6 Ottobre 2021

Verso Glasgow: arrivano i primi (113) aggiornamenti dei NDC

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Con un anno di ritardo causato dalla pandemia arrivano i primi aggiornamenti degli impegni sottoscritti a Parigi nel 2015: i cosiddetti Nationally Determined Contribution (NDC). Sono 113 i paesi che hanno aggiornato i propri obiettivi. Guardando ai nuovi impegni finora noti, la situazione appare davvero preoccupante: le emissioni al 2030 cresceranno del 16% sul 2010. E mancano ancora all’appello 78 paesi, i cui target emergeranno prima della COP26 di Glasgow. Tra questi vi sono Cina e India, i cui impegni saranno cruciali nel determinare l’andamento della curva delle emissioni e quindi la possibilità o meno di centrare il risultato.

Il bicchiere è sempre lì, davanti a noi, indecifrabile come un enigma. Mezzo vuoto o mezzo pieno a seconda dell’angolo della visuale. Parigi accordo fake che non porta da nessuna parte, dicono gli scettici. Parigi pietra miliare del genere umano, accordo storico che celebra lo spirito di saggezza dei popoli.

In mezzo sta la UNFCCC, l’organo delle Nazioni Unite che sovrintende l’intero processo negoziale. Si barcamena tra le due posizioni. Vede i numeri fiacchi e le emissioni che non vanno giù, e dice che lo sforzo va raddoppiato.

Ma come un allenatore per il quale i propri giocatori sono un vincolo inderogabile – quelli ha e con quelli deve fare i punti – essa cerca di non demotivare gli Stati ed elogia ogni piccolo passo avanti.

Sullo sfondo di questa specie di teatro – “gli uomini e le donne, tutti, non sono che attori”, scriveva Shakespeare – sta la COP 26, la Conferenza delle Parti che si svolgerà a Glasgow dall’1 al 12 novembre. Conferenza notevole: non cardine, certo, ma comunque importante.

Dopo il rinvio causa pandemia, la COP26 discuterà l’aggiornamento degli impegni climatici di 191 paesi presi a Parigi nel 2015

L’Accordo di Parigi prevede, infatti, che ogni cinque anni i Paesi rivedano i propri obiettivi di contenimento delle emissioni. Sarebbe dovuto accadere lo scorso anno ma la pandemia ha implicato un rinvio al 2021.

Ed eccoci, ora ci siamo. Quel momento è quasi arrivato, come quasi arrivati sono i nuovi target degli Stati. Numeri disomogenei, certo, ma pur sempre numeri.

A sei anni dalla Conferenza di Parigi, purtroppo, non è ancora emersa una regola che obblighi gli Stati a comunicare i propri obiettivi secondo la medesima metrica.

Questo semplice ‘abc’ del linguaggio negoziale non esiste ancora e, pertanto, quando un paese comunica il proprio obiettivo (NDC, Nationally Determined Contribution) può farlo come vuole: in termini assoluti o relativi, con un anno base oppure un altro.

A 6 anni da Parigi non esiste ancora una regola che obblighi gli Stati a comunicare i propri obiettivi secondo la medesima metrica

Sta all’UNFCCC tirare le somme e convertire i diversi linguaggi del mondo in un’unica metrica. Ciò è accaduto proprio qualche giorno fa quando la UNFCCC ha pubblicato il report sui nuovi vincoli dei paesi.

Ecco i numeri chiave: 113 paesi, le cui emissioni rappresentano il 49% del totale, hanno aggiornato i propri obiettivi. Questi nuovi target, insieme a quelli ancora da aggiornare, implicano una crescita delle emissioni globali del 16% nel 2030 rispetto al 2010.

È vero che mancano ancora all’appello 78 dei 191 paesi che aderiscono all’Accordo (51% delle emissioni), ma di certo la news del +16% non è buona cosa: Parigi non ancora riesce a cambiare la pendenza della curva.

Guardando ai nuovi impegni finora noti, le emissioni al 2030 cresceranno del 16% sul 2010

Oggettivamente una brutta notizia per un accordo il cui fine principale è la riduzione delle emissioni.

D’altra parte, il lato positivo dei nuovi NDC sta nel fatto che essi implicano una riduzione del 12% nel 2030 rispetto al 2010.

Dunque, c’è uno sforzo positivo da parte dei Paesi, ed è per tale ragione che Patricia Espinosa, Executive Secretary of UN Climate Change, afferma “i paesi stanno facendo progressi verso gli obiettivi di temperatura dell’accordo di Parigi. Ciò significa che il meccanismo intrinseco istituito dall’Accordo di Parigi per consentire un graduale aumento dell’ambizione sta funzionando”.

Allo stesso tempo, Espinosa non può non notare la spada di Damocle delle emissioni in crescita, nonostante l’Accordo.

“L’aumento del 16% è un motivo di enorme preoccupazione” Patricia Espinosa, Executive Secretary of UN Climate Change

Per questo afferma: “L’aumento del 16% è un motivo di enorme preoccupazione. È in netto contrasto con le richieste della scienza per riduzioni delle emissioni rapide, sostenute e su larga scala per prevenire le conseguenze e le sofferenze climatiche più gravi, in particolare dei più vulnerabili, in tutto il mondo”.

Insomma, le emissioni dovrebbero andare giù, invece vanno su. Lo Stato dell’arte è mostrato nella tabella seguente:

Fonte: nostre elaborazioni su dati UNFCCC.

In breve, secondo l’IPCC se vogliamo rimanere sotto 2°C o, ancor meglio, entro 1,5°C le emissioni del 2030 dovrebbero essere del 25% più basse di quelle del 2010 o, meglio ancora, del 45%.

Alla luce di questa fotografia, scattata oggi, è inconfutabile che la situazione sia fuori controllo, ovvero che non siamo affatto sulla traiettoria giusta. Più dei numeri, questa situazione è visibile da questo grafico dell’UNFCCC.

C’è poco da commentare: siamo sulla traiettoria sbagliata. Ma è anche vero che manca l’aggiornamento degli altri paesi aderenti all’accordo le cui emissioni sono il 51% del totale.

Siamo sulla traiettoria sbagliata

Tra di essi vi sono player importanti quali la Cina e l’India. Dunque, occorre attendere la fotografia di novembre, quando la COP sarà cominciata. Allora si capirà se la curva si abbassa o meno, allontanandoci dall’attuale situazione per la quale il picco delle emissioni è previsto intorno al 2030, ovvero troppo tardi.

Come si può infatti vedere dal grafico, un picco nel 2030 implicherebbe, dopo quella data, tassi di abbattimento delle emissioni assolutamente straordinari se si vuole agganciare la curva dei 2°C o quella di un grado e mezzo.

Molto dipenderà dalla coerenza tra obiettivi di lungo periodo dichiarati e step intermedi.

Quando a Glasgow saranno noti gli NDC di paesi come Cina e India vedremo se una modifica alla curva delle emissioni è ancora possibile

Ad esempio, sappiamo già che la Cina, pur avendo un obiettivo di neutralità carbonica nel 2060, prevede di raggiungere il picco delle proprie emissioni “prima” del 2030.

Tutto dipenderà da cosa significa quel “prima”, perché è chiaro che nel caso significasse 2029 poco cambierebbe nel quadro globale.

Quanto all’India, terzo emettitore mondiale, non ha ancora espresso un obiettivo di neutralità climatica e dunque è improbabile che ci si possa aspettare tagli consistenti delle emissioni.

In sintesi, considerando quanto detto su Cina e India, e che il secondo e terzo emettitore mondiale – USA e UE – hanno già aggiornato i propri target e lo hanno fatto dichiarando tagli considerevoli entro il 2030, in linea con i propri obiettivi di neutralità climatica, è improbabile che i nuovi NDC possano piegare la curva verso il basso.

Tutto fa pensare, insomma, che si rimanga all’interno della logica del rimando: sì, la traiettoria giusta è definita, sappiamo che dobbiamo agganciarla, ma lo sforzo è ancora insufficiente.

D’altra parte, al di là delle parole di elogio del Segretario Esecutivo Espinosa ai paesi che hanno espresso i nuovi target, resta il triste dato che le emissioni implicite nei nuovi NDC al 2030 sono stimate più basse, rispetto a quanto espresso a Parigi, solo del 5,9%.

Se il ritmo è questo, nel 2035 i paesi dichiareranno tagli compatibili con i 2°C da fare entro il 2030 (!)

Se i restanti paesi aggiorneranno i propri obiettivi in misura analoga, si andrà verso un modello di miglioramento dei target intorno al 12% in un quinquennio. Di questo passo ci vorranno circa 15 anni per arrivare al -25% di emissioni compatibile con i 2°C, per non parlare del -45% coerente con il grado e mezzo.

Un passo del genere da una parte contraddice nettamente le oltre cento esternazioni degli Stati favorevoli alla neutralità climatica nel 2050, dall’altra non è accettabile e porta diritto al disastro. Ma questo esprimono oggi i numeri.

L’auspicio è che la Conferenza di Glasgow induca una riflessione profonda da parte dei paesi sull’inadeguatezza degli obiettivi correnti, portandoli ad assumere target più coraggiosi. Che poi tali riduzioni dichiarate vengano realizzate nei fatti è tutto da dimostrare. Ma questo è un altro tema, enorme.

Stando ai dati di oggi, dopo il 2030 saranno necessari tagli straordinari e ingenti, tali da abbassare di molto la pendenza della curva. È possibile?

Tornano alla mente le famose parole di Leibniz “natura non facit saltus” che, nella versione contemporanea, diverrebbero “oeconomia non facit saltus”, ovvero non è possibile riconvertire in pochi anni un sistema economico il cui DNA sono i fossili in un altro incentrato sulle rinnovabili.

Non sappiamo, ma simuliamo di sapere

Ma Sapiens, anche questa volta, gioca a fare Dio, muovendo e ricomponendo nelle sue analisi i pezzi di un puzzle che esiste, per ora, solo nell’iperuranio della sua mente.

La realtà è che nessuna rivoluzione industriale o transizione energetica è stata mai progettata a tavolino. Per parafrasare Schumpeter, la tempesta della distruzione creatrice accade e basta: non si pianifica. Sapiens tuttavia progetta e pianifica perché, nella situazione in cui si trova, non può fare altro. Egli non sa, ma finge di sapere.

Di qui le ipotesi sull’affermazione dell’auto elettrica in un paio di decenni, quelle sulla penetrazione dell’elettricità o dell’idrogeno verde nei consumi finali. Ci vorranno due, tre o cinque decadi? Nessuno lo sa, oggi, ma simuliamo di sapere.

La simulazione, d’altra parte, è opzione obbligata perché non c’è altra via per trovare la forza per fare una cosa che non abbiamo mai fatto.

Forse poi, alla fine, come accaduto per la natura, verrà fuori che l’economia può fare il salto e che l’inimmaginabile di oggi diverrà il reale di domani. Questa, oggi, numeri alla mano, è la sola speranza.


Enzo Di Giulio è membro del Comitato Scientifico di ENERGIA


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Foto: Unsplash

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