Il 90% di tutti i prodotti viene spostato esattamente come 500 anni fa: via nave. I trasporti marittimi sono sorprendentemente efficienti in termini di emissioni rispetto ad altre modalità. Eppure, la vertiginosa crescita dei volumi veicolati (+93% dal 2000 al 2018) ha fatto sì che siano responsabili del 3,5-4% delle emissioni globali. Per favorire un’ulteriore decarbonizzazione del settore senza intaccare la crescita economica che ne è connessa, l’International Maritime Organization si è data degli obiettivi ambiziosi di riduzione dell’intensità carbonica. Nuove norme e indicatori sono stati adottati per raggiungere tali obiettivi, guidati da un ferreo principio di neutralità tecnologica. Ne nascono nuove opportunità, anche per l’Italia.
“Dove sono, ora, gli auricolari Bluetooth che abbiamo ordinato online?” In un mondo che percepiamo come sempre più digitale e incorporeo, la risposta a questa domanda potrebbe lasciarci stupiti e riportarci a contatto con una tecnologia molto più antica e concreta: su una nave.
Più di centomila navi portacontainer, in questo momento, stanno solcando gli oceani del mondo con il loro carico di 10 miliardi di tonnellate di merce. Il 90% di tutti i prodotti che usiamo, dei cibi che mangiamo, dei vestiti che indossiamo e dei farmaci con i quali ci curiamo, viene spostato, come ci mostra la giornalista Rose George, esattamente come 500 anni fa.
Il settore dei trasporti marittimi è un gigante silenzioso ed efficiente, che cresce e lavora alacremente lontano dai riflettori. Pur avendo quintuplicato il suo volume dal 1970 ad oggi ed essendo responsabile del 3,5-4% delle emissioni globali di gas serra, non rientra tra le attività messe sotto la lente dell’Accordo di Parigi sul Clima del 2015.
Il 90% di tutti i prodotti che usiamo viene spostato esattamente come 500 anni fa: via nave
Per questo l’obiettivo dichiarato della 76° sessione del Comitato per la Protezione dell’Ambiente Marino (Marine Environmental Protection Committee – MEPC) dell’International Maritime Organization (IMO) tenutasi il mese scorso era di modificare l’Allegato VI della Convenzione per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi (nota anche come MARPOL 73/78), introducendovi misure tecnologiche e gestionali in grado di migliorare l’efficienza energetica della flotta mondiale.
Nelle sue osservazioni di apertura dei lavori, il segretario dell’IMO Kitack Lim non ha lasciato spazio a dubbi: “La posta in gioco è molto alta. (…) L’adozione di misure a breve termine in questa sessione è fondamentale per mantenere gli impegni assunti nella nostra strategia iniziale. (…) Un fallimento su queste tematiche non è un’opzione”.
L’IMO GHG Strategy mira ad abbattere le emissioni di CO2 del settore marittimo a un tasso compatibile con l’Accordo di Parigi: -40% entro il 2030 e -70% entro il 2050 rispetto ai livelli 2008
Si tratta dell’Initial IMO Greenhouse gases (GHG) Strategy che, collegata all’Obiettivo 13 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, si pone obiettivi tutt’altro che facili da traguardare: abbattere le emissioni di CO2 del settore marittimo a un tasso compatibile con l’Accordo di Parigi. In pratica, ridurre l’intensità carbonica (la quantità di CO2 emessa per miglia e per tonnellata di merce trasportata) del 40% entro il 2030 e del 70% entro il 2050, prendendo i livelli del 2008 come riferimento.
Cosa rende questi impegni così ambiziosi? E come mai focalizzarsi sul parametro delle emissioni intensive? La ragione è che il settore dei trasporti marittimi è al centro di un curioso paradosso: è sorprendentemente efficiente rispetto ad altre modalità.
Un settore stranamente efficiente
Per capirci, supponiamo di trasportare un container da 20 piedi (capacità 1.165,4 ft3, ovvero 33 m3), ogni chilometro ci “costa” in termini di emissioni:
- 108 gCO2 via nave
- 756 gCO2 via rotaia
- 1.728 gCO2 via strada
- 9.396 gCO2 via aria
Ma allora come mai il settore marittimo ha un problema di emissioni? La ragione risiede nei volumi in continua e vertiginosa crescita: +93% dal 2000 al 2018.
Si pensi che, se impilati, i container del solo colosso danese Maersk, “la Coca Cola dei trasporti marittimi” come definita da Rose George, raggiungerebbero un’altezza di 2.400 km: l’equivalente di 7.530 torri Eiffel, della distanza che separa Roma da Mosca o di quello che viene generalmente indicato come il limite estremo dell’atmosfera terrestre.
L’intento delle misure IMO è di ridurre le emissioni evitando il più possibile effetti negativi sugli scambi e sulla crescita economica trainata dal trasporto marittimo
Non è una cattiva notizia, anzi: ha contribuito a creare ricchezza, facendo salire il PIL mondiale del +65% nello stesso arco di tempo a fronte di un incremento nelle emissioni di CO2 di “solo” il 39%.
Tuttavia, nonostante questo “decoupling relativo” tra ricchezza ed emissioni legati al trasporto navale, l’aumento vertiginoso dei volumi comporta un aumento in valore assoluto delle emissioni. Ecco il motivo per cui l’IMO si è concentrata sulla carbon intensity: così da ridurre le emissioni collegate al trasporto marittimo evitando il più possibile effetti collaterali negativi sugli scambi e sulla crescita economica che tale settore promuove.
Per farlo, l’IMO ha adottato un approccio basato sulla neutralità tecnologica puntando sul contributo di più tecnologie e sulla competizione tra loro: dalle batterie al biodiesel, ai carburanti sintetici prodotti da fonti rinnovabili (come idrogeno e ammoniaca). Un aspetto sul quale i governi “terrestri” potrebbero imparare da quello “marino”.
Un approccio che punta sulla neutralità tecnologica, che i governi “terrestri” dovrebbero imitare
Nell’Unione Europea, per esempio, gli Stati Membri hanno spesso varato provvedimenti in contrasto con la neutralità tecnologica, pur essendo questo principio previsto dalle linee guida sugli aiuti di Stato in materia di energia. È il caso, tra gli altri, degli incentivi alle fonti rinnovabili (previsti sia nel cosiddetto 20-20-20 e poi nel Piano Clima-Energia) che vengono differenziati sulla base del tipo di tecnologia.
Una tendenza analoga si riscontra ancora nel PNRR, che assegna 2 miliardi per investimenti nella sola filiera dell’idrogeno “verde”: escludendo così risorse per altre varianti che hanno comunque un basso contenuto di carbonio e che potrebbero aiutare la transizione.
Ma vediamo le più importanti novità introdotte con MEPC 76, soffermandoci sui loro impatti per proprietari ed armatori, nella gestione delle loro flotte. Gli interventi puntano ad aumentare l’efficienza energetica delle navi e a ridurre l’impiego di Heavy Fuel Oil (HFO).
Le novità introdotte con MEPC 76: miglioramento dell’efficienza energetica delle navi e sulla riduzione dell’impiego di Heavy Fuel Oil
Energy Efficiency Existing Ship Index (EEXI). L’indice entrerà in vigore a partire dal 1° gennaio 2023 per alcune categorie di navi sopra le 400 tonnellate di stazza lorda e nell’ambito dell’Allegato VI MARPOL. L’obiettivo è applicare alle navi esistenti la logica di miglioramento delle prestazioni energetiche introdotta per le navi di nuova costruzione dal 2013 con l’Energy Efficiency Design Index (EEDI).
L’efficienza energetica è rappresentata dalle tonnellate di CO2 emesse per unità di volume di traffico:
e viene calcolato in funzione del consumo di carburante, oltre che delle caratteristiche tecniche della nave.
L’impatto dell’EEXI dipenderà dal tipo di mezzo. Ci si aspetta che circa il 70% delle navi post-EEDI siano già in compliance, ma la percentuale fluttua dal 60-70% per portarinfuse e navi cisterna al 30% per portacontainer.
Per migliorare (e cioè ridurre) il valore dell’indice, l’armatore è libero di percorrere diverse strade:
- Ottimizzare il sistema di generazione e propulsione,
- Adottare sistemi di propulsione innovativi (per es. la propulsione assistita dal vento)
- Installare dispositivi di risparmio o recupero energetico
- Limitare la potenza di propulsione erogata: principio simile a quello che possiamo applicare alla guida dell’auto, stando nel range di minor consumo tra i 50 e i 70 km/h.
Il Carbon Intensity Indicator (CII). Applicabile dal 1° gennaio 2023 alle navi sopra le 5.000 tonnellate di stazza lorda, questo secondo indice è concettualmente simile alla classe energetica per gli elettrodomestici. Alle navi sarà assegnato un rating basato sulla loro efficienza (lettere dalla A – rating migliore -alla E): questo permetterà agli Stati di bandiera, alle Autorità Portuali e agli altri stakeholder di incoraggiare o di incentivare le navi con CII uguale ad A o B, inviando così un forte segnale al mercato e al settore finanziario.
La metodologia di calcolo dev’essere ancora finalizzata nei dettagli, ad ogni modo l’idea alla base può essere riassunta nella formula:
Dunque, analogamente a quanto richiedono la Direttiva 2012/27/UE e il Regolamento 2017/1369/UE per gli elettrodomestici, si fa il rapporto tra consumo/emissioni e risultato utile. Aspetto con il quale siamo diventati tutti familiari, per esempio acquistando una lavatrice.
Il rating C costituirebbe la soglia tra una buona performance e una migliorabile. Una nave con rating D o E per tre anni consecutivi dovrà predisporre un piano di azioni correttive per ottenere la C.
Rafforzamento dello Ship Energy Efficiency Management Plan. Noto in breve come SEEMP, è un documento già richiesto dal 2013 per tutte le navi sopra le 400 tonnellate di stazza lorda, in accordo con la risoluzione MEPC.213(63). Come dice il nome, si tratta di un piano di gestione dell’efficienza energetica a livello nave che supporta il proprietario/armatore nel pianificare, implementare e monitorare tutte le iniziative tecniche e operative che riducano i consumi di carburante. Fino ad ora, tuttavia, mancavano requisiti espliciti e cogenti sui suoi contenuti e sulla sua applicazione.
Dal 1° gennaio 2023, sulle stesse navi cui sarà applicato il Carbon Intensity Indicator, il SEEMP dovrà includere informazioni specifiche: in particolare, le prestazioni energetiche della nave in termini del CII, i target futuri e il piano di implementazione delle misure previste per raggiungerli. Tale piano sarà soggetto all’approvazione di organismi autorizzati (le società di classificazione navale, facenti le veci dello Stato di bandiera), oltre che a verifiche ed audit periodici.
Limitazioni sull’impiego di Heavy Fuel Oil (HFO). Il MEPC 76 ha approvato anche il divieto di uso e di trasporto di olio combustibile pesante (Heavy Fuel Oil, HFO) nell’Artico dal 2024, una misura che fa il paio con quella analoga introdotta per l’Antartico già nel 2011.
L’opportunità per l’Italia: diventare hub di rifornimento nel Mediterraneo per le rotte decarbonizzate
Molto si è discusso circa la creazione di un’imposta sull’uso di tali carburanti, pari a 100 doll./ton CO2. Al momento, gli Stati Membri dell’IMO non hanno raggiunto un accordo a causa di divergenze sull’importo, sul diverso impatto che essa avrebbe sulle flotte a seconda della bandiera utilizzata e su come verrebbero distribuiti i fondi raccolti.La discussione continuerà durante la 77° sessione, prevista per novembre 2021.
La strada per fare navigare gli auricolari Bluetooth attraverso acque più verdi (e azzurre) è ancora lunga e impegnativa, ma piena di opportunità per l’Italia. Come hub di rifornimento nel Mediterraneo per le rotte decarbonizzate, per esempio.
I carburanti ad emissioni zero hanno infatti minore densità energetica rispetto a quelli fossili, le navi dovranno quindi fare scali più frequenti per rifornirsi. Grazie alla sua strategica posizione geografica la Penisola potrebbe avvantaggiarsene sfruttando il suo alto potenziale solare ed eolico per generare idrogeno verde o ammoniaca.
Emiliano Valerio Morgia si occupa di gestione dell’energia come ingegnere ambientale presso Saipem S.p.A.
Su neutralità tecnologica leggi anche:
Le infrastrutture per la mobilità sostenibile hanno finalmente visto la luce?, di Stefano Verde, 20 Luglio 2021
Per un Comitato Tecnico Scientifico sulla Transizione Ecologica, di Alberto Clò, Romano Prodi, 4 Maggio 2021
e…che vinca il migliore? l’idrogeno verde e le contraddizioni tra principi, di Stefano Verde, 27 Aprile 2021
La chiave per il rinnovo del parco circolante, di Redazione, 17 Marzo 2021
Il mercato dell’energia non esiste (quasi) più, di Chicco Testa, 9 Novembre 2020
Nucleare tra clima e geopolitica/1, di Alberto Clò, 21 Ottobre 2020
Foto: Maasmond Maritiem via Wikipedia
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