19 Maggio 2021

Agrivoltaico: il matrimonio tra agricoltura e solare

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Il PNRR gli dedica 1,1 miliardi di euro, ma che cos’è l’agrivoltaico? Un impianto agro-fotovoltaico si realizza senza costi aggiuntivi quando in un’area agricola i pannelli fotovoltaici sono dotati di tracker monoassiali che consentono di inseguire la traiettoria del sole evitando l’ombreggiamento permanente di una parte del suolo (aumentando fino al 20% l’energia prodotta) e posti a un’altezza e a una distanza tali da non incidere sulla normale attività agricola, ma che anzi possono favorirla. Se installati su aree incolte, mettono a disposizione all’imprenditore agricolo risorse per avviare produzioni altrimenti non competitive. Possono inoltre rappresentare la base su cui costituire una comunità di energia rinnovabile.

La prima linea di investimento prevista dal PNRR per portare le energie rinnovabili al 30% dei consumi finali fa leva su 4 punti:

  • sbloccare il potenziale di impianti utility-scale, in molti casi già competitivi in termini di costo rispetto alle fonti fossili ma che richiedono in primis riforme dei meccanismi autorizzativi e delle regole di mercato per raggiungere il pieno potenziale, e valorizzando lo sviluppo di opportunità agro-voltaiche;
  • accelerare lo sviluppo di comunità energetiche e sistemi distribuiti di piccola taglia, particolarmente rilevanti in un Paese che sconta molte limitazioni nella disponibilità e utilizzo di grandi terreni ai fini energetici;
  • incoraggiare lo sviluppo di soluzioni innovative, incluse soluzioni integrate e offshore;
  • rafforzare lo sviluppo del biometano.

Proprio allo sviluppo dell’agro-voltaico viene dedicato il primo punto della missione Energia Rinnovabile, Idrogeno, Rete e Mobilità Sostenibile (M2C2) cui vengono dedicati in totale 23,78 mld. euro. In particolare, alla voce Incrementare la quota di energia prodotta da fonti di energia rinnovabile vengono destinati 5,9 mld. euro di cui 1,1 proprio allo sviluppo agro-voltaico.

Da queste cifre appare chiaro come l’agri-voltaico sia ritenuto un elemento chiave per raggiungere obiettivi pervisti nel PNIEC molto difficili da conseguire e che lo saranno ancor più dopo la revisione al rialzo che sarà necessaria alla luce dell’innalzamento del target europeo di riduzione delle emissioni di CO2 ad almeno il 55% proposto dal Parlamento nell’ambito della Legge sul Clima e che ha trovato il mese scorso l’accordo tra Parlamento e Consiglio.

Riporta Zorzoli nell’articolo che citeremo in seguito che “la revisione al rialzo degli obiettivi previsti dal PNIEC italiano si tradurrà in un’accentuata elettrificazione, con la quota della produzione rinnovabile a copertura dei consumi elettrici destinata a salire dall’attuale 55% a circa il 65%. (…) In larghissima misura il gap dovrà essere coperto da nuova capacità fotovoltaica che, invece dei 52.000 MW previsi dal PNIEC, dovrà salire ad almeno 65.000 MW. Si tratta un incremento di circa 44.000 MW rispetto ai 20.865 MW installati in Italia a fine 2019.”

Di 6 volte dovranno crescere gli investimenti annui in impianti fotovoltaici nel corso del decennio

“Per avere un’idea dell’accelerazione richiesta, nel corso del 2019 sono stati installati impianti fotovoltaici per circa 750 MW, mentre a partire dall’anno prossimo, e per tutto il prossimo decennio, dovremo mediamente aggiungere 4.400 MW ogni anno, cioè 5,9 volte tanto”

Nel paragrafo che il PNRR dedica all’agri-voltaico si legge che la misura di investimento nello specifico prevede:

  • “l’implementazione di sistemi ibridi agricoltura-produzione di energia che non compromettano l’utilizzo dei terreni dedicati all’agricoltura, ma contribuiscano alla sostenibilità ambientale ed economica delle aziende coinvolte, anche potenzialmente valorizzando i bacini idrici tramite soluzioni galleggianti” (di un approfondimento su questi ultimi si veda questo post tratto dall’articolo di GB Zorzoli L’impervia via delle rinnovabili in Italia pubblicato su Energia 4.18)
  • “il monitoraggio delle realizzazioni e della loro efficacia, con la raccolta dei dati sia sugli impianti fotovoltaici sia su produzione e attività agricola sottostante, al fine di valutare il microclima, il risparmio idrico, il recupero della fertilità del suolo, la resilienza ai cambiamenti climatici e la produttività agricola per i diversi tipi di colture”.

“L’investimento si pone il fine di rendere più competitivo il settore agricolo, riducendo i costi di approvvigionamento energetico (ad oggi stimati pari a oltre il 20 per cento dei costi variabili delle aziende e con punte ancora più elevate per alcuni settori erbivori e granivori), e migliorando al contempo le prestazioni climatiche-ambientali. L’obiettivo dell’investimento è installare a regime una capacità produttiva da impianti agro-voltaici di 1,04 GW, che produrrebbe circa 1.300 GWh annui, con riduzione delle emissioni di gas serra stimabile in circa 0,8 milioni di tonnellate di CO2”.

Ma nei fatti come funziona questo “sistema ibrido agricoltura-produzione di energia”? Quali sono i benefici e qual è il potenziale?

Proponiamo un estratto dall’articolo di GB Zorzoli Fare i conti senza l’oste pubblicato su ENERGIA 4.20 in cui l’autore torna sulla necessità di promuovere lo sviluppo delle rinnovabili per raggiungere gli obiettivi del PNIEC dopo aver affrontato sul numero 2.20 l’ostacolo della lentezza degli iter autorizzativi con l’articolo Rendere le rinnovabili socialmente convenienti.

Dalla rimozione degli ostacoli autorizzativi al rendere le rinnovabili socialmente convenienti

“Dell’ostacolo più grave – i ritardi e i veti che costellano gli iter autorizzativi degli impianti – ho già dato conto in un recente articolo su questa Rivista, accompagnandolo con alcune proposte per uscire dall’impasse (Zorzoli 2020c). (…)

Una tecnologia che sta riscuotendo interesse nel mondo agricolo è l’agro-fotovoltaico, che nella sua versione tradizionale (Fig. 1) riduce però, seppur in misura contenuta (<20%), la produzione agricola a causa degli ombreggiamenti, e ha costi aggiuntivi rispetto all’installazione a terra, in parte compensati dall’irraggiamento riflesso dal terreno, se i pannelli sono a doppio vetro.

Viceversa, automaticamente si realizza un impianto agro-fotovoltaico senza costi aggiuntivi, quando in un’area agricola i pannelli fotovoltaici sono dotati di tracker monoassiali, che aumentano fino al 20% l’energia prodotta. Tecnologia oggi prevalente negli impianti proposti nel Centro-Sud Italia, ma destinata a diventare conveniente anche in aree settentrionali, grazie all’utilizzo dei più efficienti moduli da 500 Wp.

Per risultare ottimale, la soluzione, illustrata in Fig. 2, richiede infatti installazioni a una quota significativa (2,3-2,5 metri di altezza) e distanziate, per evitare ombreggiamenti reciproci, mentre lo spostamento dei tracker per inseguire la traiettoria del sole evita l’ombreggiamento permanente di una parte del suolo.

L’altezza e il distanziamento sono quindi di per sé tali da non incidere sulla normale attività agricola. Inoltre, è possibile aumentare l’intervallo tra i tracker per lasciare liberi corridoi a riposo per avvicendamenti colturali e per pratiche di manutenzione programmata.

Ad esempio, in due progetti agro-fotovoltaici in fase autorizzativa nel Comune di Uta, in Sardegna, di potenza nominale pari a 31,522 e 25,948 MWp, la copertura è in un caso è di circa 16,5 ettari su una superficie totale impegnata di circa 57 ettari, nell’altro è di 15,5 su 42,6 ettari.

L’installazione di impianti fotovoltaici sollevati da terra non altera la produzione agricola ma può addirittura promuoverla

L’evoluzione tecnologica sta dunque rendendo più conveniente l’installazione di impianti fotovoltaici utility scale che, per massimizzare il ritorno economico dell’investimento, sono sollevati da terra, con modalità che non alterano la produzione agricola sottostante o possono addirittura promuoverla, se installati su aree incolte, in cui l’affitto del terreno mette a disposizione all’imprenditore agricolo le risorse per avviare produzioni altrimenti non competitive.

Un’ulteriore soluzione per favorire l’installazione degli impianti a terra è la possibile costituzione di una comunità di energia rinnovabile, definita dalla Direttiva europea 2018/2001 come soggetto giuridico autonomo, che si basa sulla partecipazione aperta e volontaria di persone fisiche, PMI o autorità locali (comprese le amministrazioni comunali).

Il potenziale connubio tra agricoltura fotovoltaico e comunità energetiche

Tuttavia, nell’ipotesi di installarvi nel Centro-Sud Italia un impianto di 5 MWp (potenza minima perché sia cost effective) e di un autoconsumo, da parte della comunità energetica, pari al 70% dell’energia fotovoltaica prodotta (corrispondente a circa 4,55 GWh/anno), la Tab. 1 mette in evidenza che una comunità energetica agricola può reggersi economicamente solo se le coltivazioni prevalenti sono nell’ordine l’ortoflorovivaismo, la produzione vitivinicola e l’allevamento (6)”.

Agganciando al tema dell’agri-voltaico quello delle comunità energetiche Zorzoli anticipa di fatto 2 punti su cui l’attuale PNRR dedica grande attenzione. Alle comunità energetiche è infatti dedicato il secondo dei 4 punti presentati inizialmente. E al tema delle comunità energetiche verrà dedicato un approfondito articolo nel prossimo numero di ENERGIA.


Il post riprende dei passaggi dell’articolo Fare i conti senza l’oste (pp. 46-51) di GB Zorzoli pubblicato su ENERGIA 4.20.

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Su Italia, PNIEC e rinnovabili leggi anche:
3 questioni sulla fattibilità del piano energia-clima della Commissione, di Redazione, 7 Dicembre 2020
Permitting: una semplificazione necessaria, di Redazione, 6 Luglio 2020
Solare: moduli su bacini idroelettrici per ridurre l’occupazione di suolo, di Redazione, 31 Gennaio 2019
Italia: l’impervia via delle rinnovabili, di Redazione, 14 Dicembre 2018

Foto: pixabay

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