Nello sviluppo delle innovazioni tecnologiche, per passare dalla fase delle aspettative all’incremento dei progetti dimostrativi o di prototipi è importante osservare l’andamento dell’allocazione di fondi pubblici destinati alla ricerca. In questo passaggio tratto da ENERGIA 3.21, Luigi De Paoli (Università Bocconi) esamina la terza ‘ondata di entusiasmo’ per l’idrogeno guardando alla gestione degli aspetti finanziari in Unione Europea e negli USA, alla ricerca degli elementi costitutivi di un hype.
[Continua da: Un altro hype dell’idrogeno? Le fasi di una bolla]
Come spiegato nella prima parte di questo approfondimento sugli hype tecnologici, tratto da ENERGIA 3.21, quanto avvenuto in Europa durante la terza ‘ondata di entusiasmo’ per l’idrogeno è inquadrabile nella categoria degli hype.
Un hype (o bolla) in campo tecnologico è definibile come un ciclo di aspettative in forte aumento seguite da disillusioni rispetto a una tecnologia. Il fenomeno presenta tre fasi: crescita delle aspettative, crescita dei progetti, andamento deludente dei risultati quando confrontati con le attese iniziali.
In questa seconda parte, ripubblichiamo un passaggio dello stesso articolo di Luigi De Paoli utile a comprendere i pericoli finanziari degli hype, cioè il rischio di cattura (e lo stanziamento inefficiente) dei fondi pubblici.
“In generale, nello studio degli hype tecnologici, è fondamentale osservare l’andamento dell’allocazione di fondi pubblici destinati alla ricerca e alla realizzazione di progetti dimostrativi o di prototipi. Senza tale aiuto, difficilmente si potrebbe passare dalla fase delle aspettative a quella dell’incremento dei progetti. Le azioni di lobby per ottenere tali fondi sono quindi co-sostanziali con lo sviluppo degli hype o dei successi tecnologici.
La pressione sui decisori pubblici perché destinino importanti fondi di ricerca alla tecnologia dal potenziale molto promettente è esercitata sia dai centri di ricerca pubblici che dalle industrie interessate a sviluppare il nuovo business. Ciò avviene in modo diverso a seconda dei sistemi istituzionali e industriali.
Come si è visto, durante la «terza ondata» (di entusiasmo per l’idrogeno, n.d.r) vi è stato un forte incremento dei fondi di ricerca stanziati dall’UE per l’idrogeno e le fuel cell a partire dal settimo Programma Quadro.
Tuttavia, forse è ancora più importante ricordare che la Piattaforma HFP, che già aveva visto una stretta collaborazione tra Commissione UE, industria e centri di ricerca nell’elaborazione dei documenti sopra ricordati, nel 2008 è stata trasformata in un organismo di raccordo permanente tra questi soggetti denominato Fuel Cells and Hydrogen Joint Undertaking (FCH JU).
Le azioni di lobby per ottenere fondi pubblici sono co-sostanziali con lo sviluppo degli hype o dei successi tecnologici
Questo nuovo organismo (paragonato all’Euratom) è stato istituito con un apposito Regolamento (n. 521/2008) e prevedeva tra i membri fondatori la Commissione europea e un Industry Grouping, mentre rimaneva aperto a un Research Grouping.
Questa struttura tripartita si è effettivamente realizzata con la Commissione europea a cui compete la direzione della FCH JU, l’industria raggruppata in Hydrogen Europe (HE) e il mondo della ricerca riunito in Hydrogen Europe Research.
Nel tempo, il numero e le caratteristiche dei partecipanti all’Impresa Comune si sono evoluti notevolmente (Fig. 2).
Infatti, si può dire che oggi Hydrogen Europe sia composta non da due, ma da tre categorie di attori. Le due categorie principali sono Hydrogen Europe Industry, a cui aderiscono circa 200 imprese o organizzazioni industriali, e Hydrogen Europe Research, composta da un’ottantina di organizzazioni di ricerca, ma accanto a queste, c’è una terza gamba o sostegno, meno ufficiale ma importante, costituita da almeno una ventina di Associazioni regionali, Comuni, ONG, cioè da soggetti pubblici che si dichiarano interessati alla promozione dell’idrogeno e che possono fare pressioni in tal senso presentandosi come portatori dell’interesse dei cittadini.
Secondo i suoi promotori, la FCH JU può essere vista come un auspicabile centro di coordinamento delle attività di ricerca, sviluppo e dimostrazione nel campo dell’idrogeno e delle fuel cell, ma secondo i suoi critici essa ha dato vita a un connubio finanziatori-finanziati e ha creato una lobby istituzionalizzata, interessata a ottenere lo stanziamento di fondi pubblici e a programmare attività ritenute a priori di interesse pubblico.
Per questa ragione Hydrogen Europe è stata definita: «Un organismo ibrido dalle linee sfocate, un partenariato pubblico-privato istituito dalla Commissione che esercita pressioni sulla Commissione per conto dell’industria» (5) (Balanyá et al. 2020, p. 9).
Il problema qui evidenziato non è certo tipico solo dell’idrogeno e può essere ricondotto all’asimmetria informativa tra regolatori e regolati e alla capacità dei secondi di catturare i primi nella definizione dei programmi di RD&D anche grazie alle maggiori conoscenze e ai mezzi finanziari a disposizione.
A nostro parere non esiste una soluzione definitiva a questo problema, ma esistono fattori che possono mitigare il rischio di cattura (e lo stanziamento inefficiente di fondi pubblici).
Tra questi ve ne sono due: un sistema industriale e istituzionale pluralistico in grado di far sentire voci discordanti e il ricorso a capacità di valutazione indipendenti.
Un’illustrazione di un modo diverso di procedere (anche se, in questo caso, con risultati simili) può essere ricavata da quanto accaduto durante la stessa «terza ondata di entusiasmo» per l’idrogeno negli Stati Uniti.
La strategia di sviluppo USA nella terza ondata di entusiasmo: il coinvolgimento di organismi indipendenti
Nel 2003 il Presidente George W. Bush lanciò la Hydrogen Fuel Initiative destinando «1,2 miliardi di dollari alla ricerca in modo che l’America possa guidare il mondo nello sviluppo di auto pulite, alimentate a idrogeno».
Nel 2005 il Congresso americano chiese a un organismo indipendente, il National Research Council (NRC), di fare uno studio per valutare quali risorse fossero necessarie per arrivare ad avere nel 2020 una flotta di veicoli di trasporto leggero a idrogeno (Hydrogen Fuel Cell Vehicle, HFCV) ponendo sei quesiti, tra i quali quelli qui più rilevanti erano:
– Stabilire il traguardo del numero massimo di veicoli alimentabili a idrogeno entro il 2020;
– Determinare il finanziamento, pubblico e privato, per raggiungere tale obiettivo.
La risposta dello studio del Comitato creato dal NRC al primo quesito è stata:
«In the judgment of the committee, the maximum practicable number of HFCVs that could be on the road by 2020 is around 2 million. Subsequently, this number could grow rapidly to as many as 60 million by 2035 and more than 200 million by midcentury» (NRC 2008, p. 7).
Vale la pena di segnalare anche che il Comitato raccomandava un «portfolio approach» per ridurre le emissioni nel settore trasporti, ma che in tale portafoglio non aveva incluso le auto elettriche:
«A portfolio of technologies including hydrogen fuel cell vehicles, improved efficiency of conventional vehicles, hybrids, and use of biofuels – in conjunction with required new policy drivers – has the potential to nearly eliminate gasoline use in light-duty vehicles by the middle of this century, while reducing fleet greenhouse gas emissions to less than 20 percent of current levels. This portfolio approach provides a hedge against potential shortfalls in any one technological approach and improves the probability that the United States can meet its energy and environmental goal» (ivi, p. 4).
Per quanto riguarda il quesito dei costi da sostenere per rendere i veicoli a fuel cell competitivi con quelli a benzina la risposta è stata:
«The committee estimated the government cost to support a transition to hydrogen fuel cell vehicles as being roughly $55 billion from 2008 to 2023 (when fuel cell vehicles would become competitive with gasoline-powered vehicles). This funding includes a substantial R&D program ($5 billion), support for the demonstration and deployment of the vehicles while they are more expensive than conventional vehicles ($10 billion). Private industry would be investing far more, about $145 billion for R&D, vehicle manufacturing, and hydrogen infrastructure over the same period» (ivi, p. 1).
Nei primi anni 2000 l’attesa penetrazione dell’idrogeno, soprattutto nei trasporti, è stata un hype a livello internazionale
Come si può constatare, gli Stati Uniti hanno agito diversamente dall’UE di fronte alle stesse prospettive tecnologiche e hanno ottenuto risposte più chiare da un Comitato scientifico indipendente che ha stimato, tra l’altro, non solo i fondi pubblici necessari di R&D (5 miliardi di dollari in sedici anni), ma anche quelli necessari per sostenere l’industria e la realizzazione delle infrastrutture (50 mld. doll.) e quelli che avrebbero dovuto sostenere i privati (145 mld. doll.).
Malgrado ciò, lo scostamento tra previsioni e risultati non è stato molto diverso da quello registrato in Europa e l’incremento dei fondi pubblici a sostegno della RD&D sono cresciuti notevolmente per alcuni anni, ma poi hanno cominciato a declinare (Fig. 3).
Ciò conferma che, almeno nel periodo che stiamo considerando, vi è stato un hype a livello internazionale per l’attesa della penetrazione dell’idrogeno, soprattutto nei trasporti”.
Il post è tratto dall’articolo di Luigi De Paoli Economia dell’idrogeno: nuova bolla o lancio definitivo? (pp. 8-17) pubblicato su ENERGIA 3.21
Luigi De Paoli, Università Bocconi
Foto: Unsplash
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