27 Settembre 2021

Nucleare e industria: i segnali dalla Francia all’Europa

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Se è vero, come ha scritto GB Zorzoli su questo Blog, che vi sono “strane coincidenze” tra la politica climatica europea e la realpolitik industriale tedesca, è vero anche, come ha scritto invece Enzo Di Giulio, che le prossime elezioni in Francia rischiano di essere una barriera sulla strada del Fit for 55. Portando alla nostra attenzione dichiarazioni emerse dal convegno annuale MEDEF, la principale associazione delle imprese d’oltralpe, Orlando Ferrario ci conferma il disallineamento che potrebbe concretizzarsi tra la posizione della Francia e dell’Unione Europea in materia energetico-climatica (sia il Ministro dell’economia Bruno Le Maire che il Commissario europeo al mercato Thierry Breton hanno difeso il comparto nucleare francese), ma anche la debolezza industriale che rischia di accentuarsi con il Next Generation EU e il Green Deal europeo.

Nel corso del recente convegno annuale del Mouvement des Entreprises de France (MEDEF), la principale associazione delle imprese d’oltralpe, sia il Ministro dell’economia Bruno Le Maire che il Commissario europeo al mercato Thierry Breton hanno espresso posizioni in un certo senso sorprendenti e non perfettamente allineate con l’orientamento tradizionale della Commissione europea.

Innanzitutto, la constatazione che le politiche industriali degli ultimi 30 anni in Francia (ma lo stesso si può dire per la maggior parte delle grandi nazioni UE) hanno di fatto demolito intere filiere industriali di eccellenza.

Semiconduttori, una leadeship perduta

Breton ha citato l’industria dei semiconduttori, dove 30 anni fa l’Europa aveva il 40% del mercato mondiale e che ora raggiunge a malapena il 10% (analogamente agli USA). Di fatto, dipende dai paesi asiatici (Taiwan e Corea del Sud, ma anche Cina), con forti impatti sulla produzione ad esempio automobilistica in caso di tensione sulle forniture.

Fonte: Statista

Lo stesso discorso vale per l’industria farmaceutica (la drammatica situazione all’inizio della pandemia Covid-19 è nel ricordo di tutti, così come la dipendenza dagli USA per i vaccini a m-RNA).

Un mix infernale di avidità, ingenuità, ideologia e rigidezza normativa a livello europeo ha avuto come conseguenza la delocalizzazione e distruzione di interi comparti industriali (oltrechè di competenze preziose e occupazione) e la perdita dell’autonomia strategica a livello industriale.

Indubbiamente la Cina è stata la grande beneficiaria di questo trasferimento di capitale finanziario e intellettuale, orchestrando con maestria il passaggio di consegne e perfezionando il suo modello di capitalismo centralizzato.

 Si volta dunque pagina con l’immane e inedito sforzo collettivo europeo Next Generation EU (di cui il 37% dedicato agli obiettivi del Green Deal) e le declinazioni nazionali (PNRR in Francia e Italia) ? Solo a determinate condizioni secondo i due esponenti.

“non ci sarà Green Deal senza il nucleare” – Thierry Breton, Commissario europeo al mercato

Per quanto riguarda la transizione energetica, sia Le Maire che Breton hanno ovviamente difeso il comparto nucleare francese, che fornisce circa il 70% della produzione francese di elettricità. Ma in particolare Breton, pur essendo commissario UE in carica, è andato molto più in là, affermando testualmente che “non ci sarà Green Deal senza il nucleare”.

L’idea è di utilizzare l’energia nucleare come energia decarbonizzata di transizione, e come ponte per lo sviluppo dell’idrogeno da elettrolisi per permettere all’UE di essere tra i leader in questo comparto energetico.

In particolare, Breton propone che le centrali più vecchie, per cui è prevista a breve la chiusura (oltre a Fessenheim che ha spento i reattori nel 2020) potrebbero essere tenute in funzione ancora per alcuni anni (se le condizioni di sicurezza sono adeguate) in modo da produrre idrogeno che verrebbe stoccato per i bisogni futuri.

Francia: smantellare o non smantellare?

Siamo quindi lontani dalle affermazioni elettorali di Macron sullo smantellamento di numerose centrali nucleari e la riduzione dal 70% al 50% della parte del nucleare nella produzione di elettricità entro il 2025. Già nel 2018 la data era stata spostata al 2035, e probabilmente vi saranno ulteriori novità.

Fonte: AFP

L’ultimo rapporto Ember – commentato con agghiacciante realismo da Enzo di Giulio in questo Blog – annuncia una (parzialmente) buona ed una (veramente) pessima notizia:  per il periodo 1° semestre 2019 (pre – Covid) – 1° semestre 2021 vi è stato sì un’aumento del 5% della domanda di elettricità (segno di forte ripresa economica e progresso dell’elettrificazione dei consumi energetici), ma anche un aumento inaspettato del 5% delle emissioni di CO2 (adirittura +12% rispetto al 1° semestre 2020, quello dei lock-down). Rimane però il fatto che l’aumento della domanda di elettricità nel periodo (547 TWh) viene essenzialmente dalla Cina (492 TWh) ovvero il 90%!

Building back badly – l’ultimo agghiacciante report Ember sullo stato dell’elettricità globale

Tale aumento della domanda cinese è stato coperto dal solare e eolico per il 29%, ma soprattutto dal carbone per il 68%. Questo ha comportato per la Cina un aumento delle emissioni di CO2 del 14% nel periodo, di gran lunga la principale causa dell’aumento mondiale.

La realtà brutale di questi dati sembra dare ragione a Le Maire e Breton, e pone l’UE di fronte alle vere problematiche dell’efficacia del piani di rilancio Next Generation e all’effettivo costo/beneficio degli immani investimenti necessari per la transizione energetica.

Visto lo spropositato rapporto di forze con l’industria cinese, è possibile un vero rilancio dell’industria europea senza la volontà, il coraggio e la capacità negoziale necessarie a ricostruire e sviluppare almeno in parte l’autonomia strategica di comparti industriali fondamentali? O rischiamo di investire gli ultimi gioeilli del favoloso tesoro accumulato dall’Europa nei periodi fasti per finanziare l’ulteriore sviluppo della tecnologia e industria cinese?

Siamo sicuri che gli enormi investimenti richiesti dal raggiungimento degli obiettivi di emissione di CO2 non debbano essere condizionati da altrettanto stringenti impegni per la riduzione delle emissioni da parte del gigante asiatico (e di altri paesi in forte sviluppo) con meccanismi di compensazione in caso di mancato rispetto degli accordi?

Se l’industria si sposta..

Per ora vediamo soprattutto un maggiore ricorso alla produzione di elettricità con il carbone, che vanifica abbondantemente gli sforzi di contenimento delle emissioni da parte dell’Europa (il solo aumento dell’utilizzo del carbone in Cina nel periodo sopracitato, è superiore all’intera produzione di carbone europea).

Come sottolineato da Alberto Clô su questo Blog, la Cina domina la produzione mondiale di gran parte delle tecnologie “pulite”, e gli orientamenti della commissione sembrano privilegiare i comparti dove la Cina è predominante.

Senza una lucida analisi dell’effetivo ritorno sugli investimenti previsti dal “Green Deal”, il rischio è quello di finanziare “in fine” lo sviluppo della tecnologia e dell’industria cinese. In questo contesto è comprensibile la preoccupazione della Francia di abbandonare l’energia nucleare, uno dei pochi settori dove dispone di leadership tecnologica. 

Viene ugualmente da chiedersi perchè ci sia tuttora una certa reticenza ad approfondire e dedicare maggiori risorse alle tecnologie del Carbon Capture, Storage & Utilisation (CCSU) da parte dell’Unione Europea, che diverge in questo dall’impostazione dell’Amministrazione USA.

Perché trascurare la cattura e stoccaggio della CO2? Francia e Italia hanno una grande tradizione ed esperienza nelle tecnologie di processo dei gas e fluidi

Si comprende la diffidenza di coloro che la considerano una maniera di perpetrare l’utilizzo dei combustibili fossili promossa soprattutto dal settore Oil& Gas, ma esistono solidi argomenti a livello scientifico sul ruolo fondamentale di questa tecnologia per raggiungere gli obiettivi di net-zero: lo scenario “Sustainable Development” della IEA prevede un contributo CCSU del 15%  nell’azzeramento delle emissioni nel 2070.

Fonte: IEA

La CCSU può inoltre facilitare la produzione di idrogeno low-carbon (idrogeno blu) in tempi brevi, permettendo di accellerare l’auspicato sviluppo di questa fonte nel trasporto (soprattutto mezzi pesanti e marittimo), industria ed edilizia.

Fonte: IEA

In Europa la Francia (insieme all’Italia) ha una grande tradizione ed esperienza nelle tecnologie di processo dei gas e fluidi (Oil & Gas, petrolchimica, chimica e produzione di gas O2, N, CO2, H2 ecc.), con società di engineering e produzione importanti e altamente competitive a livello mondiale.

Questo know-how, se adeguatamente finanziato e supportato sarebbe in grado di sviluppare filiere di eccelenza, con ottimi risultati sia per la transizione energetica che per lo sviluppo tecnologico ed industriale in Europa.

Pur rimanendo centrale e saldamente ancorata all’Europa (Le Maire e Breton nei loro interventi hanno ciascuno evidenziato gli indiscutibili benefici che comporta l’appartenenza all’Unione Europea), il segnale dato dalla Francia attraverso i due esponenti è importante: lo sforzo eccezionale che l’Europa fornirà nei prossimi anni dovrà permettere all’Europa di recuperare un’autonomia strategica in campo tecnologico ed industriale, e raggiungere gli obiettivi di lotta al cambiamento climatico con realismo e capacità negoziale, evitando di seguire un orientamento ideologico della transizione energetica che alla fine favorisce tutti fuorchè gli stessi membri dell’UE.

Unione avvisata mezza salvata ?


Orlando Ferrario è ingegnere chimico, consulente in strategia aziendale con una lunga esperienza nel settore Oil&Gas


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Foto: Unsplash

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