15 Giugno 2021

Alberto Clô presenta ENERGIA 2.21

LinkedInTwitterFacebookEmailPrint

Proponiamo un estratto della presentazione del direttore Alberto Clô dei contenuti di ENERGIA 2.21. In fondo al testo è possibile scaricare il pdf dell’intera presentazione.

Favole e Fantasie

Bill Gates ha concesso un’intervista al quotidiano londinese «The Guardian» per presentare il suo recente libro Clima: come evitare un disastro (1) apparsa col titolo La neutralità carbonica in un decennio è una favola. Perché spacciare fantasie? (2). Avremmo potuto titolare allo stesso modo l’articolo di Olivier Appert (…) si resta colpiti dalle argomentazioni con cui smonta la narrazione dominante sulla transizione energetica, arrivando a concludere che è essenziale un’azione di trasparenza perché «le fake news si diffondono senza sosta». A suo dire le soluzioni avanzate sono «dispendiose e inefficaci» perché non basate su «un’analisi rigorosa delle barriere tecniche, economiche, sociali e geopolitiche che rallentano la transizione». Tutte le innovazioni, immaginifiche o reali di cui si parla, sono destinate a sortire risultati nel lunghissimo termine. Illudersi del contrario non contribuisce a fare un solo passo in avanti. (…). Secondo la IEA, nel 2021 le emissioni cresceranno del 4,8%, pari a 1,5 miliardi di tonnellate, recuperando i tre quarti del calo del 5,8% registrato nel 2020 (…). Quando le economie riprenderanno pienamente a crescere si supereranno ampiamente le emissioni pre-Covid (12). (…) Ad attestare quanto sia tremendamente complesso modificare l’assetto dell’offerta di energia, ancor oggi incardinata per l’80% nelle fonti fossili, è il contributo di Oliviero Bernardini secondo cui l’inerzia del sistema energetico mondiale riscontrata nel corso dell’ultimo mezzo secolo assicura un ruolo dominante alle fonti fossili anche per buona parte del prossimo mezzo secolo. Quel che si riscontra anche nel caso del nostro Paese ove lo tsunami del 2020 ha sì modificato le linee di traiettoria che hanno segnato il nostro sistema energetico, ma in misura sostanzialmente congiunturale come dimostra l’analisi condotta da Francesco Gracceva, Bruno Baldissara, Ettore Francesco Bompard, Eleonora Desogus, Daniele Grosso e Stefano Lo Russo. Il crollo dei consumi di energia e delle emissioni – a livelli mai accaduti in tempi di pace – è sostanzialmente ascrivibile ai mesi del lockdown, mentre in seguito i consumi sono tornati ai livelli pre-pandemia. Riduzione, quindi, di natura non strutturale, così che le possibilità di conseguire gli ambiziosi obiettivi (politici) di decarbonizzazione fissati dall’Unione al 2030 (–55% emissioni 2030 su 1990) sono legate ad un’accelerazione delle dinamiche degli ultimi decenni estremamente difficili da conseguire. Nel caso della riduzione delle emissioni bisognerebbe che il nostro Paese corresse ad una velocità sette volte superiore (14) mentre in quello dell’intensità energetica circa nove volte superiore. Riuscirà il Recovery Plan (RP) elaborato dal Governo e inviato a Bruxelles nei tempi prestabiliti, il 30 aprile, ad accelerare il corso delle cose? Risposta non facile fissando il RP solo i criteri generali di allocazione delle risorse riconosciuteci dall’Europa e non già i progetti specifici su cui poter giudicare. Tanto più in assenza di quell’«organismo tecnico» che le linee guida dell’Unione Europea richiedono obbligatoriamente agli Stati membri per la stesura e implementazione dei Piani nazionali, ma che non è stato indicato nel RP. Da qui, la proposta che chi scrive e Romano Prodi hanno avanzato di costituire un Comitato Tecnico Scientifico sulla Transizione Ecologica, a somiglianza di quello cui il Governo ha fatto riferimento per le decisioni assunte per fronteggiare la crisi sanitaria, a garantire, su base indipendente e consultiva, la bontà delle scelte che si andranno ad adottare.

L’unbundling dimenticato

Strano destino quello delle riforme di liberalizzazione dei mercati energetici, duramente dibattute prima di avviarle, poi dimenticate una volta che sono state (almeno nominalmente) realizzate. (…) Abbiamo affrontato questi temi nel passato numero di «Energia» aprendo un dibattito sulla governance della distribuzione, che si arricchisce in questo numero di un contributo di Luigi de Francisci e Alberto Mariani che, nel condividere il fatto che il ruolo dei DSO sarà sempre più centrale per assicurare l’efficienza del percorso di transizione energetica anche nel servizio ai consumatori, pongono l’interrogativo se, nell’assetto attuale e con gli strumenti oggi a disposizione, essi siano in grado di garantire il giusto supporto a tali sfide per il settore energetico. Sempre in questo numero allarghiamo l’analisi al mercato del gas naturale relativamente al caso della Snam. Società a controllo pubblico che, come Fabio Polettini ripercorre nel suo articolo, dopo essere uscita da Eni – così separando nettamente infrastrutture (in monopolio naturale regolato) e servizi (in concorrenza) – ha deciso autonomamente di allargare il suo perimetro di attività in attività non regolate, che hanno contribuito ampiamente a migliorarne i conti compensando gli effetti della pandemia. Autonomamente perché né la politica né l’Autorità di regolazione né l’Antitrust che molto si batterono per la separazione proprietaria hanno espresso al riguardo alcuna valutazione (15). (…) Non è da dubitare che la scelta di Snam sia finalizzata ad obiettive ragioni industriali – il declino in prospettiva del ruolo del metano (16); il venir meno delle necessità di espanderne le infrastrutture di trasporto interne; il rischio che all’interno della Tassonomia UE sia preclusa la costruzione di nuove infrastrutture di trasporto del metano (17); l’opportunità di favorire la nascita di nuove filiere, quale quella dell’idrogeno che sarebbe favorita dall’integrazione verticale – ma dibatterne per renderne contezza, riteniamo sia nondimeno opportuno, anche al fine di condividere tali scelte. La strategia di Snam non può che valutarsi nel quadro delle esigenze di modernizzazione e sviluppo infrastrutturale del Paese. Questione analizzata da un gruppo di docenti dell’Università Sapienza coordinati da Riccardo Gallo in un articolo che parte dall’evidenziare l’arretratezza infrastrutturale del nostro Paese che la colloca nelle graduatorie mondiali (per quanto possano valere) al 53° e al 41° posto in quelle rispettivamente di base ed energetiche. L’arretratezza è funzione dell’investimento annuo. «Le grandi società che gestiscono le infrastrutture di base italiane – evidenziano gli Autori – hanno utili molto elevati nel loro complesso, ma li distribuiscono per molto più della metà, a volte più del 100%. Negli ultimi dieci anni hanno distribuito dividendi per 30 miliardi». Vi è quindi una capacità di fuoco finanziario che dovrebbe mirare a uno sviluppo delle infrastrutture per coprire il fabbisogno reale e colmare l’attuale deficit.

Via col vento?

(…) Più la dimensione delle turbine si accresce e con essa la loro visibilità e impatto paesaggistico, più diminuisce l’accettabilità sociale. A questi problemi – che stanno fortemente rallentando l’espansione dell’eolico rispetto sia al passato che a quanto atteso, soprattutto in Italia (21) – se ne affiancano altri d’ordine tecnico, economico, regolatorio. Come analizzano Carlo Degli Esposti, Pierre Bornard e Graeme Steele, la prospettiva di una forte espansione dell’eolico offshore solleva la delicata questione di come rendere possibile ed efficiente l’integrazione del mercato elettrico europeo. Per riuscirvi, bisognerebbe sostenere ingentissimi investimenti per realizzare, da un lato, una rete sottomarina adeguata alla gestione dei 450 GW di potenza previsti da Wind Europe da qui al 2050 e, dall’altro, i necessari rinforzi a terra, insostenibili per singoli paesi. A questo, si aggiunge la necessità di un forte coordinamento fra le diverse autorità nazionali coinvolte nelle procedure di pianificazione e approvazione degli investimenti, allo stato attuale inesistente. Senza piani concreti per ridisegnare l’intero assetto della governance del mercato elettrico sarà difficile, conclude Degli Esposti, garantire l’indispensabile consistenza tra tecnologia, remunerazione degli investimenti, sicurezza delle operazioni, efficienza del mercato e della regolazione. Sempre in tema di regolazione Giovanni Goldoni rilegge la drammatica esperienza del Texas (…). Un disastro riconducibile a un «fallimento della regolazione» nell’intera catena elettrica e metanifera. Si guardi alla mancata protezione degli impianti, ai contratti di fornitura del metano, alle errate previsioni della domanda, all’incredibile pasticcio dei prezzi all’ingrosso, alla mannaia che si è abbattuta sui produttori eolici impossibilitati a produrre (per le pale ghiacciate) ma costretti ad acquistare a prezzi iperbolici per rispettare gli impegni sottoscritti, ai consumatori finali: rimasti senza luce ma con bollette astronomiche. (…) Sta di fatto che per una ragione o l’altra (discontinuità delle rinnovabili, loro accresciuto peso, risicata capacità di riserva, congestioni di trasmissione, etc.) i sistemi elettrici sono divenuti vieppiù fragili, come nel più critico caso inglese (22), mentre la domanda richiederebbe una qualità del servizio sempre più elevata.

La voce inascoltata

L’analisi delle problematiche sociali connesse alle politiche climatiche prosegue in questo numero con un intervento di Luigi Pellizzoni che analizza modalità e limiti di politiche mirate a condizionare comportamenti individuali, non meramente riconducibili a motivazioni economiche. Le preferenze per l’uno o l’altro approccio sono basate su assunti in merito al ruolo delle istituzioni sociali. Un disegno consapevole dell’utilità di nudging (spintarelle) può essere una soluzione alternativa a quella «statalista» o «mercatista». Fondamentale è procedere in maniera razionale, evitando di attivare il tradizionale meccanismo del capro espiatorio, che nel nostro caso coincide con l’anonimo cittadino o consumatore, ultimo anello di una catena decisionale governata dagli interessi organizzati e che ai suoi occhi appare opaca se non del tutto imperscrutabile. All’interno di queste problematiche, configurandosi come risposta dal basso, può farsi rientrare l’istituto delle comunità energetiche, affrontate da Nicolò Rossetto, aggregazione di soggetti che si uniscono per sfruttare, congiuntamente e in ambiti geografici più o meno dispersi, produzioni rinnovabili auto-consumate o cedute al mercato. Motivate da ragioni di mera convenienza economica o relazionali. Di questo istituto molto si è scritto anche se poco si è realizzato, almeno nel nostro Paese. Le sue potenzialità potrebbero tuttavia essere interessanti grazie anche al sostegno previsto nel Recovery Plan elaborato dal nostro Governo sotto la voce «Promozione rinnovabili per le comunità energetiche e l’autoconsumo» con uno stanziamento di 2,3 miliardi di euro per la costruzione di 2.000 MW di nuova capacità di generazione distribuita a favore delle comunità energetiche.

                                                                                                                                            a.c.
Bologna, 17 maggio 2021

Il post è un estratto della Presentazione (pp. 2-6) di Alberto Clô di ENERGIA 2.21.

Puoi leggere la presentazione integrale scaricando il pdf


English index and abstracts

Acquista il numero


0 Commenti

Nessun commento presente.


Login