7 Giugno 2021

Economica, sociale, ambientale: le dimensioni della decarbonizzazione

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Troppo spesso le prime due dimensioni dello sviluppo sostenibile – economica e sociale – finiscono per essere sottovalutate a favore della sola terza dimensione: quella ambientale. Nella complessità delle sfide da affrontare, chi elabora le politiche di transizione energetica dovrebbe intraprendere percorsi basati sull’analisi rigorosa delle barriere tecniche, economiche, sociali, geopolitiche. Olivier Appert su ENERGIA 2.21 offre una panoramica delle opzioni disponibili e dei percorsi da privilegiare per una strategia di decarbonizzazione sistemica e orientata a integrare le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile in una prospettiva di lungo termine.

La disamina a tutto tondo dei temi della transizione energetica realizzata da Olivier Appert (già Presidente del Conseil Français de l’Energie) su ENERGIA 2.21 aiuta a rimettere in discussione le strategie di transizione energetica che ormai erano date per assodate. È ancora possibile ricalibrare il tiro e valutare altre opzioni basate su presupposti diversi? Proponiamo qualche passaggio dall’articolo di prossima pubblicazione.

“La transizione energetica è diventata negli anni un tema politico centrale. (…) Troppo spesso viene riassunta con due semplici slogan: «Salviamo il Pianeta» e «Neutralità carbonica nel 2050». (…) L’IPCC elabora un gran numero di simulazioni tratte da differenti ipotesi di base, ma alla fine le politiche considerano un solo scenario. Sarebbe importante invece impegnarsi in esercizi di previsione che evidenzino le variabili chiave e le principali tendenze per determinare gli sviluppi desiderabili e quelli casuali o pericolosi”.

“La transizione energetica deve essere affrontata nel contesto globale dello sviluppo sostenibile, concetto definito nel rapporto del 1987 preparato per l’ONU da Gro Harlem Brundtland, allora Primo Ministro norvegese. Questo sviluppo ha tre dimensioni inseparabili: economica, sociale, ambientale. (…) Troppo spesso, le prime due dimensioni vengono sottovalutate a favore della sola dimensione ambientale”.

I gilet gialli ci hanno dolorosamente ricordato la dimensione sociale della transizione energetica: arrivare a fine mese è diventato più urgente che salvare il Pianeta entro la fine del secolo

“Queste determinanti della transizione energetica (par. 1) introducono vincoli non trascurabili, che risultano, purtroppo, difficilmente compatibili con l’adozione di scenari in linea con le citate tre dimensioni dello sviluppo sostenibile”. L’articolo propone quindi una panoramica degli aspetti che una strategia energetica visionaria dovrebbe considerare: l’inerzia del sistema energetico; le prospettive di crescita economica in tutto il mondo, le questioni geopolitiche relative alle materie prime, le scelte degli attori più influenti a livello internazionale.  

“La pandemia che sta colpendo il mondo intero è chiaramente un importante «game changer» che impatta enormemente sul settore energetico. Oggi è difficile valutarne le conseguenze a lungo termine, soprattutto per quanto riguarda i modelli di consumo. (…) Il calo della domanda peserà sui prezzi dei combustibili fossili, penalizzando quindi la redditività degli investimenti a favore della decarbonizzazione delle economie. Il consumo di carbone diminuirà. Il picco del consumo mondiale di petrolio potrebbe essere raggiunto entro dieci anni. Il ruolo del gas nel mix energetico è incerto”.

Non basta decarbonizzare il mix elettrico (20-25% del mix energetico UE), gli sforzi dovrebbero essere concentrati anche sui settori industriale, residenziale e dei trasporti

Nel corso degli anni, diverse tecnologie hanno suscitato grande entusiasmo e nutrito speranze per la decarbonizzazione (fusione nucleare, cattura diretta della CO2, strade solari, auto elettriche, biocarburanti, idrogeno), ma “dobbiamo evitare di confondere le tecnologie a uno stadio iniziale di ricerca di laboratorio con quelle che possono essere già impiegate, in cui gli attori sono in grado di investire” (par. 2. False soluzioni).

“Nei dibattiti sulla transizione energetica fioriscono soluzioni miracolose che risolveranno tutti i problemi. La tecnologia può fare quasi tutto: quel che manca è un business che permetta agli attori di investire. Ma il progresso tecnico non può essere decretato”.

Biomasse, nucleare e CCS sono tecnologie sottovalutate con altissimo potenziale. E non dimentichiamo gli altri gas serra

Esistono invece dei percorsi da privilegiare (par. 3), sulla scorta delle passate politiche energetiche. Lo sviluppo della biomassa, ad esempio, rappresenta un aiuto significativo per raggiungere i target rinnovabili europei. “È sconfortante rilevare l’indifferenza, l’ambiguità, persino l’opposizione dell’opinione pubblica e dei leader politici per due strumenti essenziali (…): l’energia nucleare e la cattura e lo stoccaggio della CO2 (Carbon Capture and Storage, CCS).

“Troppo spesso le politiche volte a decarbonizzare le economie si concentrano esclusivamente sulle emissioni di CO2. Dovremmo invece essere preoccupati anche delle altre emissioni di gas serra (25% del totale). Specie nel caso del metano, che ha un effetto serra per unità di volume 30 volte maggiore della CO2“.

Una strategia ‘no regret’: il perseguimento dell’efficienza energetica

“L’energia migliore è ovviamente quella che non viene consumata. Ma ciò presuppone una diffusa consapevolezza e la mobilitazione di ciascun individuo; implica anche un cambiamento nei comportamenti individuali per adottare modelli di consumo più sobri”.

Riscaldamento e trasporti sono i settori più complessi da ripensare in ottica low-carbon. Le sfide nella riqualificazione degli edifici energivori sono raccontate attraverso i casi della Germania e della Francia. Per ridurre l’impatto ambientale nei trasporti, Appert critica invece apertamente l’approccio Tank to Wheel, proponendo l’adozione di “un approccio sistemico alla mobilità, qualunque sia la sua modalità”.

L’imperativo dell’adattamento ai cambiamenti climatici

“Lo sviluppo di energie intermittenti associato a un calo della capacità di produzione di elettricità programmabile (centrali termiche) solleva interrogativi sulla stabilità del sistema elettrico per evitare blackout. (…) L’elettricità è tuttavia difficile da immagazzinare. Oltre all’energia idroelettrica e alla demand response dei consumatori industriali, vengono prese in considerazione diverse tecnologie (accumuli, aria compressa, idrogeno, vehicle to grid, etc.), la cui redditività deve essere attentamente valutata. La crescita dell’energia elettrica nel mix energetico rafforza l’importanza del tema della flessibilità nel settore elettrico”.

Necessaria inoltre la revisione del sistema ETS; benvenuta l’adozione di una carbon tax: “l’introduzione di una tassa sul carbonio alle frontiere dell’Unione Europea rimane una prospettiva interessante, la cui fattibilità solleva però numerosi interrogativi”. Altro tema di rilievo è l’imperativo dell’adattamento ai cambiamenti climatici che “previsto nel Protocollo di Kyoto è stato dimenticato”.

La priorità dovrebbe essere data alla riduzione dei costi e all’accettazione sociale delle nuove tecnologie

Netta la conclusione: chi paga? (par. 4). “la transizione energetica sarà costosa. (…) Converrebbe disporre di una matrice dei costi di ciascuna tecnologia e del loro impatto all’interno di un sistema e di una precisa traiettoria. (…) La tecnologia da sola non sarà la soluzione a tutti i problemi, ma può sicuramente aiutare. È quindi necessario mantenere gli sforzi in ricerca e sviluppo sia nel campo della riduzione delle emissioni sia nell’adattamento ai cambiamenti climatici”.

“È essenziale avviare uno sforzo di trasparenza e formazione per garantire il sostegno della società alle misure adottate. Questa azione è tanto più necessaria oggi, in un contesto in cui le fake news si diffondono senza sosta”.


Il post presenta l’articolo Transizione energetica, tra imposizioni politiche e mancanza di prospettiva, di Olivier Appert, in pubblicazione su ENERGIA 2.21

L’articolo è stato originariamente pubblicato in lingua francese su La Revue de l’Énergie n. 654/2021 gennaio-febbraio con il titolo ‘La transition énergétique entre injonctions politiques et déficit prospectif’ (www.larevuedelenergie.com)

Olivier Appert è stato Presidente del Conseil Français de l’Energie


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Foto: Unsplash

1 Commento
Rinaldo 

Riporto la frase letta sopra:
““Troppo spesso le politiche volte a decarbonizzare le economie si concentrano esclusivamente sulle emissioni di CO2. Dovremmo invece essere preoccupati anche delle altre emissioni di gas serra (25% del totale). Specie nel caso del metano, che ha un effetto serra per unità di volume 30 volte maggiore della CO2“.

Ma è proprio così quello che si dovrebbe considerare?
Vedi: “L’incerta incertezza del GWP (Global Warming Potential) – Tiziana Zerlia
Posted on http://www.ssc.it – 19 luglio 2013
Alcune note:
Spunti di riflessione: il GWP

Come è stato anticipato nella premessa, la rivisitazione del tema “ciclo di vita”, e di alcuni “effetti collaterali” al ciclo di vita medesimo (es. incertezza), offre lo spunto per
riagganciare nel dibatto sul clima uno dei tanti elementi di incertezza.
Si tratta del GWP5 ‐ il GLOBAL WARMING POTENTIAL –
parametro quasi ignorato e impiegato spesso acriticamente, esattamente come se
fosse un ASSIOMA.
Eppure, tale parametro riveste un ruolo di rilievo sia nell’ambito della trattazione scientifica dei cambiamenti climatici (v. vari report IPCC) sia per le forti implicazioni che tale parametro ha sui successi/fallimenti dei target della cosiddetta “politica del clima” che ha
visto l’Europa in prima fila con un approccio che appare oggi sempre più difficile da sostenibile di fronte al contesto economico‐congiunturale che si è andato man mano delineando.
La trattazione scientifica legata al “parametro GWP” (o meglio ai parametri GWP ‐ essendo il GWP un dato peculiare per ogni gas serra – v. SCHEDA 2) non è di facile lettura data
la complessità della materia, appannaggio quasi esclusivo dei climatologi.
Tuttavia le ripercussioni del GWP sulla “politica del clima” (e, dunque, sulle politiche energetiche, ambientali, sociali, …. ) e, in definitiva, su tutti noi, sono tali da rendere irrinunciabile il diritto/dovere di approfondire il significato di tale parametro (ai fini del suo utilizzo finale).
Il GWP gioca infatti un ruolo decisivo proprio nell’attribuzione del diverso “peso specifico” dei gas nell’incrementare l’effetto serra e, di rimando, nella pianificazione degli interventi operativi ‐ per altro onerosi – legati ai target di KYOTO (riduzione delle emissioni GHG antropiche ‐ ufficialmente registrate negli inventari nazionali delle emissioni – previste dai vari accordi internazionali).
Dunque il GWP gioca un ruolo importante.
5 http://unfccc.int/ghg_data/items/3825.php

Il termine “gioca” si adatta particolarmente vista la problematica che segue.
Infatti, è un vero peccato che, in questo “gioco”, il valore del GWP non si conosca.
Almeno con un’affidabilità ragionevole.
Peccato, inoltre, che il GWP non sia una costante numerica ma sia una variabile e che tale variabile sia – tra l’altro – funzione dell’ orizzonte temporale arbitrariamente scelto come
riferimento (20, 100, 500 anni ‐ v.
SCHEDA 3).
Dunque, man mano che migliorano le conoscenze scientifiche sull’argomento, i valori dei GWP di ogni gas serra cambiano.
La domanda sorge dunque spontanea:
quale orizzonte temporale usare come riferimento (e perchè)?
E’ vero che molte indagini sull’argomento – compresi molta modellistica previsionale (che
dovrebbe sondare l’efficacia degli interventi per il futuro) hanno recepito la convenzione, suggerita da IPCC (e piuttosto “aperta”, come si evince dalla nota 6) di adottare come
riferimento temporale l’orizzonte dei 100 anni.
Tuttavia, il progresso delle conoscenze scientifiche sull’argomento ha portato
(come si è detto) a definire nuovi valori dei GWP (SCHEDA 3 ) dei quali è impensabile non tener conto.
Ma, nel caso si tenesse conto del miglioramento delle conoscenze sull’argomento, si arriverebbe ad un vero paradosso.
Ogni singolo Paese dovrebbe infatti rivedere e ricalcolare – sulla base dei nuovi valori GWP ‐ una numerosa e strategica serie di dati sulle emissioni GHG (ad es.):
• inventari nazionali delle emissioni;
• trend delle emissioni;
• raggiungimento (o meno) dei target di riduzione GHG (obiettivi KYOTO);

Quindi, forse è il caso di un serio approfondimento!


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