27 Aprile 2021

e…che vinca il migliore? l’idrogeno verde e le contraddizioni tra principi

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La neutralità tecnologica è un principio convincente ed efficace. Nelle parole dei policy makers è alla base della transizione energetica europea. Nei fatti non è semplice né da applicare, né da garantire. Come garantirla nonostante il necessario intervento dello Stato? Il caso dell’idrogeno verde mette in luce alcune di queste difficoltà. In particolare, il principio di addizionalità rischierebbe in modo concreto di discriminare tra tecnologie che contribuiscono parimenti allo stesso obiettivo (l’elettrificazione dei consumi). Ma anche il principio di correlazione geografica non è esente da criticità discriminando di fatto tra mercati zonali e mercati magliati. A prescindere da quale sia il principio a cui si vuole dare maggiore importanza, ve n’è uno che deve avere la priorità: la trasparenza.

“In order to reach our ambitious goal of climate-neutrality, we must rethink and renew our energy system. Different technological solutions will compete across sectors and across energy carriers and it should be the consumers who decide, which are the most suitable options for them”, ha di recente dichiarato il Commissario all’Energia, Kadri Simson. Ancora più diretto il vice-presidente esecutivo della Commissione Franz Timmermans: “First of all the Commission has a position of technological neutrality, what works works, and we don’t have a sort of predisposition for one or the other [technology]”.

La neutralità tecnologica è un principio che pare convincente ed efficace. Stando alle dichiarazioni dei policy makers, la transizione energetica europea sembrerebbe basarsi su questo principio. Nei fatti, non è semplice né da applicare, né da garantire.

La soluzione più semplice sarebbe quella di affidare le scelte di investimento tecnologico al funzionamento del mercato, che per sua natura è tecnologicamente neutrale. Potrebbe però non essere in grado di raggiungere gli altri obiettivi del legislatore, complementari a quello della massimizzazione del rendimento, a causa dei “fallimenti del mercato”. Nel caso dell’energia, ad esempio, la “mano invisibile” produrrebbe elettricità con le tecnologie meno costose a disposizione, senza tenere debitamente conto degli effetti ambientali associati alle stesse.

La neutralità tecnologica “nonostante”: garantire il principio tra Stato e mercato

Il mercato potrebbe allora essere accompagnato verso il risultato desiderato con l’introduzione di meccanismi di internalizzazione dei costi sociali, quali una carbon tax o un sistema di cap and trade alle emissioni di gas climalteranti. Ma simili meccanismi per essere veramente efficaci dovrebbero essere estesi all’intero Pianeta per non innescare effetti di carbon leakage, col rischio di esporre proprio le aree geografiche più attente alla questione climatica ad un impoverimento del proprio tessuto industriale con conseguenti tensioni sociali. 

Ecco quindi che l’intervento diretto del legislatore appare inderogabile, a complemento di un mercato che non può funzionare in autonomia. Il punto cruciale diviene allora come garantire la neutralità tecnologica nonostante il necessario intervento dello Stato (in senso lato) che con tutta probabilità allontanerà il risultato finale dall’ottimo di mercato. Per tre ragioni sostanziali:

  • il fattore tempo, impossibilità della normativa ad evolvere di pari passo con l’evoluzione tecnologica
  • il fattore know-how, asimmetria informativa o informazioni incomplete da parte del legislatore sulla dimensione tecnologica
  • il fattore dettaglio normativo

Spesso è proprio quest’ultimo a contraddire principi di più alto respiro come la neutralità tecnologica. Un recente caso di tale dicotomia è offerto dall’idrogeno, vettore tornato agli onori della cronaca da quando la Commissione europea ha chiaramente definito una strategia per la transizione energetica che poggia tanto sull’elettrificazione dei consumi (System Integration Strategy) quanto sui gas rinnovabili (Hydrogen Strategy).

L’idrogeno e il principio di addizionalità: servono ancora più investimenti in rinnovabili elettriche

La Hydrogen Strategy prevede che il principio di addizionalità venga applicato alla produzione di idrogeno da elettrolisi – ove tale processo sia alimentato dalla rete elettrica – con alcune condizioni specifiche affinché il vettore possa essere classificato come “rinnovabile”.

La norma rimanda alla Direttiva RED II, sulla base della quale proprio quest’anno dovrebbero essere sviluppati gli atti delegati per garantire:

  • la correlazione temporale e geografica tra l’unità rinnovabile che produce elettricità e l’elettrolizzatore che produce idrogeno secondo l’accordo bilaterale per l’acquisto di energia elettrica (power purchase agreement, PPA);
  • l’addizionalità, vale a dire che il produttore di combustibile (i.e. idrogeno) contribuisca alla diffusione dell’energia rinnovabile o al suo finanziamento.

Con riferimento all’addizionalità, la ratio del legislatore è facile da comprendere: l’energia rinnovabile già esistente non dev’essere cannibalizzata dalla produzione di idrogeno verde.

Gli obiettivi in materia rinnovabile al 2030 e al 2050 sono già difficili da centrare. E se la domanda di energia elettrica verde aumenta per via degli elettrolizzatori meglio essere certi che l’offerta di elettricità rinnovabile aumenti in modo contestuale. In altri termini, c’è bisogno di investimenti in rinnovabili elettriche in misura ancora maggiore di quanto ipotizzato prima del rilancio dell’idrogeno.

La contraddizione tra neutralità tecnologica e di addizionalità: solo chi investe in idrogeno deve investire anche in rinnovabili elettriche!

Per quanto lineare, questa impostazione vìola però il presupposto della neutralità tecnologica. A ben vedere, infatti, la transizione di consumi finali hard-to-abate (industriali, mobilità a lungo raggio, …) verso l’idrogeno verde è una diversa declinazione del ben più ampio processo di elettrificazione dei consumi. Quei segmenti del consumo finale che non possono migrare al vettore elettrico tal quale devono infatti utilizzare l’idrogeno come vettore intermedio.

Ebbene con la previsione di addizionalità al produttore di idrogeno verde verrebbe richiesto di farsi carico anche di quanto deve accadere sul lato offerta del mercato elettrico rinnovabile. Al contrario, a tutti gli altri progetti che realizzano uno switch al vettore elettrico non viene invece chiesto al consumatore finale di contribuire al contestuale sviluppo della generazione da rinnovabili elettriche.

Ecco come il principio di addizionalità rischierebbe in modo concreto di discriminare tra tecnologieche contribuiscono parimenti allo stesso obiettivo: l’elettrificazione dei consumi.

Le criticità della correlazione geografica: una differenza di trattamento tra mercati zonali e mercati magliati

Se poi spostiamo l’attenzione alla correlazione temporale e geografica tra unità di produzione di elettricità verde ed elettrolizzatore, emerge un’analoga contraddizione: se il primo – la contestuale generazione di energia rinnovabile nei momenti di prelievo da parte dell’elettrolizzatore – appare pienamente condivisibile, il secondo – l’assenza di congestioni rete tra punto di immissione e prelievo – appare più problematico.

La ratio del legislatore, in questo caso, vorrebbe essere quella di “guidare” la localizzazione degli impianti di rinnovabili elettriche per evitare che si creino o si rafforzino congestioni di rete. Il rischio è però di frammentare il cosiddetto level playing field tra diversi Paesi/mercati e di penalizzare i progetti in cui la generazione di energia rinnovabile non è in prossimità del sito di produzione di idrogeno riducendone di fatto l’efficacia.

La scelta di impiegare energia rinnovabile prodotta lontano dalla zona di prelievo si fonda infatti sulla migliore producibilità di tali aree che consente di massimizzare il rendimento degli impianti rinnovabili riducendo in questo modo i costi dell’investimento in idrogeno verde.

Inoltre, prevedere l’esistenza o meno di congestione fisica su una linea elettrica in un intervallo di tempo coerente con la vita utile dell’impianto è mestiere non facile per un operatore che voglia investire in idrogeno e di certo finisce per introdurre ulteriore incertezza nello sviluppo del business plan.

Se poi si prendesse come proxy del verificarsi di congestioni l’esistenza o meno di un differenziale di prezzo tra zone di immissione e di prelievo – fenomeno osservabile in quei mercati elettrici nazionali che, per configurazione geografica e di mercato, prevedono il formarsi di prezzi zonali, tra cui il mercato italiano – si finirebbe per discriminare tali mercati, ove il rispetto della condizione è più difficile rispetto ai contesti caratterizzata da una rete elettrica più magliata.

Risulta quindi evidente come il far dipendere le decisioni di investimento in idrogeno verde da dimensioni che dovrebbero essere proprie degli operatori della filiera delle rinnovabili elettriche – a causa del principio di addizionalità – o della rete di trasmissione elettrica – secondo quello della correlazione geografica – si traduca nel rallentamento dello sviluppo di tale filiera e nella contraddizione del principio stesso di neutralità tecnologica.

Un principio è più importante degli altri: la trasparenza

La neutralità tecnologica non è qualcosa di strettamente necessario per il successo della transizione energetica e nulla vieta al legislatore di decidere di non applicare tale principio e di privilegiare invece altre priorità. Addizionalità e correlazione geografica potrebbero essere spiegate dal prevalere di priorità di efficienza tecnica: nel primo caso per non cannibalizzare gli altri consumi finali elettrici, nel secondo per ovviare ad un ulteriore stress delle esistenti congestioni di rete.

Sarebbe però opportuna una piena trasparenza sulle priorità che spingono il legislatore a deviare dalla neutralità tecnologica. In primis per guidare le scelte dei settori pubblico e privato, ma anche per non rischiare di ascrivere eventuali meriti e demeriti dell’attività normativa al principio della neutralità (spesso percepito come sinonimo di “forze di mercato”).

Inoltre, una maggiore trasparenza sulle ragioni alla base del favor legislativo verso l’una o l’altra tecnologia permetterebbe un sano confronto tra priorità di diversa natura e talvolta configgenti. In un momento come quello attuale dovrebbero prevalere priorità tecniche o piuttosto di natura economica o sociale(rilancio dell’economia, creazione di posti di lavoro, competitività del tessuto industriale e dei settori energy intensive) o magari ambientali (rapidità della decarbonizzazione, minimizzazione dell’uso del suolo)?

È quanto mai chiaro a tutti come sia estremamente complesso per il policy maker procedere ad un force ranking tra diverse priorità, tutte degne di attenzione. Ecco forse perché spesso appare più facile rifugiarsi sotto il parafulmine della neutralità tecnologica, in modo da scaricare a terra (o sul “mercato”) una parte di responsabilità politiche e decisionali da cui dipenderà il successo o il fallimento della transizione energetica, del raggiungimento del picco di carbonio, del contrasto ai cambiamenti climatici.


Stefano Verde è Strategy Manager, Gruppo HERA

Le opinioni in questo contributo sono espresse a titolo personale e non riflettono necessariamente la posizione della società di appartenenza.


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Foto: Unsplash

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