14 Ottobre 2021

Piove sul bagnato (aumentano i prezzi di petrolio e carburanti)

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Alla stangata sulla bolletta elettrica e su quella del gas si va aggiungendo quella sui carburanti, con la benzina ormai prossima ai 2 euro per litro. Tre le ragioni all’origine dell’aumento dei prezzi petroliferi: crescita della domanda, tenuta dell’Opec Plus, investimenti che languono. Un’impennata dai 50 doll/bbl di inizio anno agli attuali 84 che ricorda a tutti l’essenzialità del petrolio, tranne – pare – all’Europa che si mostra nuovamente colpevole di inerzia. Nel medio termine potremmo vedere il vero impatto del crollo degli investimenti e se i prezzi saliranno a 150-200 dollari al barile, come qualcuno ipotizza, la nostra benzina potrebbe toccare i 4 euro al litro.

Piove sul bagnato. Alla stangata sulla nostra bolletta elettrica e su quella del gas si va aggiungendo infatti quella sui carburanti – con la benzina ormai prossima ai 2 euro per litro – causato dalla crescita dei prezzi del petrolio di circa il 65% da inizio anno: passati dai 50 doll/bbl, a 70 a inizio giugno, fino agli attuali circa 84 doll/bbl. Livelli che non si conoscevano da tre anni.

Tre le ragioni che ne sono all’origine:

  1. la ripresa della domanda in parallelo a quella pur parziale dell’attività economica;
  2. il governo dell’offerta da parte dei paesi OPEC con Russia e alleati (OPEC Plus);
  3. il crollo degli investimenti.

La domanda è prevista salire nel quarto trimestre del 2021 a 99,4 milioni di barili al giorno (mil. bbl/g) poco al di sotto dei livelli pre-pandemia: quale saldo netto di una riduzione nei paesi OCSE più che compensata da un aumento in quelli non-OCSE, specie in Asia.

La Cina è disposta a comprare petrolio, gas e carbone a qualsiasi prezzo pur di risolvere la crisi energetica che l’attanaglia

La grave crisi energetica che sta attraversando la Cina ha spinto il governo a chiedere alle imprese di comprare carbone, metano, petrolio “a qualsiasi prezzo”, così alimentandone l’ascesa sui mercati internazionali.

Alla crescita della domanda ha corrisposto una minor crescita dell’offerta – da cui un crescente prelievo dalle scorte – per la conferma da parte dell’OPEC Plus del precedente accordo di immettere sul mercato ogni mese non più di 400.000 barili al giorno.

Da qui, la pressione al rialzo dei prezzi e il conseguente aumento dei profitti dei paesi produttori che alimenta la loro più che piena lealtà alle decisioni assunte dal Cartello.

La colpevole inerzia dell’Europa

Decisioni che non hanno suscitato preoccupazioni in un’Europa illusa che del petrolio e del metano si farà presto a meno, mentre ha molto irritato l’Amministrazione Biden preoccupata dell’impatto dei maggiori prezzi sulla propria economia e sulle elezioni mid-term del prossimo anno, nonostante le forti pressioni esercitate sull’Arabia Saudita e sugli Emirati Arabi perché aumentassero maggiormente l’offerta.

Le relazioni energetiche tra Stati Uniti e Medio Oriente si sono d’altra parte notevolmente raffreddate nel passaggio dalla presidenza di Donald Trump a quella di Joe Biden che pretenderebbe che fossero gli altri a cavargli le castagne dal fuoco, non volendo (almeno sinora) allentare le sanzioni contro l’Iran, che dispone di una notevole capacità estrattiva inutilizzata, e non potendo più far conto sull’immediata crescita dello shale oil all’aumentare dei prezzi, con una produzione petrolifera complessiva che resta 2 mil. bbl/g al di sotto del picco di 13 mil. bbl/g.

Per raffreddare i prezzi alla Casa Bianca non resterebbe che por mano al rilascio della Strategic Petroleum Reserve o, scelta politicamente rischiosa, di bloccare le esportazioni.

Non volendo allentare le sanzioni contro l’Iran, gli USA dovranno attingere alla Riserva Strategica o bloccare le esportazioni di shale oil

Resta il fatto che il mondo intero, Europa esclusa, ha dovuto prendere atto di 3 evidenze:

  1. che il petrolio resta essenziale per le diverse economie
  2. che il ruolo delle grandi compagnie resta imprescindibile, anche se la loro quota sulla produzione mondiale non va oltre il 10%
  3. che il futuro dipenderà massimamente dalle strategie di investimento delle National Oil Companies dei paesi produttori finalizzate agli interessi nazionali più che a quelli globali.

Le previsioni nel World Energy Outlook 2021 dell’Agenzia di Parigi, uscito in questi giorni, proiettano nello scenario Stated Policies – che sconta le politiche già annunciate e/o avviate – una domanda di petrolio in aumento al 2030 a 104 mil. bbl/g che poi declina solo lievemente al 2050; mentre in quello Announced Pledges – che sconta che gli impegni assunti si traducano in fatti – resterebbe pur sempre sui 97 mil. bbl/g al 2030 per poi calare a 77 mil. bbl/g nel 2050.

Livelli inferiori a quelli attuali, ma che richiederebbero comunque ingenti investimenti per soddisfarli.

Di ben diverso avviso è invece l’OPEC, che nel suo World Oil Outlook 2021 proietta ancora al 2045 una domanda di 108 mil. bbl/g.

Quale scenario si avvererà lo scopriremo solo vivendo, sapendo che in entrambi i casi il futuro si gioca sulle decisioni di oggi, considerati i lag temporali tra investimenti ed estrazione del greggio.

Il futuro si gioca sulle decisioni di oggi

Comunque sia, i necrologi sulla scomparsa del petrolio sono perlomeno prematuri (così titolava un mio post del 2019), mentre i cronici sotto-investimenti rischiano di compromettere un’adeguata futura offerta di petrolio così come di metano, come dimostra la crisi che stiamo attraversando.

È davvero imbarazzante assistere a invocazioni tardive perché le imprese riprendano a investire o vedere l’Europa implorare il presidente russo Vladimir Putin perché aumenti l’export di metano. Mentre assurdamente Bruxelles va decidendo se escludere o meno il metano dai crismi della tassonomia, così impendendone il futuro sviluppo.

Se nel breve termine, perdurando la ripresa della domanda, i prezzi del petrolio potranno mantenersi sui livelli raggiunti, diciamo 80-85 doll/bbl., ben altro è il discorso nel medio termine, quando cominceranno a manifestarsi gli effetti depressivi sull’offerta di petrolio del crollo degli investimenti, non ultima causa anche dell’esplosione dei prezzi del metano.

Le preoccupazioni maggiori riguardano il medio termine, quando inizieranno a manifestarsi appieno gli effetti depressivi del crollo degli investimenti

Un crollo dovuto, vale ricordare, alla pressione sulle compagnie occidentali di azionisti e investitori, che chiedono la riconversione verso settori green; alle loro gravi difficoltà finanziarie, specie dopo lo scoppio della pandemia; all’accresciuta opposizione dei governi e delle opinioni pubbliche.

L’aumento dei prezzi, pur se sensibile, non è valso a convincere le imprese a invertire la strategia di disimpegno nel loro core business, ovvero cedere asset per ridurre le emissioni.

Nei prossimi anni, la capacità inutilizzata e immediatamente disponibile di petrolio detenuta dai paesi OPEC – la cosiddetta spare capacity, attualmente pari a 6 mil. bbl/g (+ 1 mil. bbl/g dell’Iran) – dovrebbe consentire la copertura della domanda. Ma è destinata a dimezzarsi nel 2022, così che nella seconda metà del decennio la situazione è prevista farsi sempre più critica e preoccupante.

Se la domanda dovesse proseguire nella sua crescita, sarebbe inevitabile un impatto sui prezzi con livelli che alcune banche di affari proiettano a tre cifre, sino a 150-200 dollari al barile.

Detto altrimenti, verso i 4 euro al litro della nostra benzina.


Alberto Clô è direttore del trimestrale ENERGIA e del blog RivistaEnergia.it


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Foto: Unsplash


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