L’approvazione del PNRR da parte delle istituzioni europee è più un atto di fiducia nelle capacità gestionali di Draghi che un apprezzamento del Piano. Malgrado i miglioramenti apportati, i singoli progetti inclusi non sono sempre inquadrati in una strategia coerente, col rischio di compromettere le potenziali sinergie. Oltre a passare in rassegna gli ostacoli che si frappongono alle riforme richieste, l’articolo di GB Zorzoli pubblicato su ENERGIA 3.21 analizza alcuni casi esemplari in cui, senza correzioni in corso d’opera, non verrebbero sfruttate le possibili sinergie o si otterrebbero risultati tra loro contraddittori. Al Piano sembra mancare quella visione di lungo termine necessaria per l’implementazione di politiche industriali innovative e per riconvertire i più colpiti dalla transizione energetica.
“L’approvazione in UE del Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR), malgrado il palese divario tra i suoi contenuti e le linee guida per la compilazione, ha un’unica credibile chiave di lettura: il nostro Paese era «too big to fail» per effetto della crisi economica provocata dalla pandemia.”
Con questa considerazione GB Zorzoli inizia il suo articolo, pubblicato su ENERGIA 3.21, che punta ad analizzare l’ultima versione del PNRR inviata dall’attuale governo per valutarne la capacità di impatto sulla transizione energetica nel nostro paese.
Secondo Zorzoli, “l’approvazione del PNRR italiano è stata anche un’apertura di credito a Draghi, considerato persona dotata dell’autorevolezza e dell’esperienza necessarie per riuscire a realizzare le riforme richieste”, sebbene nel poco tempo disponibile non si poteva porre rimedio all’impostazione complessiva delle precedenti versioni.
In UE, Draghi convince più del PNRR
Gli ostacoli all’implementazione delle riforme richieste dal Piano sono molteplici e passano anche dai veti politici incrociati e dalla ritrosia al cambiamento di importanti fette dell’apparato amministrativo (par. 1 – Le riforme).
Un altro punto debole del PNRR è l’assenza di riferimenti essenziali per la definizione dei suoi obiettivi (par. 2 – Mancano riferimenti essenziali); preoccupa in particolare la “coerenza tra gli obiettivi indicati nel Piano e quelli, ancora non definiti, per la decarbonizzazione, la filiera dell’idrogeno e l’economia circolare”.
In particolare, l’articolo approfondisce alcune aree di intervento che si ritiene non siano state sufficientemente sviluppate. L’economia circolare (par. 3 – Un singolare concetto di economia circolare), ad esempio, ètra le riforme da attuare entro giugno 2022 ma su di essa non sono state allocate ancora le risorse monetarie necessarie se non limitatamente alla gestione dei rifiuti.
Sul caso del biometano (par. 4 – Quali utilizzi per il biometano?), invece, pesa la mancata coerenza tra gli obiettivi riconosciuti dal Piano e l’assenza di progetti ad hoc per la loro implementazione.
Il rischio di un utilizzo non ottimale dei fondi è alto, specie nel biometano
Riguardo questo ambito, Zorzoli evidenzia un forte rischio di un utilizzo non ottimale dei fondi che, invece di concentrarsi sul settore trasporti, vanno a suddividersi anche nel terziario e residenziale, in barba agli obiettivi del PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2019) che prevedevano per la gran parte l’utilizzo delle pompe di calore per questi settori di utilizzo.
Altro aspetto che genera confusione è il mancato sfruttamento di sinergie tra progetti complementari, come nel caso di agricoltura (par. 6 Un’agricoltura sostenibile senza una gamba), dove pesala non valorizzazione dell’esperienza del biogas italiano, ma anche l’eccessiva cautela mostrata per l’integrazione di impianti rinnovabili in agricoltura.
A peggiorare le cose anche lo sviluppo, in taluni casi come l’idrogeno, di soluzioni contraddittorie rispetto all’obiettivo di raggiungere (par. 6 – La mano destra ignora cosa fa la sinistra).
Il mancato sfruttamento di sinergie tra progetti, come nel campo dell’agricoltura, o lo sviluppo di soluzioni contraddittorie, come per l’idrogeno, sono tra le principali debolezze del Piano
Tutto ciò evidenzia una assenza di visione di lungo termine che impedisce il rilancio della competitività dell’industria italiana, sia nelle aree più innovative che nei settori più colpiti dalla transizione e a cui non sono state allocate risorse per la decarbonizzazione (par. 7 – Quale politica industriale?).
Viene da chiedersi, quindi, come potrà questo Piano stimolare, al di là dei fondi pubblici, l’intervento di capitali privati che sono il vero fattore moltiplicativo per la crescita economica e occupazionale.
Il post presenta l’articolo di GB Zorzoli PNRR: un piano con scarse sinergie (pp. 48-55) pubblicato su ENERGIA 3.21
GB Zorzoli è Presidente AIEE e membro Comitato Scientifico «Energia»
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