28 Luglio 2021

La (ciclica) corsa all’uranio

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Gli Stati Uniti di Biden lo inseriscono nel Clean Energy Standard; l’Unione Europea di Von der Leyen nello European Green Deal; il Giappone riapre dopo Fukushima; la Cina vi investe pesantemente già da tempo. Tutto lascia prefigurare una rinascita del nucleare sulla spinta, anche, della transizione energetica. Ma che ne è della materia prima? L’uranio è nello stesso trend di crescita di litio, nickel, cobalto e rame. Alla pari delle altre materie prime necessarie alla transizione energetica, è quindi opportuno interrogarsi sullo stato delle riserve attuale e prospettico e l’andamento di mercato avendone ben presente le peculiarità.

L’Amministrazione Biden sta sostenendo i sussidi federali per mantenere in funzione le centrali nucleari statunitensi come parte della sua proposta infrastrutturale e sta valutando l’ipotesi di estenderne la vita operativa fino a 100 anni. Un intervento ritenuto necessario per sostenere gli ambiziosi obiettivi climatici del presidente Joe Biden tanto che l’energia nucleare è inserita nel Clean Energy Standard, ovvero tra le fonti con cui produrre elettricità a basse emissioni di carbonio.

Sulla base delle raccomandazioni espresse dalla IEA circa il rischio per la sicurezza energetica dalla progressiva dismissione delle centrali nucleari, nel novembre 2019 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che riconosce il ruolo dell’energia nucleare nella realizzazione dello European Green Deal. Anche in Giappone i reattori stanno tornando in funzione, dopo Fukushima, per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione entro il 2050.

Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA) nel mondo ci sono 443 reattori e 51 sono in costruzione. Stando a quanto dichiarato da Peter Dasler, Presidente e CEO di CanAlaska Uranium, le centrali in funzione raggiungeranno le 600 unità entro il 2030 e altre 200 diventeranno operative entro il 2040, di fatto raddoppiando quelle attualmente esistenti.

Reattori in costruzione
Fonte: IAEA

 Anche in considerazione del fatto che la Cina sta investendo pesantemente nell’atomo infatti l’energia nucleare costituirà la parte più rilevante, il 28%, del suo mix energetico nel 2060.

Mix energetico della Cina
Fonte: Smriti Mallapaty, How China could be carbon neutral by mid-century, Nature, 19 October 2020

Oggi Pechino è il terzo produttore mondiale di energia nucleare per capacità, con 49 reattori nucleari in funzione e 51 GW di capacità. Gli obbiettivi al 2060 prevedono un aumento di dieci volte della capacità nucleare che passerebbe entro il 2025 a circa 70 GW in funzione e 40 GW in costruzione per arrivare fino a 554 GW entro il 2050.

Il costo del reattore cinese di terza generazione è 1/3 inferiore quelli di Europa, Stati Uniti e Giappone

Il reattore nucleare di terza generazione Hualong One, ad acqua pressurizzata, ha segnato l’ingresso della Cina nel ristretto cerchio di paesi in grado di disporre di una propria tecnologia nucleare con la differenza, significativa, che i costi di uno di questi reattori sono di un terzo inferiori a quelli di Europa, Stati Uniti e Giappone. È facile prevedere un’esportazione futura di questa tecnologia attraverso tutti i paesi che aderiscono alla Belt and Road Initiative.

Fonte: Sabrina Moles, Reattori nucleari «made in China»: il nuovo export cinese è atomico, Il Manifesto, 16 maggio 2021

L’Arabia Saudita sta costruendo 16 centrali elettriche, gli Emirati Arabi Uniti ne stanno costruendo otto. La Polonia sta chiudendo le sue miniere di carbone e vuole passare al nucleare, così come il Sudafrica.

Non solo Cina, anche i paesi del Golfo scommettono sul “rinascimento nucleare”

Questo nuovo “rinascimento nucleare” (come definito da Ettore Ruberti in questo Blog) porta a interrogarsi – alla pari della altre materie prime necessarie alla transizione energetica – sulla disponibilità di uranio attuale e prospettica e l’andamento del mercato.  Ma come funziona il mercato dell’uranio? Vi sono rischi di deficit, attuali o futuri?

La capacità dell’uranio di generare una grande quantità di energia elettrica è nota: una tipica pastiglia di combustibile (pellet) di uranio pesa circa 7 grammi e può generare tanta energia quanto 3,5 barili di petrolio, 480 m3 di gas naturale o 800 kg di carbone.

Canada, Australia, Kazakistan, Niger, Russia e Namibia sono i principali produttori mondiali, e rappresentano circa l’84% della produzione mineraria globale.

Estrazione di uranio per paese dal 1970 al 2017
Fonte Materialflows.net

Esiste un rischio deficit di uranio? Quali condizioni di affidabilità della catena di approvvigionamento? Gli attuali prezzi sono sostenibili?

Le risorse identificate economicamente recuperabili entro un prezzo di 130 $/kg, sono 6.147.800 tonnellate mentre quelle recuperabili con un prezzo di 260 $/kg sono 8.070.000 t (OECD-NEA & IAEA, Uranium 2020: Resources).

L’uranio viene fornito al mercato sotto forma di ossido U3O8 comunemente chiamato yellowcake e viene ottenuto attraverso un processo di macinazione della roccia contenente il minerale (prevalentemente uraninite o pechblenda) e successivamente arricchito mediante lisciviazione per estrarvi l’ossido metallico.

Nel 2019, la produzione mondiale di uranio è stata di 54.752 tonnellate: l’81% della domanda globale. C’è quindi un deficit nella produzione primaria e gli impianti nucleari esistenti devono rivolgersi alla produzione secondaria o alle scorte.

Le ragioni come vedremo sono molteplici ma, oltre ai problemi legati alla pandemia, in realtà piuttosto limitati, la principale causa è da ricercarsi nel prezzo di mercato della materia prima. In un mondo che necessita di energia affidabile e priva di carbonio, alla fine la legge della domanda e dell’offerta porterà ad una ridefinizione del prezzo del minerale.

L’uranio non viene negoziato in borsa, ma viene scambiato prevalentemente attraverso contratti diretti acquirente/venditore

È tuttavia importante valutare quali sono le condizioni di affidabilità della catena di approvvigionamento di questo metallo e la reale sostenibilità degli attuali prezzi. Secondo gli analisti di mercato, l’uranio è nello stesso trend di crescita di litio, nickel, cobalto e rame ma, a differenza di questi metalli, l’uranio non viene negoziato in una borsa come il London Metal Exchange ma viene scambiato prevalentemente, circa l’85% dei casi, attraverso contratti diretti tra acquirente e venditore: solitamente le utility dell’energia nucleare e le compagnie minerarie. I prezzi del mercato spot sono pubblicati da consulenti di mercato indipendenti come UxC o TradeTech.

La struttura dei contratti di fornitura di uranio è estremamente varia: tradizionalmente i contratti definiscono un prezzo base, quello del mercato spot ad esempio, e le regole per il suo adeguamento che possono prendere in considerazione indici economici, come il PIL o fattori di inflazione.

Attualmente il prezzo sul mercato della materia prima è a circa 66 $/kg (pari a ~ 30 $/lbs, unità di misura spesso usata in letteratura per le quotazioni) con contratti a lungo termine per una fornitura mediamente di 10 anni.

Proiezione della fornitura di uranio e gli scenari di crescita della domanda ipotizzati fino al 2040
Fonte: Tribeca Investments

Questa dinamica di mercato rende l’industria estrattiva dell’uranio ciclica: il collocamento della produzione sul mercato per periodi molto lunghi tende a creare la percezione che l’uranio sia abbondante e conseguentemente i prezzi diminuiscono: in questo modo non si percepisce l’urgenza di avviare nuove contrattazioni e gli investimenti in nuove forniture diminuiscono.

Arriva però il momento in cui la sicurezza dell’approvvigionamento tende a superare le preoccupazioni sui prezzi e le utilities rientrano nel mercato a lungo termine per assicurarsi di avere un approvvigionamento affidabile di uranio per far funzionare i loro reattori.

Ci troviamo all’inizio della fase ascendente del ciclo dei prezzi dell’uranio

Secondo UxC negli ultimi cinque anni sono state consumate nei reattori poco meno di 370.000 t di U3O8 mentre circa 170.000 t sono state bloccate nel mercato a lungo termine. Pare quindi evidente la presenza di un crescente divario da colmare, che arriverebbe a circa 635.000 t entro il 2035, per mantenere i reattori in funzione nei prossimi anni.

D’altra parte, in questo mercato, dove un reattore può funzionare per oltre 60 anni, l’uranio naturale e i servizi connessi devono essere acquistati con anni di anticipo, lasciando il tempo per una serie di fasi di lavorazione prima che arrivi alla centrale come pacchetto di combustibile finito.

All’aumentare del fabbisogno le quantità disponibili sul mercato spot non saranno in grado di soddisfare il crescente arretrato della domanda a lungo termine portando una maggiore concorrenza per assicurarsi l’uranio con contratti a lungo termine a condizioni che assicureranno la disponibilità di una fornitura primaria affidabile.

…ma i lunghi tempi di quest’industria consentono di non arrivare a situazione critiche di deficit della materia prima

Questo permetterà di rivalutare la produzione di miniere dove il prezzo attuale rendeva non economica l’estrazione (ad esempio Rossing ed Hussab in Namibia, Four mile in Australia, Priargunsky in Russia o quelle cinesi).

Un prezzo che nei contratti a lungo termine superasse la soglia dei 143 $/kg (~ 65 $/lbs) consentirebbe la ripresa della produzione di miniere sospese o in manutenzione come Ranger in Australia, Langer Heinrich in Namibia o McArthur in Canada e probabilmente convincerebbe anche Kamiko e Kazadaprom, i più grandi produttori a livello globale, che pur disponendo di una produzione con costi estremamente competitivi, gli attuali prezzi sconsigliavano di portare tutto il prodotto sul mercato.

Andamento storico del prezzo spot medio
Fonte: UxC

Per quanto l’effettiva consistenza delle scorte rimanga opaca osservando la ciclicità ed i picchi, legati ad eventi come lo tsunami in Indonesia ed il disastro di Fukushima, le analisi ipotizzano un prezzo che nei prossimi anni potrebbe arrivare a superare i 287 $/kg (~140 $/lbs) garantendo così lo sviluppo di una catena di approvvigionamento che diversamente sarebbe destinata ad andare in deficit.

La corsa alla transizione energetica pare stia sempre più considerando le centrali nucleari come quel complemento alle energie rinnovabili in grado di fornire il necessario carico di base. Dopotutto una centrale nucleare da 1 GW con un capacity factor di 93% produce quello che produrrebbero 11 milioni di pannelli solari da 320W (c.p. 27%) o 940 turbine eoliche da 3 MW (c.p. 33%).

Il diverso andamento e ciclicità del mercato dell’uranio rispetto a quello degli altri minerali per la transizione energetica potrebbe essere un ulteriore punto a favore della rinascita del nucleare.


Errata corrige (15.09.2023): per un errore di conversione da libbre a kg la versione originale riportava i seguenti prezzi: 14 $/kg, 30 $/kg, 60 $/kg; che sono stati corretti in: 66 $/kg, 143 $/kg, 287 $/kg.

Giovanni Brussato è ingegnere minerario e autore del volume Energia verde? Prepariamoci a scavare, ed. Montaonda


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Foto: sualk61 su Flickr

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