Non solo questioni di carattere tecnico, lo sviluppo di reti elettriche offshore presentano anche problematiche di carattere politico, economico e regolatorio. Diverse dimensioni caratterizzano il business di rete – investimenti, dispacciamento, mercato, regolazione: solo l’analisi di ogni dimensione e delle loro imprescindibili correlazioni consente di comprendere quanto sia complesso il quadro dei problemi da affrontare. L’estratto che proponiamo dall’articolo di Carlo Degli Esposti, Pierre Bornard e Graeme Steele (BSDE Associates) pubblicato su ENERGIA 2.21 si concentra sugli investimenti necessari allo sviluppo di reti elettriche offshore, che sono economicamente rilevanti, necessitano di lunghi tempi, richiedono una forte coesione politica nonché una regolazione ex novo per la remunerazione del capitale investito.
“È imperativo che le reti per l’energia garantiscano anche nel futuro la continuità del collegamento fra produzione e consumo massimizzando la consistenza (questa è la parola chiave) fra le quattro dimensioni che ne caratterizzano l’attività: il mantenimento e l’adeguamento delle infrastrutture tecnologiche, la gestione dei flussi di energia sulla rete, l’economicità del processo di controllo ed espansione del portafogli asset e, in ultima istanza, il rispetto delle regole di accesso e di mercato a livello continentale e nazionale. Solo tramite la consistenza di queste dimensioni, domanda e offerta potranno continuare a incrociarsi minimizzando il costo dell’infrastruttura di rete. Passeremo quindi in rassegna investimenti, dispacciamento, mercato e regolazione per comprendere quanti gap sia necessario colmare da qui al 2050”.
L’estratto che proponiamo dall’articolo di Carlo Degli Esposti, Pierre Bornard e Graeme Steele (BSDE Associates) Impatto dell’eolico offshore sulle reti elettriche pubblicato su ENERGIA 2.21 si concentra sugli investimenti necessario allo sviluppo di reti elettriche offshore (par. 2.1) che gli Autori definiscono “tutta un’altra storia”.
Una sicurezza energetica nazionale o continentale?
“Trascurando per un attimo la già considerevole produzione rinnovabile a terra e la ventosità più costante in mare, possiamo ragionevolmente immaginarci che un’elevata crescita della generazione eolica offshore sposterà il peso della sicurezza energetica dalle solide spalle delle centrali nucleari francesi e (sempre meno) tedesche a una miriade di turbine in mezzo al mare. Sarà ancora possibile parlare di sicurezza, adeguatezza e resilienza del sistema elettrico paese per paese?
La rete su terraferma deve essere in grado di incamerare l’energia prodotta in mare da tutti i punti di arrivo delle connessioni. Se ogni paese facesse da sé, questi dovrebbero essere distribuiti per ottimizzare il punto di immissione in rete (non necessariamente in prossimità della costa) e richiederebbero comunque ingenti investimenti sulla rete terrestre per adeguarla ai nuovi flussi, non solo nella zona di arrivo ma anche molto lontano da quest’ultima(3).
Gli investimenti necessari per rinforzare sufficientemente la rete potrebbero addirittura localizzarsi nel sistema elettrico di un paese terzo, il quale potrebbe rifiutarsi di appoggiare le scelte di politica energetica del vicino e opporsi ad investimenti sulla propria rete che non portino un vantaggio diretto ai propri consumatori. Ipotesi da non escludersi in quanto questo genere di ostruzione non sarebbe una novità nei rapporti tra i paesi europei, che inferirebbe un nuovo colpo allo spirito della tanto declamata Unione Energetica.
I tempi di pianificazione e realizzazione non vanno sottostimati
Esiste poi l’aspetto del tempo necessario alla pianificazione e allo sviluppo di un’infrastruttura così vasta e impattante. Una rete in corrente continua ad alta tensione nasce come un’infrastruttura sovranazionale, concepita e sviluppata in un arco temporale molto breve, senza un’evoluzione pregressa particolarmente significativa(4), e basata su una tecnologia non ancora completamente predisposta per creare e per gestire reti magliate.
L’ammontare degli investimenti complessivi al 2050 per la realizzazione di una rete sottomarina adeguata alla gestione dei 450 GW di produzione e dei necessari rinforzi a terra è nell’ordine di qualche decina di miliardi di euro: una cifra insostenibile per singoli paesi ma teoricamente programmabile e gestibile con l’aiuto del budget settennale della Commissione e degli aiuti specifici a livello comunitario.
Un forte impegno economico da parte della Commissione implica però la necessità di un coordinamento molto forte fra le diverse autorità nazionali coinvolte nelle procedure di pianificazione e approvazione degli investimenti. Questo, allo stato attuale, è ancora completamente inesistente, il che rende molto concreto il rischio di stallo già nelle fasi preliminari della pianificazione.
Un forte impegno economico e la necessità di remunerare il capitale
Per quanto riguarda la remunerazione del capitale investito in mare e nelle opere necessarie al rinforzo della rete terrestre, poi, non esistono elementi di riferimento attendibili, né dal punto di vista numerico né, soprattutto, dal punto di vista di chi sia la responsabilità per definirla. Quest’ultima potrebbe essere attribuita in ultima istanza ad ACER, facendo leva sugli accresciuti poteri di coordinamento transfrontaliero fra regolatori riconosciutegli dalla Direttiva 2019/942(5).
Al netto delle copiose risorse che la Commissione europea metterà a disposizione per la realizzazione di quest’opera, con cofinanziamenti apparentemente fino all’80% del valore del capitale investito, una più esplicita indicazione della remunerazione del costo del capitale potrebbe attrarre anche investitori privati, accelerando i temi di realizzazione.
Per mostrarne l’attrattività sarebbe altrettanto sensato rivedere i termini della formula del modello di Capital Asset Pricing(6) per assicurarsi che, oltre gli inevitabili supporti finanziari della Commissione o degli Stati terzi interessati, gli investimenti in una rete offshore riflettano una significativa creazione di valore per il processo di decarbonizzazione.
Questa ridefinizione si rende necessaria anche per un altro motivo, più formale ma non meno importante. Fino ad ora, i cavi sottomarini si sono distinti in due grandi categorie:
(1) gli interconnettori che collegano direttamente due reti terrestri senza soluzione di continuità;
(2) le connessioni degli impianti offshore a terra.
Regolare gli «asset ibridi»
Per ciascuna di queste categorie, i due regolatori coinvolti (nel primo caso) o quello di riferimento (nel secondo) fissano due remunerazioni diverse del cavo a seconda della sua appartenenza a una o all’altra categoria. Nel caso più elementare di una rete offshore (un impianto connesso contemporaneamente a due zone di mercato diverse), si ha a che fare con una struttura che può svolgere entrambe le funzioni: flusso da paese a paese ma anche invio dell’energia prodotta dall’impianto in mare in ciascuna delle due zone.
Da questa ibridazione delle funzioni di interconnessione fra sistemi elettrici e di connessione alla rete nasce l’appellativo di «asset ibrido», che però nessun quadro regolatorio ha ancora considerato come categoria di asset a sé stante.
Questi nuovi asset di natura ibrida non saranno certo la ciliegina sulla torta del progetto, a conclusione di un ipotetico processo sviluppato inizialmente da ogni nazione per conto proprio nella propria ZEE, ma appariranno fin da subito nello sviluppo di un’infrastruttura più ampia. Per questo motivo è altrettanto necessario che il processo di riconoscimento della categoria «asset ibridi» fra le varie categorie di infrastrutture di rete inizi al più presto e su scala regionale, per tenere in giusto conto i tempi richiesti alla complessa coordinazione fra i ministeri, i regolatori e le società di trasporto”.
L’articolo, che in precedenza aveva presentato le problematiche di carattere tecnico, prosegue analizzando gli aspetti legati alla operazioni e al dispacciamento (“è sufficiente un elevato coordinamento fra gestori?”), al mercato e all’accoppiamento di settori energetici (“la chiave per il bilanciamento”), alla regolazione e legislazione per chiudere interrogarsi sulla fattibilità e le criticità legate allo sviluppo di reti offshore nel Mar Mediterraneo e nei mari italiani.
Il post è tratto dall’articolo di Carlo Degli Esposti, Pierre Bornard e Graeme Steele Impatto dell’eolico offshore sulle reti elettriche (pp. 44-51) pubblicato su ENERGIA 2.21
Carlo Degli Esposti, Pierre Bornard e Graeme Steele, BSDE Associates
Foto: Pixabay
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