4 Agosto 2021

La realpolitik industriale tedesca (che determina la politica climatica europea)

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L’Unione Europea continua ad alzare l’asticella degli obiettivi climatici. Da ultimo, in vista della neutralità climatica da raggiungere entro il 2050, l’obiettivo intermedio -55% da raggiungere tramite il pacchetto “Fit for 55”. Qual è il peso della Germania nel determinare gli obiettivi energetico-climatici dell’Unione Europea? “Egemonico” sostiene GB Zorzoli in articolo pubblicato su ENERGIA 4.20 in cui analizza la fattibilità del piano energia-clima della Commissione nel contesto italiano. A dominare la strategia di decarbonizzazione europea dal 1990 è un “rapporto incestuoso tra governo e industria” tedeschi. Per quanto la si possa ritenere la migliore strategia di decarbonizzazione in circolazione, non è detto che sia fattibile in tutti i paesi dell’Unione e non rechi danno alla coesione stessa dell’Unione. Mentre è certo di chi sia il mulino a cui porta l’acqua.

L’Unione Europea continua ad alzare l’asticella degli obiettivi climatici. Da ultimo, il pacchetto “Fit for 55” presentato il 14 luglio da seguito all’annunciato European Green Deal innalzando per il 2030 l’obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 al 55% in vista di quello, ancor più ambizioso, al 2050: la neutralità climatica.

Qual è il ruolo della Germania nel fissare questi obiettivi? Proponiamo un estratto dall’articolo “Fare i conti senza l’oste” pubblicato su ENERGIA 4.20 in cui GB Zorzoli si interroga sulla fattibilità del piano energia-clima della Commissione nel contesto italiano.

“Lo scorso 3 agosto [2020, ndr] la Commissione europea ha avviato le consultazioni sulle riforme delle Direttive per l’efficienza energetica (EED) e per le fonti rinnovabili (RED II), intendendo promuoverle con l’obiettivo di ridurre del 55% le emissioni di CO2 nel 2030. Due decisioni che non appartengono certamente all’ordinaria amministrazione.

Cambiare due importanti Direttive prima ancora che siano divenute operative

La data per il recepimento della EED è scaduta lo scorso 25 giugno, mentre per la RED II c’è tempo fino al 30 giugno dell’anno prossimo. Tenuto conto anche degli adempimenti che devono essere introdotti dagli Stati membri dopo il loro recepimento, si sta quindi avviando una consultazione per cambiare due importanti Direttive prima che diventino operative.

Oltre tutto, secondo la Commissione, queste riforme vanno definite entro giugno 2021, in modo da disporre tempestivamente di misure in grado di garantire i livelli di efficienza energetica e di penetrazione delle rinnovabili necessari per realizzare gli obiettivi del Green Deal europeo.

Siamo quindi in presenza di iniziative senza precedenti, anche per la tempistica prevista.

Sempre per perseguire con successo i nuovi obiettivi al 2030, lo scorso 29 ottobre la Commissione ha altresì avviato le consultazioni per la revisione della Direttiva ETS e dei regolamenti su settori non-ETS, sulle emissioni di auto e furgoni, sul cambiamento di destinazione d’uso dei suoli (LULUCF).

Decisioni tutte assunte prima di sapere se il Consiglio europeo approverà l’innalzamento al 55% dell’obiettivo di riduzione delle emissioni.

È vero che lo scorso 8 ottobre il Parlamento europeo in plenaria ha approvato una riduzione del 60%, ponendo i presupposti per un compromesso finale su 55%, ma non basta a giustificare l’irrituale comportamento nei confronti del Consiglio.

Un comportamento irrituale

La ragione di queste singolarità va a mio avviso individuata nella versione definitiva del PNIEC tedesco, presentata il 10 giugno scorso con notevole ritardo rispetto alla scadenza prevista – più di cinque mesi (2) – dove, invece della riduzione del 40% dei gas serra entro il 2030, indicata come obiettivo di riferimento per la stesura dei Piani degli Stati membri, si è assunto proprio il 55%, in modo da rendere la traiettoria coerente con la neutralità carbonica nel 2050.

Poiché tutti gli Stati membri sono uguali, ma la Germania è più uguale degli altri, fui facile profeta scrivendo che «sono entrambe scelte indicative di quale sarà quasi certamente la decisione finale dell’UE» (Zorzoli 2020b). Infatti, tre mesi dopo (17 settembre) la Commissione ha presentato il suo Piano per ridurre le emissioni di gas a effetto serra almeno del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, perché «a balanced, realistic and prudent pathway to climate neutrality by 2050 requires an emissions reduction target of 55% by 2030» (European Commission 2020a, p. 1).

Tutti gli Stati membri sono uguali, ma la Germania è più uguale degli altri

Se qualcuno nutrisse ancora dei dubbi, per realizzare questo obiettivo la Commissione ritiene necessario che la quota di produzione elettrica rinnovabile raddoppi l’attuale livello (32%) arrivando come minimo a circa il 65% e che le rinnovabili coprano circa il 24% dei consumi nei trasporti, contro il 14% assunto come riferimento per la stesura dei Piani degli Stati membri (ivi, p. 8). Ebbene, il PNIEC tedesco prevede proprio il 65% per le rinnovabili elettriche e una percentuale lievemente superiore per il trasporto (27%).

Qualcuno è ancora scettico?

Lo scorso 9 giugno il governo tedesco presenta il Piano per l’idrogeno, che prevede 9 miliardi di investimenti per produrre idrogeno esclusivamente verde, una capacità di elettrolizzazione pari a 5.000 MW entro il 2030 e di 10.000 MW entro il 2040, obiettivi che ne imporranno l’impiego in diversi settori produttivi (Bundesregierung 2020). Un mese dopo, il 7 luglio, la Commissione europea propone la propria strategia per l’idrogeno, che prevede 46.000 MW di elettrolizzatori entro il 2030 (European Commission 2020b).

Nulla di nuovo sotto il sole. A partire dal 1990 (3), quando varò la prima legge per incentivare la crescita delle rinnovabili elettriche, la Germania ha influenzato le decisioni europee in merito agli obiettivi energetico-climatici da raggiungere e alle misure ad hoc.

Tassare le emissioni di CO2, partendo da un valore relativamente basso, in modo da non mettere a repentaglio il sistema economico-sociale, ma programmando una sua graduale crescita a scadenze prefissate, in modo da dare alle imprese un intervallo di tempo sufficiente per effettuare le necessarie riconversioni produttive(4), sarebbe stata la scelta più coerente con l’obiettivo (la decarbonizzazione) e più razionale (agendo a 360 gradi, nei singoli settori si sarebbero raggiunti gli stessi obiettivi con cambiamenti più diluiti nel tempo).

Germania: un rapporto incestuoso tra governo e industria

La decisione di limitarsi a fissare gli obiettivi per le rinnovabili e le modalità per incentivarle, affidando la loro quantificazione ai decisori politici, aveva però il vantaggio di modificare in tempi prestabiliti gli equilibri industriali soltanto nella produzione di energia. Inoltre, per non mettere a repentaglio la competitività delle imprese tedesche, invece di ripartire equamente il costo degli incentivi a favore delle rinnovabili tra i consumatori di energia elettrica, lo si è caricato principalmente sulle bollette dei privati cittadini, il cui onere per i meno abbienti assorbe più del 10% del reddito.

Il rapporto incestuoso esistente in Germania tra governo e industria (5) ha trovato conferma il 16 ottobre 2013, quando l’opposizione tedesca impose al Consiglio dei Ministri Europei dell’Ambiente il differimento di norme più stringenti per le emissioni delle automobili. Salvo, dopo il Dieselgate e il conseguente cambio di strategia di Volkswagen a favore dell’auto elettrica, con un subitaneo giro di valzer, chiedere e ottenere un inasprimento crescente dei limiti alle emissioni di CO2 nel periodo 2021- 2030.

Per quanto meno gradevole delle narrazioni di molti politici italiani, questa è la Realpolitik che determina la strategia europea di decarbonizzazione.

D’altronde, allargando la visuale al di fuori del nostro continente, va riconosciuto che, malgrado i limiti e le controindicazioni, quella che ci viene proposta per il 2030 è quanto di meglio passi oggi il convento, anche se la palese egemonia tedesca sulle scelte può portare acqua al mulino dell’antieuropeismo.

In conclusione, dati i precedenti, è pertanto molto difficile che le decisioni finali si discostino significativamente dai nuovi obiettivi al 2030 proposti da Bruxelles. Da loro occorre dunque partire per misurarne l’attuabilità nel contesto italiano”.


Il post presenta l’articolo di GB Zorzoli Fare i conti senza l’oste (pp. 46-51) pubblicato su ENERGIA 4.20.

GB Zorzoli è membro del Comitato Scientifico di ENERGIA.


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Foto: PublicDomainPictures

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