La corsa alla transizione energetica ha bisogno di un corridore di eccezione. L’UE tenta di fare l’Usain Bolt della situazione innalzando i target 2030 di riduzione delle emissioni dal 40% al 55%. Ma la velocità non è tutto, serve quel grado di allenamento che distingue ogni campione e che finora, nella pista climatica, non si è dimostrato sufficiente per raggiungere neppure traguardi meno ambiziosi. Se i 100 km/h mantenuti non senza fatica sinora non sono in grado di raggiungere in tempo la meta, riuscirà d’emblée a raddoppiare la velocità? La scelta politica è accompagnata da una valutazione di fattibilità tecnica? Una decisione che richiede uno stratosferico impiego di risorse economiche e politiche.
Quando la Commissione poco più di un anno fa propose di accrescere l’obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030 dal 40% al 55%, in un indefinito “responsible way” mi chiesi se questa decisione derivasse da una puntuale valutazione della sua fattibilità tecnica e dei suoi costi economici, o non fosse piuttosto una scelta adottata in via squisitamente politica. Come in effetti era.
Quella decisione derivava, a dire della Commissione, dalla constatazione che le traiettorie sin lì osservate nelle variabili cruciali (rinnovabili, efficienza, emissioni) non erano in grado di conseguire gli obiettivi fissati a Parigi e quindi, tantomeno, il nuovo must delle politiche climatiche: la neutralità carbonica entro metà secolo. Per riuscirvi era quindi necessario incidere drasticamente su quelle traiettorie.
Da -40 a -55%, la scelta politica è accompagnata da una valutazione di fattibilità tecnica?
La riduzione delle emissioni avrebbe dovuto, ad esempio, ridursi ad un passo più che doppio rispetto a quello prima osservato (2,7% m.a. vs. 1,3% m.a.) (Commissione europea, staff working document del 17 settembre 2020). Idem per le altre variabili. La logica della Commissione era la seguente: se sinora abbiamo marciato, non senza fatica, a 100 chilometri all’ora non riusciremo a raggiungere in tempo l’agognata meta. Dobbiamo quindi raddoppiare la velocità. Traducendo questo intendimento in normative obbligatorie con un impressionante profluvio di proposte legislative: sinora 190 con 150 in gestazione.
190 le proposte legislative UE che i parlamenti nazionali dovranno recepire per la riduzione delle emissioni
Per recepirle i parlamenti nazionali dovrebbero operare solo su di esse. Il tutto a prescindere dalle varie ragioni che avevano ‘rallentato’ la velocità, ad iniziare dalla grande recessione del 2008, e delle difficoltà che si sarebbero dovute affrontare. Consideriamo ad esempio quella d’ordine economico, variabile indipendente secondo Bruxelles. La Commissione ha stimato che per conseguire l’obiettivo del -40% si sarebbero dovuti investire nel decennio in corso 2.600 miliardi di euro addizionali. Quanti in più sarebbero necessari per il più ambizioso obiettivo del -55% rimane interrogativo irrisolto, quasi fosse irrilevante.
“L’intendance suivra” avrebbe esclamato Charles de Gaulle. Gli investimenti addizionali dovrebbero essere proporzionalmente superiori all’innalzamento di circa 1,4 volte dell’asticella delle riduzioni perché i costi marginali sono decisamente crescenti. Ai 260 dovrebbero quindi aggiungersi indicativamente 400-500 miliardi; per un totale di 660-760 miliardi di euro ogni anno. In un solo anno si brucerebbero quindi tutte le risorse rese disponibili col NGEU. E dopo?
660-760 miliardi di euro solo di investimenti ogni anno rispetto ai 260 richiesti per il precedente target emissivo
Da allora molto è cambiato. Siamo passati attraverso una drammatica crisi che ancora ci affanna. I dati energetici-climatici sono saltati ma solo in via temporanea. I crolli nel 2020 dei consumi di energia e delle emissioni sono congiunturali ed entrambi hanno già manifestato una decisa ripresa anche col parziale allentamento delle restrizioni. Arriveranno le risorse comunitarie da spendersi entro il 2026: consistenti ma irrilevanti rispetto ai fabbisogni.
Qualunque progetto di investimento si possa immaginare – che riguardi nuove infrastrutture, il rifacimento degli edifici, la sostituzione del parco auto – richiederà lunghi tempi di realizzazione, sortendo gli effetti desiderati ben oltre la fine del decennio. Mentre le tecnologie mature, quali eolico e solare, iniziano a perdere competitività per i bassi prezzi del petrolio ed i maggiori corsi dei materiali critici, come analizzato dall’Agenzia di Parigi (IEA, The role of Critical Minerals in Clean Energy Transition, 2021). Quel che ha fatto dichiarare al suo direttore esecutivo Fatih Birol “The energy transition could definitly slow down as a result of increasing costs”.
Eolico e solare iniziano a perdere competitività per i bassi prezzi del petrolio ed i maggiori corsi dei materiali critici
A questo devono aggiungersi le crescenti ostilità in molti paesi alle rinnovabili, specie eoliche, ad iniziare da quelli più virtuosi come Svezia e Norvegia. Confermando che nell’energia il piccolo è bello quando resta tale.
La difficoltà a tradurre in fatti reali i nuovi obiettivi climatici si sta vieppiù palesando, con un succedersi di valutazioni che – riguardo al caso italiano – stimano come il loro conseguimento richiederebbe un impressionante cambio di passo nel corso di questo decennio:
– Nicola Armaroli (CNR) ha calcolato che per raggiungere il calo di emissioni al 2030 (-55%) dovremmo correre 7 volte più veloci degli scorsi 30 anni;
– 9 volte più veloci per la riduzione dell’intensità energetica come riporta un articolo che verrà pubblicato nel prossimo numero di ENERGIA che vede tra gli autori Francesco Gracceva (ENEA) ed Ettore Bompard (Politecnico di Torino);
– “dobbiamo aumentare di quasi 10 volte la nostra capacità” secondo il ministro Cingolani per raggiungere l’obiettivo della nuova potenza elettrica rinnovabile (70 GW).
Di 7, 9, 10 volte il cambio di passo richiesto per tagliare i traguardi al 2030
Lentezza con crudo realismo attestata dallo stesso PNRR ove a pag. 67 sta scritto: “considerando l’attuale tasso di rilascio dei titoli autorizzativi per la costruzione ed esercizio di impianti rinnovabili, sarebbero necessari 24 anni per raggiungere i target Paese – con riferimento alla produzione di energia da fonte eolica – e ben 100 anni per il raggiungimento dei target di fotovoltaico”.
Possibile che un motore un po’ grippato si sblocchi improvvisamente mettendosi a correre? In teoria possibile, sempre che le riforme del PNRR vengano effettivamente ed efficacemente realizzate, ma temo altamente improbabile. Almeno nell’arco di questo decennio.
Alberto Clô, direttore del trimestrale ENERGIA e di RivistaEnergia.it
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Foto: unsplash
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