Quanto incide l’assetto regolatorio dei mercati del gas sul livello dei prezzi? In un articolo pubblicato su ENERGIA 3.20 Roberto Cardinale (American University in Cairo) spiegava il legame tra regolazione dei mercati gas e prezzi bassi. È un tema oggi più che mai importante, perché il mercato all’ingrosso del gas naturale continua ad attraversare una congiuntura caratterizzata da un’ampia volatilità dei prezzi. L’estratto che riproponiamo integrato con il contributo dell’autore racconta il caso degli Stati Uniti, tra i mercati più competitivi al mondo, che grazie alla shale revolution può garantire un livello dei prezzi inferiore a quello registrato in altre aree geografiche come l’Europa. Come si spiega questa diversità? Può il modello americano ispirare le riforme europee?
Quanto incide l’assetto regolatorio dei mercati del gas sul livello dei prezzi? Su ENERGIA 3.20 Roberto Cardinale (American University in Cairo) analizzava alcuni casi nazionali per spiegare come le politiche di liberalizzazione sperimentate in diverse aree geografiche possano sortire effetti diversi.
Di seguito presentiamo un estratto dell’articolo dedicato all’esperienza della liberalizzazione negli Stati Uniti, un processo avviato nel lontano 1978, ma in cui i prezzi finali hanno cominciato a diminuire in maniera sostanziale e permanente solo grazie allo sviluppo su larga scala delle tecniche di produzione shale, alla fine degli anni 2000. Una storia che può insegnare anche all’Europa, soprattutto ora che il mercato sperimenta una forte instabilità.
“(…) Le prime misure di liberalizzazione del mercato del gas statunitense risalgono alla fine degli anni Settanta. In precedenza, il prezzo del gas era regolamentato dalla Federal Power Commission (FPC), che imponeva un tetto per proteggere i consumatori dal potere di mercato delle imprese produttrici e di trasporto. Tuttavia, con gli shock petroliferi degli anni Settanta, il beneficio di un prezzo regolamentato divenne nettamente inferiore allo svantaggio derivante da livelli di offerta troppo bassi per supplire alla carenza di petrolio. Per incentivare l’aumento dell’offerta di gas, la Federal Energy Regulatory Committee (FERC, già FPC) decise di deregolamentare il prezzo del gas al pozzo, incoraggiando la messa in produzione anche dei pozzi con costi di produzione più alti del prezzo regolamentato (12).
Tuttavia, in occasione del contro-shock a metà degli anni Ottanta, i prezzi del gas risultarono meno vantaggiosi rispetto a quelli di petrolio e carbone. Questa situazione causò forti perdite alle compagnie dei gasdotti, vincolate da contratti di lungo termine ad acquistare grosse quantità di gas che sarebbero rimaste invendute. Tali perdite indussero ulteriori aggiornamenti alla regolamentazione. Nel 1992, la FERC approvò una misura che impose un divieto per le compagnie dei gasdotti di operare in segmenti di mercato al di fuori del core business del trasporto. Più specificamente non poterono più comprare e vendere gas, ma soltanto far pagare tariffe di trasporto alle imprese produttrici (o agli shipper) che permettessero di coprire gli investimenti infrastrutturali e ottenere profitti (13).
Gli Stati Uniti realizzano il mercato del gas più competitivo al mondo, con prezzi sempre inferiori a quelli europei e asiatici
Nel 1992, la liberalizzazione del mercato del gas statunitense poteva ritenersi completata nei suoi aspetti principali. In particolare, la competizione nel midstream tra le compagnie dei gasdotti ne rappresentava la punta di diamante; era un obiettivo ambizioso che avrebbe fatto sì che nessun paese al mondo potesse vantare un tale livello di competizione tra operatori di infrastrutture della rete nazionale (14).
Nonostante gli Stati Uniti abbiano da sempre vantato livelli dei prezzi del gas inferiori a quelli europei e asiatici, alle riforme regolatorie non corrispose un ulteriore trend al ribasso. I prezzi, che fluttuavano intorno ai 2 doll./mil Btu negli anni 1990, crebbero notevolmente negli anni 2000 raggiungendo un picco di quasi 8 doll./mil Btu, per poi ritornare a una media di circa 3,3 doll./mil Btu negli anni 2010 (Fig. 2).
Il grafico mostra che il lasso di tempo tra il completamento delle liberalizzazioni nel 1992 e la diminuzione dei prezzi nel 2009 fu abbastanza lungo, oltre quindici anni. Se si considera la data d’inizio delle riforme, questo lasso temporale si estende fino a circa trent’anni. Tale risultato viene interpretato da alcuni esperti (Makholm 2012, Arano e Blair 2010) come l’effetto dell’abilità di alcune imprese di mantenere il potere di mercato ostacolando i nuovi concorrenti e della necessità di dar tempo alle nuove regole per essere assimilate dai meccanismi del mercato.
Fino a fine anni Duemila, sul mercato del gas incide più l’andamento del petrolio che l’assetto regolatorio
A mettere in dubbio l’efficacia della liberalizzazione è anche il parallelismo nelle fluttuazioni delle curve dei prezzi statunitensi ed europei a fronte delle differenze nei rispettivi regimi regolatori. Ciò suggerisce che, anche negli Stati Uniti e fino alla fine degli anni Duemila, i prezzi del gas venivano influenzati maggiormente da fattori come il prezzo del petrolio, le crisi geopolitiche e i tassi di crescita economica, piuttosto che dalla regolamentazione interna.
Tuttavia, ciò che emerge da Fig. 2 è che un calo netto e permanente dei prezzi avvenne solo in corrispondenza del marcato aumento della produzione interna di gas nella seconda metà degli anni Duemila, grazie allo sviluppo dello shale gas con un aumento della produzione interna che passa da circa 23.500 a circa 40.600 miliardi di piedi cubi (mld. pc) (EIA 2020b). Quel che suggerisce che l’abbondanza di gas è stato il fattore determinante della netta diminuzione dei prezzi è il fatto che negli anni 2010 il prezzo del gas non sia più stato condizionato dall’andamento del prezzo del petrolio, mostrando per la prima volta andamenti autonomi, caratterizzati da un eccesso di offerta e dal permanere di prezzi bassi intorno ai 3 doll./mil. Btu. L’eccesso di offerta di gas ha diminuito infatti la necessità di ricorrere al petrolio, diminuendo la correlazione tra i loro prezzi (15).
Ma è l’eccesso di offerta a garantire prezzi bassi, dopo la shale revolution il gas non segue le dinamiche del mercato petrolifero
Il fatto che negli anni seguenti l’andamento al ribasso nei prezzi si verificherà anche nei mercati europei e asiatici, seppur in misura più contenuta, non ridimensiona l’ipotesi della preponderanza della rivoluzione shale nella fissazione di bassi prezzi. Anzi, la avvalora. Infatti, è molto probabile che il passaggio da una condizione di scarsità a una di abbondanza abbia avuto un impatto anche nel mercato internazionale, tale da condizionare il livello dei prezzi in altri continenti. L’evoluzione dell’industria energetica statunitense negli ultimi decenni fornisce ulteriori spunti per mostrare che le liberalizzazioni non sempre sono sufficienti ad aumentare la competizione di mercato e a ridurre i prezzi (…)”.
La deregolamentazione dei prezzi nell’upstream statunitense sembrerebbe aver contribuito a stimolare un volume di investimenti tale da innescare la rivoluzione shale e raggiungere l’obiettivo dell’indipendenza energetica. Ma ciò avvenne in una prospettiva temporale molto lunga, a 30 anni dall’avvio delle riforme, e a 15 anni dalla loro conclusione.
Anche la liberalizzazione ha contribuito a questo cambiamento strutturale
Inoltre, rimane chiaro che la liberalizzazione fu una delle condizioni per creare una situazione di abbondanza da produzione domestica. Altre condizioni fondamentali furono:
(i) assenza di eccessivi vincoli legislativi allo sfruttamento delle risorse interne;
(ii) estensione del mercato che permette lo sfruttamento di economie di scala e scopo;
(iii) mancanza di fattori geografici o politici che rendano molto costoso o rischioso il trasporto dalle aree di produzione a quelle di consumo.
Tuttavia, il mercato del gas statunitense non rimane immune dagli andamenti del mercato mondiale
Essendo diventati un paese esportatore netto, non appena la domanda nei principali mercati di importazione cresce, i produttori statunitensi sono spesso più propensi a soddisfare questa piuttosto che la domanda domestica.
Nonostante i costi di liquefazione e trasporto siano recentemente arrivati intorno ai 3,5 doll./mil. Btu, la redditività dell’export non sembrerebbe essere stata compromessa, grazie al premium pagato negli hub europei e asiatici. Di conseguenza, la domanda estera creerebbe una leggera flessione al rialzo nei prezzi spot statunitensi.
Il rialzo dei prezzi guidato dalla domanda estera non toglie agli USA il vantaggio competitivo del quale godono grazie alla loro indipendenza energetica e capacità di esportazione
La flessione al rialzo provocata dalla domanda estera è sempre molto contenuta se paragonata a quella degli hub europei. A fronte di un prezzo che coincideva nel 2020, quando la domanda di gas era contenuta sia nel mercato europeo che americano, il premium europeo nel 2021 è aumentato fino a più di 5 doll./mil. Btu.
Al contrario, i prezzi del TTF sono passati da livelli leggermente superiori a 1 doll./mil. Btu della primavera del 2020 agli oltre 7 a gennaio 2021, per poi ripiegare leggermente fino a marzo e tornare a crescere a partire da aprile, con medie mensili che progressivamente si portano a sfiorare la soglia dei 10 doll. mil tu a giugno.
Tali fluttuazioni indicano un’evidente volatilità dei prezzi nel mercato europeo, sicuramente dovuto alla scarsità interna e a una relativa incertezza sulle forniture estera.
Nonostante la progressiva deindicizzazione dal petrolio abbia negli ultimi anni contribuito a diminuire le fluttuazioni nei prezzi del gas europei, la crescente interdipendenza tra gli hub internazionali accompagnata da una politica di frammentazione della filiera e di riduzione della durata dei contratti di approvvigionamento hanno contribuito a ricreare una condizione di volatilità dei prezzi, controbilanciando gli effetti benefici della deindicizzazione.
Diversamente dalla situazione europea, la liberalizzazione negli Stati Uniti non ha portato a un problema di volatilità nei prezzi
Due elementi fondamentali hanno contribuito al raggiungimento di questo risultato. La condizione di abbondanza nella produzione domestica, che è ormai un aspetto strutturale del mercato del gas americano, e che ha la sua origine nella rivoluzione shale.
L’altro aspetto importante riguarda la dimensione del mercato e il livello di connettività raggiunto, grazie alla politica di estensione della rete di gasdotti (intra- e inter-statali) e a un costante impegno verso la rimozione di monopoli e l’incentivo della competizione nel mercato del trasporto tramite gasdotto.
Tuttavia, il raggiungimento di una condizione di competizione di mercato in un segmento ritenuto tradizionalmente monopolio naturale è stato possibile grazie a due condizioni importanti:
- la dimensione del mercato statunitense, che permette la coesistenza di diverse aziende nonostante gli alti costi fissi delle infrastrutture;
- l’uniformità nella regolamentazione, che avviene a livello federale, e che quindi permette un’effettiva rimozione di potenziali barriere poste dai singoli Stati Federali.
Diverso è il caso dell’Europa, dove tali barriere sono ancora rilevanti a causa delle notevoli differenze negli interessi e approcci di politica energetica de parte degli Stati Membri, nonostante lo sforzo dell’UE nel rimuoverle.
Può il modello americano ispirare le riforme europee? Sì, ma non dobbiamo perdere di vista l’elemento chiave del successo: la produzione domestica
L’UE si è molto ispirata alle riforme americane, enfatizzando la rimozione delle barriere al fine di aumentare la scala di produzione e trasporto, all’uniformità regolatoria. Tuttavia, ha perso di vista un’elemento chiave di differenza rispetto agli Stati Uniti: la dipendenza dall’estero.
Il venir meno di tale condizione, o almeno una sua attenuazione rispetto ai livelli attuali, è necessario per riuscire a conciliare competizione di mercato e bassi prezzi. La disfunzione del modello europeo, infatti, si acuisce quando la domanda di gas aumenta, come nella fase attuale, dove ha raggiunto prezzi record come l’attuale 36 euro per MWh (equivalente a 12,5 doll./mil. Btu).
Al contrario, gli Stati Uniti mantengono prezzi inferiori ai 3 doll./mil. Btu e le loro fluttuazioni sono minime rispetto all’Europa (ad eccezione del mese di febbraio 2021 a causa dei blackout in Texas).
In Europa invece la volatilità rischia di danneggiare i consumatori con prezzi alti e sicurezza delle forniture, diminuendo la competitività industriale in primis rispetto ai competitor americani.
Il post presenta un estratto dell’articolo Riflessioni sull’effetto delle liberalizzazioni sui prezzi del gas di Roberto Cardinale, pubblicato su ENERGIA 3.20 ed è stato elaborato con il contributo dell’autore.
Roberto Cardinale è Assistant Professor presso il Dipartimento di Economia dell’American University in Cairo
Sui prezzi del gas naturale leggi anche:
Perché i prezzi gas tornano a salire? Lezioni dalla liberalizzazione UK, di Redazione, 22 Gennaio 2021
Forte volatilità sui mercati del gas, di Gian Paolo Repetto, 20 Gennaio 2021
Primum vivere, deinde philosophari: fare la transizione energetica, ma anche arrivarci vivi, di Alberto Clò, 15 Gennaio 2021
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Foto: Bianca Ackermann on Unsplash
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