Alberto Clô presenta i contenuti di ENERGIA 4.21. In fondo al testo è possibile scaricare il pdf dell’intera presentazione.
Clima: un passo avanti, due indietro
Mentre scrivo questa presentazione siamo asfissiati da un bombardamento mediatico sui cambiamenti climatici tra il G20 di Roma di fine ottobre e l’avvio, il 1° novembre a Glasgow, della COP26. In entrambi i casi non può dirsi siano stati registrati decisivi «passi in avanti» per raggiungere la neutralità carbonica a metà secolo. (…) Enzo Di Giulio nel suo editoriale pone a confronto tre livelli dell’impegno contro il global warming: dove dovremmo andare in base a quel che raccomanda la scienza; dove diciamo di voler andare, le nostre ambizioni; dove effettivamente andiamo, la dura realtà dei fatti. È nello scarto tra i tre livelli che sta la sostanza della questione perché, afferma Di Giulio, «i paesi esprimono l’obiettivo nobile del grado e mezzo, ma poi quando si tratta di mettere nero su bianco ed esplicitare i tagli che vogliono fare, siamo a distanza siderale da ciò che sarebbe necessario». (…) L’amara conclusione è che «la battaglia sul clima è oggi persa». Il tutto espressione di quell’ipocrisia organizzata che caratterizza larga parte delle relazioni internazionali. (…) Se gli Stati, anziché promettere azioni incapaci di modificare sostanzialmente le cose, si impegnassero in tal senso, la distonia tra impegni e fatti si ridurrebbe di molto. Un impegno, sottolinea Ignazio Musu che accanto agli incentivi e disincentivi di prezzo – specie in riferimento a carbon tax o trade – dovrebbe vedere un intervento pubblico più diretto a sostegno della ricerca di innovazioni radicali e della loro realizzazione sul mercato per sostituire un intero sistema di produzione e distribuzione dell’energia nel quale le economie sono bloccate. Quel che richiede, conclude, una «presenza pubblica che non si accontenti solo degli incentivi di prezzo, ma si concretizzi in una strategia, diretta e indiretta, per promuovere le necessarie azioni di sblocco e di sostituzione con un sistema alternativo».
Cronaca di una morte annunciata
La nuova crisi energetica è giunta inattesa come sempre accade per quel che non si è capito potesse avvenire, così che di essa può parlarsi come «cronaca di una morte annunciata», come scrivo nel mio articolo. Ciò che più colpisce è che non si sia saputo intervenire per anticiparla e contrastarla, con un fallimento della politica, dei regolatori, dei gestori nazionali, delle strutture ministeriali. Specie a casa nostra, in modo peraltro tragicomico, a causa del «trasloco» delle competenze dal Ministero dello Sviluppo Economico al neocostituito Ministero della Transizione Ecologica, con la disattivazione del monitoraggio svolto dall’apposito Comitato emergenze. Una crisi consapevolmente offuscata da Bruxelles, secondo cui nulla è accaduto, impegnata a confezionare il nuovo Green Deal, con proposte che oggi appaiono ancor più irrealizzabili. (…) Diversi paesi (tra cui Germania e Gran Bretagna) hanno rimesso in funzione vecchie centrali a carbone aumentandone di molto l’impiego; hanno drasticamente ridotto (Germania) i sussidi alle rinnovabili di cui si prende ad avvertire l’eccessivo costo; hanno attinto a risorse ad esse destinate (Italia) per finanziare le fossili. Quando il gioco si fa duro, le ideologie e gli impegni green possono ben attendere tempi migliori. Ad originare la grande crisi, al di là di ragioni congiunturali, sta una ragione strutturale: l’enorme vuoto di investimenti minerari nell’industria degli idrocarburi con un loro crollo in meno di dieci anni da 800 a 250 miliardi di dollari, ed una loro riduzione complessiva nel periodo intorno ai 1.000 miliardi. Un crollo quale effetto collaterale della retorica sulla transizione energetica. (…)
Non fasciamoci la testa
Proseguendo nella sua analisi sul futuro del sistema energetico mondiale, in cui ha sostenuto l’ineluttabilità delle fonti fossili anche nel prossimo mezzo secolo (4), Oliviero Bernardini muove una puntuta critica alle analisi e alla modellistica dell’IPCC e dell’Agenzia di Parigi (nel suo canonico World Energy Outlook). Modellistica su cui in una recente Conferenza dell’Accademia dei Lincei a Roma (5), Thomas Stocker, dell’Università di Berna, ha sostenuto che: «Most contemporary climate models do a relatively poor job in simulating nonlinear circulation regimes. This limits the reliability of projections of regional climate change. More importantly, the overwhelming threat of the possible, anthropogenically driven, occurrence of tipping points in the climate system (…) cannot be reliably predicted». Insomma: non vale fasciarsi la testa sulla base di una modellistica definita come «infantile». Bernardini concorda, contestando sia le conclusioni dell’IPCC sull’univocità dell’origine antropica del riscaldamento globale, che le azioni raccomandate dall’Agenzia di Parigi, a suo dire spesso insostenibili in quanto rischiano di buttare «ai quattro venti quanto costruito dalla nostra civiltà negli ultimi secoli». L’originalità del contributo di Bernardini sta nella conclusione cui perviene (…) che induce ottimismo, offuscando il catastrofismo imperante, perché, a suo dire, le emissioni sono andate e sempre più andranno riducendosi sia in termini unitari (rispetto al prodotto interno lordo) che, quel che più conta, in termini assoluti. (…)
Idrogeno: nuove virtù, vecchi vizi
Nella seconda parte del suo studio sull’idrogeno (7), Luigi De Paoli pur riconoscendo come l’attuale «ondata di entusiasmo» sia diversa da quelle del passato – oggi incentrata sulla possibilità di ridurre per tale via le emissioni di CO2 – contesta la veridicità di molte assunzioni su cui si intende promuoverne la produzione e l’impiego. Con «affermazioni – sottolinea – qualche volta errate e previsioni spesso ottimistiche o scelte discutibili». Su quattro in particolare sofferma la sua critica: (a) che l’idrogeno verde (da elettrolisi) comporti con certezza una riduzione delle emissioni, quel che dipende dal fatto che si riescano a realizzare rinnovabili addizionali rispetto a quelle destinate ad alimentare il sistema elettrico. Obiettivo di per sé già estremamente difficile. Se così non fosse, si sarebbero semplicemente realizzate rinnovabili destinate all’idrogeno col rischio che al loro posto si realizzino MW che generano maggiori emissioni; (b) che si possa realizzare l’idrogeno verde in tempi relativamente brevi – sostenendo implicitamente l’inutilità di altre opzioni tecnologiche – nonostante si debbano costruire da zero nuove filiere produttive. Obiettivo anche questo estremamente difficile da conseguire derivando le decisioni da una pluralità di soggetti al di fuori di una ben individuata capacità di coordinamento; (c) che il tutto richieda un supporto pubblico, nonostante si sostenga la competitività dell’idrogeno verde. Come del resto accade per le nuove rinnovabili che pur avendo raggiunto, si sostiene, la piena grid parity, ancora nel 2018 hanno incassato in Europa 60 miliardi di euro di sussidi; (d) che produrre l’idrogeno per via elettrolitica consentirebbe all’industria europea, a dire della Commissione, di competere con quella cinese o di altri paesi, replicando la falsa illusione che si coltivò col fotovoltaico. (…)
Rinnovabili e stabilità del sistema elettrico
(…) A proposito di stabilità del sistema elettrico, l’articolo di Giovanni Goldoni analizza gli aspetti peculiari dei servizi di demand response prestati ai gestori delle reti di trasmissione che già vi ricorrono in situazioni emergenziali di carenza di potenza. Servizi che in futuro dovranno consentire una maggior flessibilità dei consumi, contribuendo al bilanciamento dei sistemi elettrici sempre più esposti alla variabilità e ai costi delle intermittenti rinnovabili. (…) Ma perché un’evidente maggiore complessità del servizio e dei rapporti con il fornitore dovrebbe stimolare una compartecipazione dei consumatori, inclusa la consistente fetta dei clienti domestici «inattivi»? Da una parte, rassicurano i risultati dello studio secondo cui «non servirà attivare tutta la domanda finale per compensare le fluttuazioni più regolari dei carichi provocate dall’intermittenza del sole e del vento. (…) Allo stato dell’arte, le risorse flessibili più convenienti si trovano ancora nei settori industriali e nel terziario, per una felice combinazione di prelievi più alti e più continui». Dall’altra, si suggerisce al piccolo cliente finale di dare massima priorità, quest’anno, agli interventi di efficientamento energetico invece di «investire in apparecchi smart per spostare i consumi in ore in cui il prezzo resta comunque molto alto».
Complementarità petrolio-rinnovabili
Le majors petrolifere, specie quelle europee, guardano con sempre maggiore interesse ai nuovi business a bassa intensità carbonica, destinandovi crescenti risorse sottratte al (e generate dal) loro tradizionale settore Oil & Gas divenuto sempre più rischioso in termini economici, finanziari, sociali. Ritengono in aggiunta che il loro tradizionale modello integrato possa valere anche nei nuovi settori in cui stanno entrando. Quel che vale anche per le imprese dell’industria strumentale a quella petrolifera, come Saipem: l’articolo di Loretana Cortis evidenzia infatti come il portafoglio ordini della società nel segmento Engineering and Construction sia caratterizzato per oltre il 78% da progetti non-oil (GNL e rinnovabili). L’Azienda vanta competenze professionali e asset chiave per affiancare i processi di decarbonizzazione dei propri clienti in un percorso evidenziato dalla nuova brand purpose «Ingegneri per un futuro sostenibile». (…)
Quanto è buono il superbonus?
Poche misure, delle molte proposte nella politica energetica italiana, hanno saputo incidere sulla realtà delle cose come le misure fiscali (sino al superbonus al 110%) volte alla riqualificazione edilizia, sismica, energetica degli edifici. Le altre, a ben vedere, riguardavano aspetti ancillari agli obiettivi che si vorrebbero raggiungere: facilitare la vita ai (potenziali) investitori nelle rinnovabili; aggiustare marginalmente il design dei mercati elettrici; invocare ove possibile maggior concorrenza. Più annunci che concretezza. Altra è la valutazione delle misure fiscali analizzate nell’articolo di Carlo Amenta e Carlo Stagnaro che svolgono alcune considerazioni critiche su disegno ed effetti di tali misure. Certo è che al di là degli effetti prodotti sul livello di efficienza energetica, che non necessariamente porterà a simmetriche riduzioni dei consumi energetici, queste misure hanno un impatto altamente positivo sulla nostra economia in termini di crescita, investimenti, occupazione. (…)
a.c.
Bologna, 22 novembre 2021
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