La tecnologia che combina la riduzione diretta del ferro (DRI) con i forni ad arco elettrico (EAF) offre grandi opportunità per rendere verde l’acciaio: dall’impiego di gas naturale o idrogeno, come fonte di energia e agente riducente, a quello dei rottami come feedstock. Non mancano tuttavia limiti e ostacoli di carattere tecnico (proprietà del prodotto finito), economico (disponibilità e costi dell’impiego di rottami di elevata qualità, disponibilità e costi dell’idrogeno verde), geologico (disponibilità di materia prima di elevata qualità).
L’acciaio è la spina dorsale delle infrastrutture globali, è la seconda catena di valore delle materie prime al mondo dopo il petrolio greggio. Uno dei punti chiave della transizione energetica sarà proprio la riduzione delle emissioni dell’industria siderurgica che rappresentano circa il 7-10% (Iron and Steel Technology Roadmap – Analysis – IEA) delle emissioni globali di gas serra. Il successo dell’industria siderurgica nel ridurle giocherà un ruolo cruciale nella sfida globale per rendere l’economia del Pianeta carbon neutral.
Esistono due principali tecnologie per convertire il minerale di ferro, costituito da ossidi di ferro, in ferro metallico:
- l’altoforno (Blast furnace BF), che è di gran lunga il più diffuso, generalmente abbinato a forni a ossigeno basico (Blast oxygen furnace BOF) per convertire il metallo caldo o la ghisa che producono in acciaio
- la tecnologia DRI/EAF che abbina la tecnica di riduzione diretta (Direct reduced iron DRI), che rappresenta poco più di 100 Mt all’anno (circa l’8% della produzione primaria mondiale di ferro), ai forni ad arco elettrico (Electric arc furnace EAF).
La riduzione diretta del ferro (DRI): una tecnologia per ridurre l’impatto emissivo del settore
La principale differenza tra i due processi è l’agente riducente utilizzato per rimuovere l’ossigeno dai minerali di ferro. L’altoforno (BF) utilizza carbonio sotto forma di carbone metallurgico, mentre gli impianti DRI possono essere alimentati sia a metano che a idrogeno, per la massima flessibilità operativa, per quanto attualmente si utilizzi generalmente il gas naturale e principalmente in regioni come il Medio Oriente, dove i prezzi del gas sono relativamente bassi.
Sebbene oggi la maggior parte della produzione DRI utilizzi gas naturale per eliminare l’ossigeno dal minerale di ferro (essenzialmente suddividendo il gas naturale in idrogeno e monossido di carbonio), la tecnologia consente anche l’utilizzo dell’idrogeno, sia come fonte di energia che agente riducente.
Anche nell’Unione Europea, dove circa l’80% del minerale di ferro viene importato, la tecnologia DRI/EAF basata sull’idrogeno è ritenuto l’unico percorso implementabile su larga scala per la produzione di acciaio “verde”. Un idrogeno prodotto per elettrolisi con elettricità generata da fonti rinnovabili può rendere “verde” l’industria siderurgica.
Attualmente in Europa esiste un solo impianto industriale di DRI (Amburgo, di proprietà di ArcelorMittal, capacità produttiva totale di ca. 0,7 mil. ton.) Molte aziende hanno già annunciato l’intenzione di introdurre DRI nel loro processo produttivo facendo prevedere che entro i prossimi 30 anni la produzione potrebbe triplicare.
Il riutilizzo dei rottami: opportunità interessante, ma non priva di limiti
I forni ad arco elettrico consentono la produzione di acciaio anche a partire dai rottami evitando così la fase della lavorazione del ferro e le conseguenti emissioni di CO2. Un’opportunità di grande interesse per ridurre ulteriormente l’impatto emissivo del settore, che tuttavia si scontra contro alcuni limiti.
- di carattere tecnico: l’acciaio prodotto dai rottami viene utilizzato principalmente nell’industria delle costruzioni (acciaio per cemento armato) perchè tende ad avere una qualità inferiore per via di impurità che influiscono sulle proprietà meccaniche del prodotto finale. Molti tipi di acciaio richiedono pertanto l’aggiunta di DRI o ghisa di alta qualità nell’alimentazione del forno ad arco.
- di carattere economico, bisogna considerare il costo dell’impiego dei rottami in quanto l’analisi della loro qualità impatta sui prezzi, inoltre l’offerta di quelli di alta qualità è limitata (molto al di sotto delle esigenze globali). Di fatto, non c’è abbastanza rottame in circolazione, con il rapporto globale che probabilmente rimarrà mediamente al di sotto del 50%. A livello globale, nel 2020, è stato stimato che ne siano stati riciclati 895,8 mil. ton.
Anche il ricorso alla materia prima non è esente da potenziali limiti
Come visto, anche senza l’impiego di rottami, la produzione DRI/EAF consente di ridurre l’impatto emissivo anche partendo dalla materia prima. Non va tuttavia sottostimato il rischio geologico: non c’è abbastanza minerale di ferro di alta qualità adatto per una produzione DRI/EAF efficiente per soddisfare la domanda globale di acciaio. Con impurità come silice, allumina e fosforo che incidono fortemente sull’efficienza e sulla competitività del processo EAF, la produzione DRI deve utilizzare un minerale di ferro di altissima qualità, con un contenuto medio di ferro di almeno il 67%. E tali depositi sono scarsi.
Per quanto il ferro non sia una merce rara (quarto elemento più abbondante nella crosta terrestre) le miniere che possono produrre minerali di alta qualità (i cosiddetti DSO direct-shipping ores) sono limitate ed una significativa espansione del settore DRI porterà probabilmente a una carenza di materie prime entro il prossimo decennio. L’offerta potrebbe rimanere insufficiente anche se i produttori di acciaio utilizzassero completamente le miniere esistenti e ne aprissero di nuove.
Bisogna inoltre considerare che, su pressione dei vari governi, anche gli impianti tradizionali (BF/BOF) per contenere le emissioni stanno sempre più utilizzando minerale con alti tenori in ferro. Minori impurità comportano di fatto minori emissioni di particolato e di gas serra in fase di produzione.
In Cina, il Ministero dell’Industria e dell’Information Technology ha invitato le acciaierie a ridurre la produzione di acciaio grezzo nel 2021 ritenendolo il modo più efficace per limitare le emissioni di carbonio del settore.
Il risultato è che il prezzo è schizzato alle stelle.
Senza uno sviluppo tecnologico nel processo DRI/EAF che ne consenta il funzionamento in modo efficiente anche con minerali di qualità inferiore, il fabbisogno di materie prime la cui disponibilità è limitata ne ridimensionerà la competitività.
Discorso simile vale per l’acqua, altra materia prima necessaria alla produzione che potrebbe essere carente nelle regioni soggette a stress idrico.
Un’altra criticità è poi legata alle difficoltà economiche di fornire le grandi quantità di idrogeno “verde” per supportare l’industria siderurgica, comprese le infrastrutture di distribuzione e stoccaggio.
La domanda di elettricità senza CO2 dell’industria siderurgica della UE nel 2050 è stimata in 400 TWh all’anno, corrispondenti a circa la metà dell’odierna produzione totale di elettricità da fonti rinnovabili. A questo vanno aggiunti i costi per l’implementazione di sistemi di stoccaggio dell’energia elettrica su larga scala a causa dell’intermittenza delle fonti rinnovabili.
Le variabili in gioco sono molte e la transizione verso un acciaio ad emissioni zero sembra un percorso ad ostacoli dove il rischio di uno sviluppo infruttuoso può essere dovuto non solo al mancato raggiungimento degli obiettivi tecnici ma anche dalla sostenibilità economica.
Giovanni Brussato è ingegnere minerario e autore del volume Energia verde? Prepariamoci a scavare, ed. Montaonda
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Foto: Unslpash
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