L’enorme impiego di risorse messo in campo dall’UE per finanziare il Next Generation EU dovrebbe fungere da propulsore per realizzare riforme e investimenti in grado, da una parte, di fronteggiare la recessione post-pandemia in funzione di una espansione del mercato interno e, dall’altra, di porre le basi per uno sviluppo sostenibile a favore delle future generazioni. Tematiche fondamentali ma che risultano i veri e propri convitati di pietra ai tavoli in cui si sono disegnati i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza. Proponiamo un estratto dalla presentazione di Alberto Clô di ENERGIA 1.21, in cui si evidenziano alcune criticità che hanno guidato la realizzazione del PNRR da parte del Governo Conte II, ma che si possono riscontrare anche in quello attuale redatto dal Governo Draghi.
Il debito comune sottoscritto dall’Unione Europea per finanziare il Next Generation EU (NGEU) ha come intento la realizzazione negli Stati membri di riforme e investimenti con una duplice finalità.
Da un lato, come analizza Sergio De Nardis, fronteggiare la recessione post-pandemia con la possibilità di rilancio della domanda aggregata e di maggior convergenza fra le economie degli Stati membri, conducendo ad una più decisa espansione del mercato interno e ad una possibile riarticolazione delle catene del valore oggi distribuite su scala globale.
Dall’altro lato, porre le basi per uno sviluppo sostenibile a favore delle future generazioni. I veri e propri convitati di pietra ai tavoli in cui si sono disegnati i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR o Recovery Plan).
PNRR, criticità di merito e di metodo
Quello approvato dal nostro Governo il 12 gennaio scorso presenta (Governo Conte II, ndr), a parere di chi scrive e di G.B. Zorzoli, nella materia energetico-ambientale, molte ragioni di critica di metodo e di merito.
Di metodo, per la mancata individuazione di un «organismo tecnico» in grado di coordinare la congerie di proposte avanzate da ogni parte e di monitorarne l’implementazione nei tempi e contenuti. Condizione necessaria per disporre dei finanziamenti.
Di merito, per l’assenza di una qualsiasi visione d’assieme delle proposte avanzate; per il loro disallineamento rispetto al PNIEC che peraltro dobbiamo rivedere per recepire le critiche mosse da Bruxelles (12 le raccomandazioni formulate dalla Commissione che non sono state recepite integralmente nella redazione del PNIEC, ndr); per la mancata esplicitazione dei criteri che hanno guidato l’allocazione delle enormi risorse distribuite (a caso?) tra i diversi progetti.
Il nuovo Governo, specie nel nuovo dicastero della «Transizione Ecologica» dovrà rivedere il Piano in tempi stretti dato l’obbligo del suo formale invio alla Commissione «di norma entro il 30 aprile». L’auspicio è che nel farlo si tenga conto dell’imperativo del NGEU – debito in cambio di riforme e investimenti – e degli interessi delle future generazioni.
Attenzione agli effetti distributivi dei costi della transizione ecologica
Ma anche, nondimeno, degli effetti distributivi che i costi della transizione rischiano di avere sulla povertà energetica, definibile come difficoltà ad acquistare un paniere minimo di beni e servizi energetici. Secondo Paola Valbonesi, Ivan Faiella, Luciano Lavecchia, Raffaele Miniaci questa forma di povertà ha attanagliato un numero crescente di famiglie italiane: 2,3 milioni nel 2018 (quindi 4-5 milioni di persone).
La crisi pandemica venendosi a combinare con un ulteriore aumento dei prezzi finali dell’energia (nonostante un calo di quelli all’origine) ha notevolmente peggiorato le cose (si veda Il dito e la luna: conta più il consumatore o il venditore? di Alberto Clô, ndr).
Non solo in Italia. Negli Stati Uniti, clienti domestici e piccole attività devono 35-40 miliardi di dollari per mancati pagamenti entro marzo 2021 e sono stimati in oltre 205 milioni i cittadini a rischio disconnessione di elettricità, gas o acqua (si vedano NEADA e UtilityDive).
Da qui, tornando al nostro caso, l’esigenza che le politiche per la transizione energetica non generino nuove forme di povertà e disuguaglianze – innalzatesi, scrive De Nardis, di 4 punti percentuali secondo l’indice di Gini nella prima metà del 2020 rispetto ai valori medi del 2019 – tenendo conto dei costi sociali dei gas serra, così da poter valutare i benefici dei progetti volti alla loro riduzione, anche per le future generazioni (come suggeriscono, tra gli altri, Nicholas Stern e Joseph Stiglitz).
Saper valutare ex ante l’efficacia dei provvedimenti rispetto agli effetti attesi
Nel rielaborare il Recovery Plan vale rammentare poi che i soldi non sono tutto. Non meno importante è spenderli bene. Farlo in modo efficiente. Quel che significa saper valutare ex ante l’efficacia dei provvedimenti rispetto agli effetti attesi.
Non conforta al riguardo l’esperienza di quelli adottati per ridurre l’impatto ambientale (CO2 e particolati) del nostro obsoleto parco veicoli (circa il 60% ha più di dieci anni) promuovendo la diffusione di nuove autovetture e la rottamazione di quelle più inquinanti. Ebbene, come dimostra la puntuale analisi di Giuseppina Fusco, questi provvedimenti non hanno sortito i risultati attesi, utilizzando in modo inefficace le risorse disponibili, destinandole primariamente (ideologicamente?) alle molto più costose, e quindi meno acquistate, auto elettriche, avendo preferito i consumatori acquistare veicoli termici, ibridi, a metano.
Col risultato di ridurre le emissioni meno di quanto sarebbe stato possibile se si fosse seguita una logica di razionalità ambientale, soprattutto rottamando il vecchio.
Il post è un estratto della Presentazione di Alberto Clô di ENERGIA 1.21
si citano gli articoli di ENERGIA 1.21
Le lezioni di Einaudi e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (pp. 8-11)
di Alberto Clô e G.B. Zorzoli (Rivista «Energia»)
Scenario macroeconomico 2021-2022 (pp. 12-17)
di Sergio De Nardis (Luiss School of European Political Economy)
Per una mobilità più sicura, equa, sostenibile in Italia (pp. 34-45)
di Giuseppina Fusco (Fondazione Caracciolo)
Povertà energetica e «just transition» (pp. 46-51)
di Paola Valbonesi, Ivan Faiella, Luciano Lavecchia e Raffaele Miniaci (Osservatorio Italiano sulla Povertà Energetica
Puoi leggere la presentazione integrale scaricando il pdf
Foto: Pixnio
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