28 Gennaio 2022

Metano, col fiato sospeso

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I rischi del precipitare dello scontro tra Russia e Ucraina sollevano pesanti interrogativi sulle ripercussioni che potrebbero aversi sui flussi di gas naturale verso l’Europa e quindi sull’intero sistema energetico europeo. Quali scenari si prospettano se: Putin invadesse l’Ucraina, dopo aver annesso la Crimea nel 2014, l’Occidente colpisse la Russia con sanzioni molto più pesanti, e Putin reagisse tagliando di netto le forniture di gas?

100 mila uomini e armamenti sono ammassati ai confini tra Russia e Ucraina ed è alta la percezione che si possa essere alla vigilia di un’invasione dell’Ucraina.

I rischi del precipitare dello scontro sollevano pesanti interrogativi sulle ripercussioni che potrebbero aversi sui flussi di metano dalla Russia e quindi sull’intero sistema energetico europeo. Sistema cui il metano contribuisce in modo determinante: coprendo circa 1/4 dei complessivi consumi di energia primaria e 1/5 di quelli elettrici.

Fonte: Eurostat

La Russia, aspetto dirimente, è il primo fornitore di metano dell’Europa col 40% dei suoi fabbisogni, di cui circa 1/3 transita attraverso l’Ucraina. I paesi dell’Est Europa vi dipendono per la quasi totalità dei loro fabbisogni.

Dipendenza dal gas russo per paese europeo
Fonte: Statista

Un ulteriore calo delle sue esportazioni farebbe esplodere i prezzi a livelli ancor più alti di quanto osservato questa settimana con valori balzati il 24 gennaio del 13,5% nella piattaforma italiana PSV a 33 doll/Mil. Btu, il più alto dal 23 dicembre 2021.

Inevitabile il contagio sui prezzi dell’elettricità di molti paesi europei, ad iniziare dalla Germania, con un aumento di circa il 60% anche a causa del crollo della produzione eolica, per la sempre più strutturale bassa ventosità.

Un effetto traino che vale anche per la Francia, a seguito del minor apporto del nucleare in una misura di 5 GW (10% produzione normale) e con effetti che continueranno anche nei prossimi mesi. 

Il balzo dei prezzi è causato soprattutto dal forte calo dall’inizio dell’anno delle forniture russe nelle diverse linee di transito, incluso il sistema Nord Stream 1.

I transiti di gas russo dall’Ucraina verso la Slovacchia, dopo il picco relativo di 94 miliardi di metri cubi nel 2017, si sono più che dimezzati nel 2021 a 41,6 miliardi di metri cubi.

Quali scenari si prospettano se: dopo essersi annessa la Crimea nel 2014, Putin decidesse di invadere l’Ucraina; l’Occidente reagisse colpendo la Russia con sanzioni molto più pesanti; e Putin replicasse tagliando di netto le forniture di metano?

Sicuramente un balzo dei prezzi tanto più elevato quanto maggiore sarà il calo dei flussi e tenuto conto dei bassi livelli di scorte europee, con un tasso di riempimento prossimo a solo il 40% con nemmeno 45 miliardi di metri cubi contro i circa 60 di un anno fa, in piena pandemia.

Scorte inferiori alle medie dello scorso quinquennio, anche per la convenienza ad attingervi piuttosto che pagare alti prezzi ai fornitori e che si ipotizza difficili da accrescere anche nei mesi estivi ripresentandosi la medesima situazione il prossimo inverno.

Agli attuali tassi di drenaggio, le scorte disponibili ammontano a 9 settimane, esattamente come il residuo numero prima della fine dell’inverno

Agli attuali tassi di drenaggio, le scorte disponibili ammontano a 9 settimane, esattamente come il residuo numero prima della fine dell’inverno. Questo nei valori medi, mentre individualmente a essere messi peggio sono Austria, Germania, Regno Unito che potrebbero vedere esauriti i loro stoccaggi in poche settimane. Il Regno Unito ne ha al momento per appena cinque settimane. Va da sé che il respiro dato dalle scorte si ridurrà se si ridurranno le importazioni dalla Russia. 

Qualora malauguratamente l’invasione dovesse avvenire, si aprirebbe una lunga fase di contrapposizione tra Russia e Occidente che non potrebbe che avere ripercussioni sulle forniture di gas dalla Russia all’Europa. 

Possibilità di rimpiazzarle nel breve termine non ve ne sono, se non con un aumento dei cargo di GNL dagli Stati Uniti, cresciuti a livelli record a metà gennaio per i maggiori prezzi pagati dall’Europa rispetto all’Asia con livelli record di rigassificazioni in molti paesi europei, Italia compresa.

Cargo il cui numero è comunque limitato per la capacità di liquefazione ormai satura e su cui non si può fare affidamento con certezza, dipendendo sempre dai prezzi che l’Asia è disposta a pagare, funzione a sua volta della sua domanda marginale.

Nulla di incrementale potrebbe, per contro, arrivare in tempi brevi da altre fonti di approvvigionamento, se non forse dall’Algeria (verso Spagna e Italia), ma certo non dall’Azerbaijan, che richiederebbe un aumento della capacità dei gasdotti, come auspicato dalla mal informata Commissaria europea all’energia Kadri Simson.

Per l’espansione del solo TAP necessiterebbero almeno cinque anni. Marginali potrebbero essere poi le forniture addizionali dal Qatar (che fornisce il 5% dei fabbisogni europei) come sollecitato dal Presidente Joe Biden.

La Casa Bianca ha minacciato di accentuare le sanzioni contro la Russia – contro il parere tedesco preoccupato delle ripercussioni interne – riguardo l’ormai congelato Nord Stream 2 ed escludendola dai sistemi di pagamento internazionali (SWIFT) o dal ricorso alle banche americane.

Il nuovo cancelliere tedesco Olaf Sholz ha dichiarato che un’eventuale invasione russa dell’Ucraina rischierebbe di porre la parola fine al Nord Stream 2 (da sempre osteggiato dai verdi e partito liberale, ma sostenuto dall’SPD col suo ex-cancelliere Schroder che lo presiede), il cui costo finanziario è stimato oltre 17 miliardi di euro.

2 ragioni per cui Mosca avrebbe difficoltà a rispondere riducendo ulteriormente le forniture

Mosca avrebbe difficoltà a reagire a queste minacce riducendo ulteriormente le forniture per due ragioni. La prima, salvaguardare la sua reputazione: rassicurando di essere un “reliable guarantor of European energy security”, come dichiarato dal Cremlino all’annuncio del ritiro dalle ambasciate americane e inglese del personale non essenziale e come del resto ha sempre dimostrato anche ai tempi della guerra fredda.

La seconda, d’ordine economico, per la determinante importanza che gli introiti delle esportazioni di gas hanno per l’economia russa.

Fonte: Natural Gas World

Nello svolgersi di tutta questa vicenda – come dell’intera crisi energetica in cui l’intera Europa si sta dimenando – una conclusione ci pare di dover trarre: l’assenza della Commissione.

Dov’è la Commissione europea?

Parla da sé il fatto che Washington e non Bruxelles abbia preso a preoccuparsi di trovare forniture addizionali di metano per l’Europa: dal Nord Africa, Medio Oriente, Asia centrale e dalla stessa America.

La Commissione si è dimostrata, per contro, incapace di proporre qualsiasi cosa che possa fronteggiare i rischi che stiamo correndo, suggerendo ad esempio di concludere contratti di lungo termine con Gazprom ma anche con esportatori americani di GNL in grado di accrescere in breve tempo i flussi di gas verso l’Europa e anticipando la Cina che ne sta facendo incetta.

Anziché attardarsi in fumose e assurde discussioni sulla tassonomia, sarebbe stato ben meglio che gli uffici di Bruxelles e chi li guida si fossero preoccupati della casa europea che rischia nei prossimi medi di restare al freddo e al buio. Anche perché si fa sempre più concreta la prospettiva che i prezzi restino “higher for longer”, a prescindere da come evolvano i rapporti con la Russia.


Alberto Clò è direttore del trimestrale ENERGIA e RivistaEnergia.it


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Foto: Unsplash

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