La Cina sta costruendo 43 nuove centrali a carbone e 18 nuovi altiforni, in linea con quanto accaduto lo scorso anno quando il paese ha aggiunto nuova capacità a carbone per 38 GW: 3 volte l’intera capacità addizionale a livello globale. Stimolare la crescita economica per Pechino sembra essere prioritario rispetto alla difesa dell’ambiente, in barba al suo ultimo piano quinquennale e agli annunci governativi sul raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2060. Ma senza un impegno massiccio della Cina è difficile immaginare il conseguimento degli obiettivi globali di riduzione delle emissioni. E così la lotta al cambiamento climatico ne esce sempre più inconsistente mentre gli sforzi europei perdono di efficacia. Solo un impegno globale può accelerare la riduzione delle emissioni e la transizione energetica.
Recentemente, è uscita la notizia che la Cina sta costruendo 43 nuove centrali a carbone e 18 nuovi altiforni, che corrisponderebbero ad un aumento delle attuali emissioni dell’1,5% che consoliderebbero il primato della Cina nelle emissioni globali. Pari nel 2020 a circa il 31%
Decisione in continuità con quanto accaduto lo scorso anno, quando la Cina ha avviato la pianificazione di nuove centrali per un totale di 73 GW, una capacità 5 volte maggiore di quella pianificata a livello mondiale.
La Cina ha avviato la pianificazione di nuove centrali per un totale di 73 GW, una capacità 5 volte maggiore di quella pianificata a livello mondiale
Non solo, ma il paese ha anche aggiunto nel 2020 nuova capacità per 38 GW (30 GW incluso il decommissioning) – 3 volte maggiore dell’intera capacità addizionale a livello globale – e ha approvato la costruzione di nuovi impianti a carbone per un totale di 37 GW, ben superiore agli 11 GW approvati nel 2019.
Stimolare la crescita economica e infrastrutturale sembra quindi essere prioritario per Pechino rispetto alla difesa dell’ambiente, in contraddizione con quanto stabilito nel suo ultimo piano quinquennale e agli annunci governativi sul raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2060.
Non è solo la Cina a discostarsi nella pratica dagli annunci di politiche carbon-free. Molti paesi hanno sposato retoriche ambiziose – più di 100 Stati hanno aderito alla Climate Ambition Alliance che mira a raggiungere il net zero target entro il 2050 – sulla scia dell’impegno verso la neutralità carbonica dell’Unione Europea.
Pochi però hanno spiegato come avrebbero raggiunto l’obiettivo. Secondo la lista di Climate Home, sono solo 39 i paesi che ad oggi hanno prodotto documenti ufficiali che attestino un impegno concreto dei governi. E anche tra questi paesi, la discrepanza tra annunci e azione è ancora assai ampia.
Solo 39 i paesi che ad oggi hanno prodotto documenti ufficiali che attestino un impegno concreto dei governi
La Cina ne è un esempio concreto: a settembre 2020 ha annunciato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite l’impegno a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060, e la sua retorica è tutta orientata verso l’attenzione alla lotta al cambiamento climatico – di recente ha anche lanciato il proprio sistema di scambio delle quote di emissioni.
I fatti però vanno in altra direzione. I numeri ce ne danno prova. Il carbone nella generazione elettrica è ancora al 63%, seppur in riduzione nell’ultimo decennio, e ha persino registrato un aumento dell’1,4% nel 2020, anno in cui questa fonte ha subito un calo quasi ovunque.
La difficoltà a cambiare rotta è confermata anche dai dati sulle emissioni. Dopo la battuta d’arresto dell’economia globale nel 2020, che ha portato con sé un significativo quanto momentaneo abbattimento delle emissioni (-6%), il 2021 si caratterizza per una ripresa economica che sta trainando al rialzo anche le emissioni di CO2. L’AIE, infatti, prevede un aumento del 5% al livello globale per riavvicinarsi ai livelli pre-pandemici.
Di fatto, nella lotta al cambiamento climatico siamo ancora molto indietro. Lo dice anche l’IPCC che rileva come, a meno di riduzioni immediate, rapide e su larga scala delle emissioni di gas serra, l’obiettivo di limitare il riscaldamento a 1,5°C o a 2°C sarà irraggiungibile.
La Cina è il 1° emettitore di CO2 al mondo e copre quasi 1/3 dell’impronta carbonica globale
Ricordiamo che la Cina è il primo emettitore di CO2 al mondo e copre quasi un terzo dell’impronta carbonica globale; il suo ruolo è quindi decisamente centrale per ridurre il trend emissivo globale nei prossimi anni.
Se infatti in materia di clima l’Europa detta la linea, è la Cina il vero ago della bilancia. La domanda quindi sorge spontanea, come faremo a modificare la traiettoria globale delle emissioni se il primo a potervi impattare non cambia rotta?
Nel mare magnum della lotta al cambiamento climatico, l’unica cosa certa è che senza la Cina non andiamo da nessuna parte. Intanto noi europei, a forza di innalzare l’asticella dei target climatici, non ci siamo accorti di essere soli in questa battaglia.
Ma da soli si può fare ben poco e l’Europa sembra sempre di più trovarsi all’interno di un gioco del prigioniero in cui la scelta di cooperare quando la controparte decide di non farlo porta ad una doppia sconfitta.
Chiara Proietti Silvestri è ricercatrice presso il RIE-Ricerche Industriali ed Energetiche di Bologna
Sul carbone leggi anche:
Berlino e carbone: dal ‘chi inquina paga’ al ‘chi inquina incassa’, di Alberto Clò, 12 febbraio 2020
Il PNIEC e il phase-out degli impianti a carbone, di Redazione, 2 settembre 2019
Il carbone tra intenzioni e ipocrisie, di Alberto Clò, 28 gennaio 2019
Su Cina leggi anche:
Terre rare: chi osa sfidare la Cina?, di Giovanni Brussato, 25 Giugno 2021
Full Metal China: la rincorsa alla leadership climatica, di Alberto Clò, 13 Aprile 2021
La “Dual Circulation Strategy” cinese: un possibile brutto colpo per l’agenda climatica globale, di Michele Manfroni, 4 Febbraio 2021
Foto: Unsplash
Per aggiungere un commento all'articolo è necessaria la registrazione al sito.
0 Commenti
Nessun commento presente.
Login