La generazione idroelettrica, come emerge da un mio recente studio, ha assunto da sempre un ruolo determinante nello sviluppo economico e del sistema elettrico del nostro Paese. Un tempo nel consentire la sua prima fase di industrializzazione; oggi nel costituire un fattore cruciale nella transizione ecologica. Fattore di cui tuttavia si tiene scarso conto nel programmare il futuro e il percorso di decarbonizzazione che dovremo seguire.
Diverse sono le ragioni che rendono determinante l’energia idroelettrica: l’essere una fonte rinnovabile con emissioni per l’intero ciclo di vita inferiori a qualsiasi altra fonte; la economicità della sua produzione e competitività rispetto alle altre fonti di generazione elettrica; la lunga vita dei suoi impianti; le esternalità positive che è in grado di generare sui territori in cui opera.
Su tutte queste ragioni emerge però soprattutto il suo valore strategico: ovvero la capacità di garantire la stabilità dell’intero sistema elettrico bilanciando l’intermittenza delle risorse rinnovabili non programmabili. Una valenza che va ben oltre la quota del 18% nella complessiva generazione elettrica nazionale e il 40% nell’insieme delle risorse rinnovabili.
Situazioni d’ordine giuridico ed economico minacciano tuttavia il futuro di questa fonte energetica. Determinante è la disciplina che sovraintende all’assegnazione e rinnovo delle concessioni per uso idroelettrico. Praticamente unica in Europa, la nostra disciplina, a partire dal processo di liberalizzazione del mercato elettrico, ha introdotto la temporaneità delle concessioni e l’obbligo di gara per il rinnovo; pertanto la contendibilità delle concessioni ha avviato una lunga fase di incertezza operativa nel settore, dando origine per giunta a un lungo contenzioso con la Commissione Europea, a motivo della preferenza accordata, a parità di condizioni, al concessionario uscente.
Il disordine giuridico europeo e la mancanza di omogeneità tra le diverse normative degli Stati membri costituiscono un vulnus alla stabilità del sistema energetico europeo e nazionale. L’apertura della normativa italiana alla concorrenza del settore idroelettrico – caso praticamente unico in Europa, come già detto – mentre è in grado di generare limitati e del tutto incerti benefici alla collettività, non essendovi peraltro esperienze al riguardo, solleva pesanti rischi sul suo futuro, anche sotto il profilo della sicurezza e della tutela dei territori e delle comunità locali che ne sono interessati.
Le criticità e le incertezze connesse alle procedure di gara delle concessioni rischiano di impattare negativamente sugli investimenti e quindi sulle potenzialità di sviluppo di questa risorsa, rendendo più arduo il processo di transizione ecologica. Ne seguirebbe, infatti, una maggiore difficoltà a contro-bilanciare l’intermittenza delle altre rinnovabili che, in futuro, dovrebbero assumere un ruolo sempre più importante nell’offerta elettrica.
Il nostro Paese dispone anche in questo settore di eccellenze conoscitive, manifatturiere, gestionali che rischiano di essere penalizzate dalla disomogeneità delle legislazioni nei vari paesi europei e dal fatto che negli altri Stati europei non sono previste gare a cui possono partecipare imprese italiane; ciò a tutto vantaggio di imprese estere che, beneficiando anche di supporti riconosciuti dai loro governi, avrebbero degli iniqui vantaggi competitivi ad entrare nel nostro mercato. Averne consapevolezza è importante e determinante anche per le scelte future da assumere.
La definizione di un quadro di regole più certo e favorevole a nuovi investimenti garantirebbe di preservare l’efficienza dei grandi impianti idroelettrici esistenti favorendone un aumento della potenza e della producibilità. Ne deriverebbe un importante contributo, anche superiore a quello considerato nel PNIEC, all’aumento delle rinnovabili di cui la produzione idroelettrica costituisce lo zoccolo duro, che, nello scenario PNIEC al 2030, rappresenterà in termini quantitativi ancora il 26% della complessiva produzione rinnovabile e in termini qualitativi uno strumento essenziale per la stabilità del sistema.
Come già detto, il settore delle concessioni di grande derivazione idroelettrica risulta ad oggi privo di una disciplina organica ed omogenea a livello europeo riguardo le procedure di selezione/affidamento/rinnovo. Ogni Stato ha definito autonomamente il proprio regime relativamente alla durata, all’aggiudicazione dei diritti di utilizzo della risorsa idrica e alle loro eventuali proroghe, senza una vera apertura al mercato. Ad eccezione dell’Italia.
Di conseguenza, l’imposizione da parte UE all’Italia di norme di apertura concorrenziale crea una evidente situazione di sperequazione e disequilibrio. La materia delle concessioni idroelettriche richiederebbe l’emanazione di una normativa europea che assicuri un’armonizzazione del quadro di regole, tenendo conto delle peculiarità della risorsa idroelettrica nell’ambito del sistema energetico e per il suo impatto sui territori e sulle comunità locali. In assenza, sarebbe opportuno che il quadro normativo nazionale non determini situazioni ulteriormente penalizzanti per gli operatori nazionali a vantaggio di imprese estere.
Alle ragioni di rischio e di incertezza derivate dalle normative e politiche comunitarie si sono andate, infatti, aggiungendo quelle nazionali col processo di ‘regionalizzazione’ che ha conferito agli enti locali un potere dirimente nelle procedure di gara per l’assegnazione delle concessioni, differenziandole su base locale così da non assicurare coerenza ed omogeneità di applicazione a livello nazionale.
Sarebbe opportuno che scelte rilevanti in tema di produzione idroelettrica non fossero rimesse alle poche Regioni in cui sono presenti gli asset, ma fossero frutto di una valutazione effettuata a livello centrale, evitando il prevalere di interessi locali e settoriali su quelli generali, ciò in coerenza anche con il fatto che alla realizzazione di quegli asset ha contributo l’intero Paese e non le singole Regioni in cui è presente la risorsa idrica.
Le imprese operanti nel settore idroelettrico nel nostro Paese si trovano soggette a una duplice pressione: da un lato, quella prodotta a livello europeo dalla richiesta di introdurre procedure concorsuali che determinerebbe evidenti disparità a danno del nostro Paese; dall’altro la pressione interna con i rischi connessi alla frammentazione normativa regionale e alle nuove modalità di valorizzazione degli asset.
Una pluralità di attori politico-amministrativi che con azioni non coordinate e poco lungimiranti rischiano di creare una situazione di profonda incertezza per le scelte gestionali e le decisioni di investimento degli operatori. Da qui, la conclusione che il supporto all’idroelettrica, come ampiamente avvenuto per le altre rinnovabili, dovrebbe costituire un must delle nostre politiche climatiche sia relativamente alla gestione delle centrali esistenti che per coglierne le potenzialità di sviluppo con ingenti investimenti.
Appare, in conclusione, essenziale rimarcare la biunivoca correlazione che lega salvaguardia e sviluppo dell’energia idroelettrica, in forza del suo valore strategico e dei suoi vantaggi economici e ambientali, e transizione ecologica del nostro Paese. Non tenerne conto rischia di rendere quest’ultima ancor più difficoltosa e lontana.
Alberto Clô è direttore del trimestrale ENERGIA e del blog RivistaEnergia.it
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