-up per far progredire innovazioni potenzialmente in grado di rispondere ai mille problemi che la decarbonizzazione pone in tutti i settori da cui originano le emissioni di gas serra: 51 miliardi di tonnellate ogni anno. Li esamina uno ad uno evidenziando da quali attività derivano, quali soluzioni si prospettano, i costi che ne conseguono, le difficoltà da superare. Per riuscirvi «ci vorranno decenni perché i prodotti verdi si diffondano su una scala abbastanza grande» (p. 249).
È consapevole di trovarsi in una posizione privilegiata, e non nega di non voler rinunciare a ciò che ha ottenuto nella vita: dal volare su jet privati al mangiare gli hamburger che ama. Ma vuol far sì che questo sia possibile non solo a lui senza che ne derivino impatti sul clima. Riuscirvi senza generare emissioni.
Per ogni tipo di emissioni espone le risposte che esistono, quelle che potrebbero essere possibili in tempi comunque non brevi, quelle che si intravedono in tempi lunghissimi
Ci crede perché non c’è idea su cui non si sia impegnato con finanziamenti personali o della fondazione che guida con la moglie, per oltre un miliardo di dollari. Seguirlo è affascinante per la sua straordinaria capacità divulgativa, per l’abilità di semplificare le cose, per l’onesta consapevolezza delle difficoltà da superare.
Vi è molto da imparare dal libro di Bill Gates, dai dati che espone spazzando via molta disinformazione. Cominciando dal fatto che se è pur vero che tutta l’attenzione nella transizione verde è rivolta alla generazione elettrica, puntando sulle rinnovabili, è altrettanto vero che l’elettricità rappresenta poco più di un quarto delle emissioni globali di gas serra. Non meno importante è interessarsi quindi degli altri settori – in larga parte trascurati – da cui ne origina il 73%: agricoltura, silvicoltura, alimentare, materiali (acciaio, alluminio, calcestruzzo, cemento, plastica, etc.), riscaldamento, trasporti. Le rinnovabili elettriche, scrive, sono necessarie ma niente affatto sufficienti (p. 75). Le celle solari hanno migliorato il loro rendimento nello scorso mezzo secolo – con un aumento del fattore di conversione della luce del sole che le colpisce dal 15% al 25% – ma in modo insufficiente. Segnate peraltro, almeno sinora, dalla «maledizione dell’intermittenza».
Tutta l’attenzione è rivolta alle rinnovabili, quando la generazione elettrica rappresenta poco più di un quarto delle emissioni globali di gas serra
Per ogni settore vengono forniti dati essenziali: il quantum di emissioni che genera, le modalità con cui avvengono e, aspetto massimamente rilevante, l’aggravio di costo – il «Green Premium» – che bisognerebbe sopportare per passare ai prodotti green. Maggiore è il Premio, maggiore è la difficoltà a adottarli. E per la più parte dei casi esso è molto elevato.
In cinque diversi capitoli viene esposto come originano le emissioni: generazione elettrica (27% emissioni gas serra); produzione di beni (31%); coltivazione dei campi e allevamento degli animali (19%), mobilità (16%, di cui le automobili rappresentano il 7,5%); riscaldamento e raffreddamento (7%). Percentuali che non collimano con quelle che dominano nella percezione generale sull’origine delle emissioni, principalmente imputate ad elettricità e automobili. A cominciare dall’importanza del miliardo di capi di bestiame «che ruttano e scoreggiano ogni anno (per) due miliardi di tonnellate di anidride carbonica» (4% delle emissioni globali). O quanto vi contribuiscano le nostre abitudini alimentari (specie le carne) cui è addebitabile la maggior parte della deforestazione, con la distruzione nel solo 2018 di foreste vergini per 36 milioni di chilometri quadrati.
Ciascuno di questi capitoli chiama in causa la nostra responsabilità individuale. Gli ostacoli sono enormi: crescita della popolazione mondiale, verso i dieci miliardi di persone; conseguente aumento della domanda di energia, del 50% entro metà secolo; sviluppo urbano, col raddoppio del patrimonio edilizio entro il 2060 – «come tirar su un’altra New York al mese per quarant’anni» (p. 69); investimenti «cronicamente bassi» del settore privato nella ricerca e sviluppo, con le aziende energetiche che vi destinano solo lo 0,3% dei profitti.
«Operare delle riduzioni (delle emissioni) entro il 2030 nel modo sbagliato potrebbe addirittura impedirci di azzerarle in futuro»
Nonostante tutto ciò, scrive, «possiamo farcela» (p. 33) ad arrivare ad «emissioni nette vicino allo zero» entro metà secolo, puntando su tre leve: tecnologia, politica, mercato. Iniziando con l’aumentare (almeno di cinque volte) i finanziamenti pubblici alla ricerca e sviluppo soprattutto su progetti «ad alto rischio e ad alto ritorno» in grado di inventare nuove tecnologie a zero emissioni e collaborando sin dall’inizio con l’industria. Finanziamenti essenziali come lo furono quelli nella ricerca per microprocessori più piccoli e veloci.
Per raggiungere l’obiettivo ‘net zero emissions’ entro 2050 occorre puntare su tre leve: tecnologia, politica, mercato
Smentendo molte interpretazioni sul ruolo dei privati, o non-ruolo degli Stati, Gates scrive che in assenza dello Stato «il settore dei personal computer, Microsoft compresa, non avrebbe mai ottenuto il successo che ha avuto» (p. 288). Le politiche governative dovrebbero essere «tecnologicamente imparziali (favorendo tutte le soluzioni che riducono le emissioni, e non solo quelle privilegiate), affidabili (e non a scadenza periodica e successivo rinnovo, come adesso accade spesso) e flessibili (affinché molte società e investitori diversi possano trarne vantaggio)» (p. 319-320). Una ricetta che non trova riscontro nelle politiche correnti tutt’altro che neutrali e tese a privilegiare solo alcune di esse: le rinnovabili.
Non vi è un solo rigo del libro di Bill Gates in cui traspaiano pregiudizi ideologici, preclusioni, interessi (specificando ogni volta le iniziative in cui si è finanziariamente impegnato). Nel novero delle risposte c’è così spazio anche per il nucleare di nuova generazione (su cui pure ha investito), capace di dare un contributo sostanziale all’eliminazione delle emissioni e invece rifiutato al solo pronunciarlo dagli ambientalisti di professione, nonostante «l’energia nucleare uccida molto meno persone delle automobili… e molto meno persone di qualunque combustibile fossile» (p. 136).
L’obiettivo di neutralità carbonica entro il 2030 può rivelarsi controproducente
Di tutte le condizioni necessarie per vincere la complessa sfida dei cambiamenti climatici, quella più insidiosa è il fattore tempo. Un tempo inevitabilmente lungo al punto che illudersi del contrario è pericoloso. «Operare delle riduzioni (delle emissioni) entro il 2030 nel modo sbagliato potrebbe addirittura impedirci di azzerarle in futuro» (p. 306).
Parametrare ogni obiettivo al 2030, un tempo che nell’energia può dirsi breve, può essere controproducente rispetto ad azzerare le emissioni entro il 2050. Accelerare le scelte con fughe in avanti, privilegiando quelle non necessariamente migliori, può allontanarci dall’obiettivo preminente: la salvezza del Pianeta.
Una conclusione sintetizzabile col titolo di un’intervista rilasciata da Bill Gates a «The Guardian» il 15 febbraio scorso dal titolo: La neutralità carbonica in un decennio è una favola. Perché spacciare fantasie?
Bill Gates
Clima. Come evitare un disastro. Le soluzioni di oggi, le sfide di domani
La nave di Teseo, Milano, 2021, pp. 396, 22 euro
Alberto Clò è Direttore Scientifico di ENERGIA
Su questo stesso libro, leggi anche la recensione di Enzo Di Giulio
Foto: Unsplash
Bill Gates è un genio ed ancora una volta dimostra di esserlo. Ha un approccio estremamente pragmatico e non ideologico all’enorme problema del global warming. Confessa che inizialmente era scettico ma dopo aver studiato il problema (con l’aiuto dei migliori scienziati) si è ricreduto e si buttato anima e corpo su come affrontare e possibilmente risolvere il problema. La situazione è complessa e diventerà catastrofica se non faremo nulla. Il problema principale è che le fonti alternative, che non emettono gas serra, sono molto più costose delle fonti tradizionali ed alcuni processi (produzione del ferro e del cemento) sono difficilissimi da ottenere senza emissione di CO2. A dire il vero quasi tutto si può ottenere a patto di avere a disposizione una quantità enorme di energia elettrica da fonti pulite, e siccome solare ed eolico sono fonti molto aleatorie (funzionano solo se splende il sole o tira il vento) e lo stoccaggio dell’elettricità è difficilissimo e costosissimo (Gates ha calcolato che se si volesse stoccare per tre giorni l’elettricità di una città come Tokio occorrerebbero 400 miliardi di dollari e tutte le batterie presenti sulla Terra), per questo motivo è sostanzialmente favorevole all’uso dell’energia nucleare senza la quale difficilmente riusciremo a raggiungere entro il 2050 zero emissioni di carbonio in atmosfera. Un libro da leggere, che fa molto riflettere e che è stato scritto senza le paratie davanti agli occhi tipiche di molti ambientalisti e politici.