Lo chiamano “wind drought” (siccità eolica), il calo di ventosità che si è verificato in diversi paesi europei e che li ha costretti a ripiegare sul metano (e sul carbone), contribuendo a innescare l’attuale crisi energetica. Si tratta di un fenomeno congiunturale o strutturale? Una questione rilevante dal momento che le speranze della transizione verde risiedono in gran parte nella crescente penetrazione dell’eolico, le cui ore di funzionamento si aggirano ad oggi sulle 2.000-2.200 (su un totale di 8.760). Un tasso di utilizzo del 25%. L’IPCC ritiene probabile un calo della ventosità nel Mediterraneo e nel Nord Europa, ma la modellistica non da risposte univoche. Una cosa è certa: la prevedibilità della generazione eolica è soggetta a una maggior incertezza di quel che si riteneva, con un impatto negativo sulla sua programmabilità.
Come è noto la generazione elettrica ottenuta dal vento attraverso turbine eoliche è una delle grandi speranze per ridurne la dipendenza dalle fossili. Dall’inizio del millennio la sua potenza è cresciuta annualmente di poco meno del 20% superando i 730 GW.
Una crescita che dovrebbe consolidarsi in futuro secondo l’Agenzia di Parigi, che proietta al 2030 una potenza di 1.600 GW in base al più realistico scenario Stated Policies che salgono a quasi 2.400 in base a quello Sustainable Development, con contributi percentuali al totale della generazione elettrica nel 2030 rispettivamente del 14% e 19%.
Obiettivi che richiedono enormi impegni di investimento confortati da simmetrici miglioramenti di efficienza e da riduzione dei costi di produzione, specie sul versante dell’eolico offshore, in grado di poter sfruttare maggiori dimensioni ed economie di scala e quindi minori costi unitari di investimento e di produzioni nonché una minor opposizione sociale.
La crescita dell’eolico paventata dagli scenari energetici si basa su una condizione basilare: che tiri il vento
La sostenuta raggiunta parità con le tecnologie concorrenti dovrebbe facilitare la penetrazione dell’eolico senza alcun soccorso di sussidi pubblici. Tutti gli scenari prospettici sull’eolico hanno logicamente alla loro base un’assunzione: che tiri il vento.
La sua discontinuità e intermittenza, alla pari del solare, è ben nota, da cui la necessità di dover far conto su altre centrali che svolgono una indispensabile funzione di supplenza (con costi addizionali che a rigore di logica dovrebbero addebitarsi alle rinnovabili).
Una delle ragioni della crisi energetica in cui ci stiamo ancora dibattendo è stato appunto il forte calo della ventosità nei paesi del Nord Europa: segnatamente in Gran Bretagna, che vorrebbe diventare leader mondiale dell’eolico, e in Germania.
La minor ventosità ha costretto a ripiegare sul metano e anche sul carbone, contribuendo in entrambi i casi a un aumento dei loro prezzi.
Il calo di ventosità è una delle ragioni che ha decretato l’aumento dei prezzi di gas e carbone, alla base dell’attuale crisi energetica
Il calo di ventosità si è avvertito in diversi altri paesi europei, da cui l’interrogativo se sia dovuto ad un fenomeno temporaneo di “wind droughts” (siccità eolica) da considerarsi come un evento estremo non facilmente ripetibile, o se debba ascriversi a un mutamento strutturale nella velocità del vento vicino alla superficie.
L’ultimo rapporto dell’IPCC (capitolo 12, p. 71) dopo aver rimarcato che la velocità del vento è diminuita di un quarto negli ultimi quattro decenni, ritiene che in Europa possa ridursi in futuro dell’8-10% per più ragioni.
There is high confidence that mean wind speeds will decrease in Mediterranean areas and medium confidence of such decreases in Northern Europe for global warming levels of 2°C or more and beyond the middle of the century – IPCC 6th Assessment Report
Tra queste vi è proprio il cambiamento climatico, da intendersi in senso più ampio rispetto al mero riscaldamento terrestre, che l’eolico dovrebbe contrastare.
Si avrà come conseguenza una minor producibilità delle turbine eoliche, ovvero un minor numero di ore di loro funzionamento, che oggi si aggira sulle 2.000-2.200 ore su un totale di 8.760 ore, con un tasso di utilizzo quindi del 25%.
Una minor producibilità comporta come conseguenza maggiori costi unitari di produzione, relativamente soprattutto alla componente investimenti.
Sempre a dire dell’IPCC, il calo della ventosità dovrebbe interessare soprattutto il Nord Europa. Se così fosse, quanto osservato nei mesi scorsi potrebbe non essere un fenomeno temporaneo ma strutturale.
La modellistica non da risposte univoche
La modellistica al riguardo non dà risposte univoche sulla correlazione tra ventosità e modelli climatici per alcuni modelli negativa per altri positiva.
Piccoli cambiamenti nella velocità del vento determinano d’altra parte più elevati cambiamenti nella produzione di elettricità, perché essa varia col cubo della velocità del vento.
Una cosa è certa: la prevedibilità della generazione eolica è soggetta a una maggior incertezza di quel che si riteneva con un impatto negativo sulla sua programmabilità.
Di questo si deve tener conto nel disegnare gli scenari elettrici del futuro, non potendosi evidentemente fare eccessivo conto su una fonte di energia che registra una sempre più marcata discontinuità e inaffidabilità.
Come fronteggiarle? The answer, my friend, is blowin’ in the wind.
Alberto Clô è direttore del trimestrale ENERGIA e del blog RivistaEnergia.it
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Fonte: Unsplash
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