6 Dicembre 2021

Per non finire in bolletta: prevenire anziché curare

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È possibile intervenire sulle cause della crisi energetica anziché tamponare con cure temporanee sempre più gravose. Ed è auspicabile, perché la crisi andrà peggiorando quest’inverno per poi ripresentarsi i prossimi. Checché ne dica il commissario alla transizione energetica Timmermans, tuttavia, le cause non si rimuovono aumentando tout-court la quota delle rinnovabili. Senza una riforma del sistema di fissazione dei prezzi elettrici, l’impennata ci sarebbe stata lo stesso. Peccato manchino i presupposti per una simile riforma, a causa delle divergenti posizioni degli Stati membri. È tuttavia possibile intervenire sul fronte del gas, a partire da una reintroduzione dei criteri di formazione dei prezzi legati ai contratti a lungo termine.

L’impennata delle bollette dell’elettricità e del metano e le politiche di risposta adottate dal governo sollevano un interrogativo: è meglio cercare di lenire ex-post la pena per i consumatori con provvedimenti tampone sempre più gravosi o è meglio intervenire ex-ante su alcune delle cause che ne sono all’origine?

Perché una cosa è certa: non si sa, checché ne dica la Commissione, quanto durerà la crisi energetica e di cui Bruxelles e gli organismi nazionali ne portano in parte la responsabilità per omessa ‘vigilanza’ su quel che accadeva sul mercato internazionale del metano.

Una risorsa energetica che Bruxelles vorrebbe assurdamente eliminare dal mix energetico europeo mentre oggi ne soffriamo la scarsità, sperando nella benevolenza di Vladimir Putin (come abbiamo avuto modo di affrontare in un precedente post).

Possibile che nessuno si sia accorto di niente?

Una crisi che può dirsi ‘cronaca di una morte annunciata’ – come ho voluto intitolare la mia disamina della crisi sull’ultimo numero di ENERGIA – giacché l’esplosione dei prezzi non è avvenuta dalla sera alla mattina, ma in un tempo lungo che avrebbe dovuto consentirne una qualche anticipata risposta.

A metà del 2020 i prezzi del metano erano inferiori ai 2 doll./Mil.Btu (l’unità calorica cui si fa riferimento) per salire a 10 a fine anno e raggiungere dopo l’estate punte di 40 dollari. Possibile che nessuno si sia accorto di niente anche guardando il basso livello delle scorte rispetto ai livelli normali? Dov’erano i regolatori o gli organismi che avrebbero dovuto fronteggiare situazioni di emergenza?

La crescita dei prezzi del metano ha contagiato quelli dell’elettricità essendo la fissazione di questi ultimi legata al metro cubo marginale del metano che in base al system marginal price (SMS) garantisce l’equilibrio del sistema elettrico.

A prescindere dal livello di penetrazione delle rinnovabili.

Il binomio metano-elettricità permarrà quindi fino a quando rimarrà questo sistema. Riformarlo per contenere il caro-energia è d’altra parte estremamente difficile data la totale spaccatura anche in questo caso tra i paesi europei, come verificatosi nell’ultimo Consiglio europeo dell’energia (si veda il post Regna il caos sul cielo di Bruxelles).

Un’Unione spaccata

Da una parte diversi paesi, tra cui Italia, Francia, Spagna favorevoli al superamento del SMS; dall’altra Germania, Olanda, Austria e altri paesi del tutto contrari.

La crescita dei prezzi internazionali del metano è l’effetto combinato di più ragioni:
1. forte e sincronizzata ripresa delle economie;
2. suo riverbero sulla domanda di energia;
3. balzo nella domanda di metano per sostituirlo al carbone, specie nei paesi asiatici e in particolare dalla Cina, anch’essa in balia di una grave crisi energetica;
4. sua insufficiente capacità produttiva e offerta sui mercati per il crollo degli investimenti minerari nell’industria oil&gas. Aumentare questa capacità per rispondere all’aumento della domanda di metano richiederà anni.

Serve chiarezza: non sarà una crisi breve

Da qui, la conclusione che la crisi che attraversiamo non sarà di breve periodo come illusoriamente sostiene la Commissione. Il suo impatto sociale diverrà per contro sempre più insostenibile.

Dall’inizio del 2021 il balzo delle nostre bollette – dopo quello cumulato dallo scorso 1° luglio di circa il 40% per l’elettricità e 30% per il metano – sarà ancora fortissimo considerando che le quotazioni ad ottobre del gas naturale sono risultate circa doppie di quelle utilizzate per il precedente aggiornamento.

Per attenuarne l’impatto sui consumatori non basteranno di certo le risorse appostate dal governo nella legge di Bilancio, che sinora, vale ricordare, per fronteggiare gli aumenti delle bollette ha messo in campo 4,7 miliardi di euro.

Ne serviranno ben di più.

L’esborso per lenire l’impatto della crisi energetica sarà maggiore delle risorse stanziate per il Reddito di Cittadinanza

In una recente audizione parlamentare il Presidente della Cassa per i servizi Energetici e Ambientali (CSEA) – ente pubblico predisposto alla riscossione di alcune componenti tariffarie dagli operatori successivamente erogati a favore delle imprese – ha dichiarato che “ove fosse confermato l’attuale livello delle tariffe, il fabbisogno netto da finanziare risulterebbe pari a 9,5 miliardi di euro per il 2022”.

Una cifra, per rendere l’idea, superiore al costo complessivo del reddito di cittadinanza nel 2020 (7,2 miliardi di euro).

È possibile allora intervenire ex-ante sulle cause dell’aumento dei prezzi e non solo ex-post? Ritengo di sì, agendo su alcuni aspetti della politica energetica e regolatoria relativa al metano: dai criteri di formazione dei suoi prezzi al consumo sino all’aumento dell’estrazione dal sottosuolo del nostro metano per sopperire alla sua scarsità. Non già quindi per ridurne i prezzi ma per accrescerne la disponibilità. Una scelta politicamente complessa, non potendo però il paese rimanere ostaggio di una minoranza che nel 2016 uscì per altro sconfitta dal referendum No-Triv.

Come si formano i prezzi del gas?

Analizziamo di seguito la questione dei prezzi. La componente energia dei prezzi tutelati del metano (cui si sommano altri costi e imposte) è interamente agganciata a quelli fissati sul mercato di scambio olandese (denominato Title Transfer Facility – TTF) cui viene aggiunta una componente ipotetica di trasporto fino al sistema italiano.

Non si tratta quindi di prezzi effettivamente pagati per l’acquisto del metano – quel che indica quanto sia campata per aria l’idea di accomunarli a livello europeo per ridurli – ma di quotazioni espresse su una borsa cui non sono esenti movimenti speculativi.

I cosiddetti prezzi spot fissati quotidianamente su diverse piattaforme negoziali. Un tempo, prima dell’ottobre 2013, i nostri prezzi al consumo facevano invece riferimento a quelli definiti nei contratti di lungo termine di importazione a loro volta ancorati a quelli del petrolio, così da garantirne la competitività, dovendolo sostituire.

Questi contratti, in cui era implicito un costo per la sicurezza dell’offerta per chi acquistava e della domanda per chi vendeva, sono andati via via riducendosi perché ritenuti – nell’ebbrezza delle liberalizzazioni – contrari all’affermazione di una piena concorrenza dei mercati.

Una liberalizzazione non fa primavera: i prezzi del gas in UE potrebbero tornare a salire – RivistaEnergia.it, 14 settembre 2020

Alla filosofia della sicurezza degli approvvigionamenti si sostituiva in sostanza quella della convenienza dei mercati, come espressa dai prezzi spot, altamente variabili e imprevedibili, perché condizionati da mille variabili esogene (fame di gas in Asia, prezzi del gas liquefatto, etc).

Per alcuni anni, dopo il crash finanziario del 2008 che ha visto una forte caduta della domanda di gas, i prezzi spot sono risultati più convenienti anche di molto rispetto a quelli dei contratti long-term.

Generale era il convincimento che essi potessero ritenersi espressione di una situazione strutturale dei mercati, essendo invece l’esito temporaneo di una forte eccedenza di offerta, favorita anche dalla grande crescita delle movimentazioni del Gas Naturale Liquefatto (GNL) e delle esportazioni americane. Riassorbita questa eccedenza i prezzi avrebbero ripreso a risalire fino agli astronomici livelli dei mesi scorsi.

Prepariamoci a un ulteriore peggioramento

Da gennaio 2022, si diceva, la situazione peggiorerà e di molto. È possibile infatti stimare un aumento della componente energia dai 47,8 c€/mc attuali a circa 86 c€/mc (quasi l’80% in più). A gennaio 2021 era di 15,1 c€/mc, con un aumento quindi di 5,7 volte.

A parità di tutte le altre componenti, mantenendo l’IVA al 5% e al netto di altri interventi del Governo, l’effetto sul prezzo finale lordo imposte sarà un aumento di circa il 40%. Un’altra gran brutta botta.

È sperabile che la situazione, cessata la stagione fredda, possa migliorare ma il rischio è che la si ritrovi tale e quale l’autunno del prossimo anno. Da qui l’idea di intervenire sulle cause, a partire dall’aggancio dei nostri prezzi al solo mercato spot: più instabile e vulnerabile.

La rivincita del long-term

L’idea su cui riflettere potrebbe essere quella di reintrodurre nei criteri di fissazione dei prezzi al consumo in riferimento ai prezzi definiti nei contratti a lungo termine che rappresentano poco meno di un terzo degli approvvigionamenti europei. Nella media di ottobre essi hanno quotato 7,2 doll/Mil. Btu contro di 24,9 doll/Mil. Btu dei prezzi spot sul mercato di riferimento olandese.

Trovare in sostanza un sistema di pricing più equilibrato per i consumatori finali, che attraverso legami ai nuovi contratti a lungo termine, riduca la volatilità dei prezzi al consumo ed eviti, in periodi di shortage come l’attuale – che potrebbero però diventare strutturali – di pagare prezzi assurdamente elevati.


Alberto Clô è direttore del trimestrale ENERGIA e del blog RivistaEnergia.it


Sulla crisi dei prezzi elettrici e del gas leggi anche:
Un tempo si chiamava “sicurezza energetica”, di Alberto Clò,  18 Novembre 2021
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Foto: Unsplash

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