Primo: capire le cose. Una transizione ove l’agognato ‘nuovo mondo’ dell’energia non è in grado di sostituire quello ‘vecchio’ non può che creare rotture nei mercati con contraccolpi sui prezzi. Secondo: guardare avanti. La Grande Crisi non è congiunturale ma strutturale e di lunga durata. Terzo: rimediare ai nostri errori. Molti degli effetti negativi dell’attuale crisi sono la conseguenza diretta dei nostri ‘no’ passati.
Dalla Grande Crisi dovremmo trarre insegnamenti di cui tener conto guardando al domani. Il primo: capire le cose. La Crisi è giunta ‘inattesa’ per l’insipienza a coglierne i prodromi avvertibili già da lungo tempo. Lamentarne la repentinità è un comodo alibi per celare le responsabilità di chi avrebbe dovuto intervenire in tempo per impedire il peggio. Da qui, la necessità di rafforzare le capacità di capire quel che va accadendo sulla base anche di aggiornate informazioni (l’ultimo Bilancio Energetico Nazionale è del 2017).
Non meno importante modificando la governance nel settore metanifero che si è dimostrata del tutto inadeguata. Se, malauguratamente, la crisi ucraina dovesse precipitare a chi spetterebbe il compito e con quali strumenti di rimpiazzare gli eventuali tagli delle forniture russe (20% delle nostre disponibilità)?
Ci si ricorderebbe a quel punto di ENI bistrattata per le sue attività negli idrocarburi, che qualche anno fa un ministro chiese di abbandonare! Nei tre piani energetici elaborati (SEN 2013, SEN 2017, PNIEC 2019) Eni non viene nemmeno citata, mentre EdF lo è 48 volte nei piani francesi.
Non è elegante citarsi, ma era il maggio 2019, i giorni seguenti la notizia dell’accordo d’importazione gas con l’azienda algerina Sonatrach (minori quantitativi, minore durata) quando ci chiedevamo In cosa consiste la strategicità di Eni? e in che ottica valutare l’accordo: se aziendale o nazionale.
Ma torniamo all’oggi. Nessuno ha visto lo tsunami che si stava avvicinando, perché continuava a cullarsi in una narrazione della transizione energetica funzionale ad interessi di parte ma priva di ogni riscontro coi fatti reali. Molte delle assunzioni su cui si basava si sono sciolte come neve al sole. Continuare a darle per acquisite è privo di senso.
A partire dal sostenere che del metano non vi fosse ormai necessità o che la domanda di petrolio – grazie al covid – avrebbe conosciuto il suo picco, mentre è tornata ai livelli precedenti. O che l’elettrificazione dei consumi energetici, architrave della decarbonizzazione, va procedendo, mentre è ferma al palo.
Per chi suonano le rinnovabili?
O, ancora, che la penetrazione di solare/eolico era inarrestabile mentre nel 2021 la loro produzione in Europa è cresciuta di appena l’uno per cento (anche se 9% in termini di potenza) a detrimento del gas e del nucleare ma non del carbone, contribuendo, in sostanza, ad accrescere le emissioni (si veda il nuovo rapporto Ember, European Electricity Review 2022).
Una transizione ove l’agognato ‘nuovo mondo’ dell’energia non è in grado di sostituire quello ‘vecchio’ non può che creare rotture nei mercati con contraccolpi sui prezzi.
Come l’attuale crisi insegna. Unione Europea ed amministrazione americana hanno fatto di tutto per scoraggiare, penalizzare, sanzionare gli investimenti nelle fossili. Salvo oggi lamentarsi dei pochi investimenti che si stanno facendo, come è arrivata a sostenere anche l’Agenzia di Parigi, capovolgendo le sue passate posizioni.
Secondo insegnamento: guardare avanti. La Grande Crisi non è congiunturale ma strutturale e di lunga durata. I prezzi del gas, ad esempio, potranno flettere al termine della stagione invernale o allo sperabile rientro della crisi ucraina, ma dopo l’estate ci troveremo daccapo, se come prevedibile la domanda asiatica di metano aumenterà per sostituire il carbone nelle centrali cinesi e altrettanto accadrà in Europa per rimediare alla chiusura in Germania delle centrali a carbone e nucleare.
Vi saranno seri rischi di blackout a livello europeo
La maggior domanda incontrerà però limiti dal lato della sua capacità produttiva – oggi totalmente satura – superabili solo con nuove scoperte/estrazioni o aumentando la capacità di liquefazione negli Stati Uniti. Quel che richiederà molto tempo.
Il maggior ricorso al metano e la pressione al rialzo dei suoi prezzi si riverbereranno inevitabilmente sui prezzi dell’elettricità nel prossimo triennio come previsto in un recente rapporto di Standard&Poor’s.
Vi contribuirà una terza ancor più preoccupante ragione: l’incapacità delle rinnovabili a rimpiazzare le molte migliaia di MWe delle centrali convenzionali a carbone o metano che verranno dismesse.
Morale: vi sono serie possibilità di disservizi (blackout) nelle forniture elettriche a livello europeo.
E l’Italia?
L’Italia, sempre secondo S&P, sarà messa peggio degli altri: con prezzi in crescita e relativamente maggiori, perché siamo più ancorati al gas con sue quotazioni sull’hub nazionale PSV maggiori che altrove; per la decisione di uscire dal carbone (6GW) che accrescerà la dipendenza dal metano; l’incapacità, infine, a conseguire gli obiettivi di penetrazione di solare ed eolico attesi nel PNIEC (secondo S&P 60 GW anziché 93 GW).
A ciò si aggiunga la necessità di accrescere le importazioni di elettricità specie dalla Francia che aumenteranno ad un quinto dei nostri consumi, mentre nel metano dipenderemo sempre più dal binomio Russia-Germania (perché prima o poi il Nord Stream 2 si sbloccherà).
Il nostro futuro energetico dipenderà da quel che Berlino e Parigi decideranno, nel loro precipuo interesse, a detrimento di quel che un tempo si indicava come ‘sicurezza energetica’.
Quei ‘no’ che ci hanno danneggiato
Terzo insegnamento: rimediare ai nostri errori. Molti degli effetti negativi dell’attuale crisi sono la conseguenza diretta dei nostri ‘no’ passati. La crisi ha svelato l’oscurantismo di gruppuscoli ambientalisti, spesso supportati dalla politica locale, che ha ammorbato la nostra scena energetica negli ultimi tre decenni.
A partire dall’opposizione alla realizzazione dei rigassificatori – accusati di poter esplodere come ‘bomboloni’ – con l’abbandono dei molti progetti che erano stati formulati a partire da quello di Brindisi con l’uscita di British Gas nel 2012 dopo undici anni dal suo avvio, aver ricevuto l’attestato di compatibilità ambientale, aver speso centinaia di milioni di euro.
Per passare all’ostilità contro l’estrazione degli idrocarburi, che si arrivò a sostenere di aver causato il terremoto dell’Emilia-Romagna nel 2012 senza che vi fosse nell’area alcuna attività mineraria, come attestò una commissione internazionale voluta dalla Regione. Ne seguì comunque il sostanziale blocco di ogni attività mineraria nonostante il fallimento del referendum No-Triv con una produzione crollata del 60% ai 3,3 miliardi di metri cubi dello scorso anno.
Per arrivare infine all’ottusa opposizione al TAP imputabile non solo al movimento dei grillini se si rammenta che il governatore pugliese citò in giudizio i manager di quella società chiedendo risarcimenti miliardari per il ‘danno di immagine’ procurato alla sua Regione.
A dimostrazione della veridicità di quanto detto sta il fatto che oggi tutti, compresi molti degli oppositori di allora, vorrebbero realizzare rigassificatori, aumentare le estrazioni, raddoppiare la portata del TAP (compreso il governatore pugliese).
‘No’ figli di una cultura che li ha nutriti e cresciuti e che ora se le vede rivolti contro. Partiti dall’opposizione al nucleare decine di anni fa, si sono poi accaniti contro petrolio e gas e i termovalorizzatori e ora volgono lo sguardo al biometano, al solare, all’eolico.
3 conclusioni
Quali conclusioni trarre? L’impossibilità, in primo luogo, di modificare strutturalmente in breve tempo la situazione energetica del paese, magari – si è letto – riaprendo all’opzione nucleare. In secondo luogo, la necessità di rivedere alla radice opposizioni che si sono dimostrate costose, assurde, anche se politicamente appetibili. In terzo luogo, rivedere, pur temporaneamente, scelte che in un opposto contesto di mercato si vanno dimostrando troppo onerose.
Se una decina di anni fa ridurre i contratti a lungo termine del gas ed ancorare i prezzi finali unicamente a quelli spot poteva comprendersi, essendo questi relativamente molto inferiori, oggi bisognerebbe tornare anche se parzialmente al passato.
Le liberalizzazioni ed il passaggio al mercato non sono scelte di per sé sempre convenienti. Lo sono se l’offerta sui mercati è eccedentaria rispetto alla domanda. In opposte condizioni di scarsità la concorrenza può danneggiare i consumatori.
Ma la crisi ha insegnato qualcosa e ne abbiamo imparato la lezione? In apparenza sì, ma ritengo solo per ragioni momentanee di convenienza politica di fronte agli alti costi economici e sociali che la crisi sta producendo.
Temo, in conclusione, che la risposta non possa che essere negativa: anche per l’immutata opposizione ad ogni opzione energetica che non sia solare ed eolico da parte di gruppi di interesse, attivisti ecologisti, ma anche di non pochi accademici. Un’opposizione ‘a prescindere’ non dissimile da quella dei No-Vax. Che rischia di scontrarsi con altre opposizioni ‘a prescindere’ di chi non vuole nemmeno solare ed eolico.
Alberto Clò è direttore di ENERGIA e RivistaEnergia.it
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