4 Febbraio 2022

Green-ish energy: una trasformazione energetica sostenibile senza strappi

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La green energy è condizione necessaria ma non sufficiente ai fini della decarbonizzazione. Farne l’ingrediente esclusivo porterebbe a confondere i fini con i mezzi, con l’alto rischio di non raggiungere i primi rendendo vani i secondi. Altri colori completano il menu degli strumenti a disposizione: bianco, blu, ambra. Qualunque sia il loro dosaggio, riproduce sempre e comunque un risultato cromatico dalle molte sfumature di verde: il green-ish di oggi volto a diventare sempre più convintamente il green di domani.

Siamo tutti convinti sostenitori della green energy. Tale etichetta indica – secondo le tonalità cromatiche ormai in voga – quel segmento del comparto energia costituito da fonti primarie rinnovabili di origine biologica e non, qualora queste vengano trasformate in elettricità o molecole gas-liquide per l’uso energetico (es. gas idrogeno da rinnovabili).

Completa il corredo di chi – in sovrappiù – voglia passare per “acceso” sostenitore della absolute-green energy l’essere anche pugnace oppositore dell’energia business-as-usual (oggi ad alta intensità carbonica), fiero inquisitore di ogni greenwashing (energia fintamente verde) e, per ogni residua evenienza, portatore di lenti polarizzate sul verde attraverso cui giudicare le pratiche e le politiche del fare-consumare energia.

Come dar torto o ragione? La sfida per risolvere a vantaggio dell’umanità l’equazione del cambiamento climatico appare del tutto inedita e talmente ciclopica per le nostre forze che avvertiamo – d’impulso e d’intuito – l’essenzialità di affrontarla con decisioni estreme o assolute, affinché la sfida non diventi esiziale per le generazioni a venire.

Detti imperativi si traducono, secondo alcuni esperti ed associazioni esponenziali, in una profonda trasformazione dell’energia che si vuole anche repentina, da effettuarsi – appunto – quasi esclusivamente sulle spalle della green energy. Benché ad oggi essa risulti ancora minoritaria in Italia ed in Europa quanto a volumi sottesi.

L’energia costituisce ¾ del problema climatico e, specularmente, ¾ della soluzione

Si sa: l’energia può essere davvero risolutiva della sfida climatica. In ragione delle proprie emissioni di gas climalteranti in Europa, essa può passare dal rappresentare i tre quarti del problema climatico al costituire gran parte della soluzione. Come? Decarbonizzandosi.

Intendiamoci: l’energia va certamente decarbonizzata per sé, quanto a produzione e trasporto nelle varie forme; ma soprattutto riveste un ruolo cruciale come strumento di decarbonizzazione attiva di economia e società tutte, quando impiegata nei numerosissimi usi settoriali.

L’energia, come la digitalizzazione, “si integra” facilmente con gli altri settori a mo’ di grimaldello e ponte su cui far scorrere e correre la decarbonizzazione in lungo, in largo ed il più celermente possibile. Ciò detto sulle finalità, la green energy sul piano strumentale è necessariamente la componente (un mezzo) più preziosa della decarbonizzazione (il fine), in quanto le tecnologie energetiche a fonti rinnovabili hanno un’intensità carbonica vicina allo zero nella loro vita utile, quindi sono (quasi) climate-neutral “di fabbrica”.

Preziosa e necessaria, la green energy dunque; ma è anche sufficiente alla bisogna del fine? Sì, ma solo se in combinazione con le altre componenti nel menu degli strumenti della decarbonizzazione. Fare della green energy l’ingrediente esclusivo porterebbe a confondere i fini con i mezzi, con l’alto rischio di non raggiungere i primi rendendo vani i secondi.

Bianco, blu, ambra gli altri colori della decarbonizzazione

Questo menu ha successo se viene dispiegato e diversificato al suo massimo potenziale:

a) efficienza energetica ed economia circolare incluso il waste-to-energy (white energy, nella sequela cromatica perché evita/recupera energia);

b) elettricità e idrogeno, con contestuale abbattimento industriale della CO2 per sottrarla al rilascio in atmosfera (blue energy, mutuato da blue sky), in attesa della futura rimozione industriale della CO2 già emessa in atmosfera (super-blue sky) e da affiancare alla rimozione naturale della CO2 per via biologica;

c) energia “ambra” o amber energy (evocando ἤλεκτρον, elektron ovvero resina in greco antico, come noto tendente al giallastro). Questa categoria riguarda essenzialmente l’elettricità o idrogeno elettrolitico a basso-bassissimo tenore di CO2, quali quelli (pur non rinnovabili) prodotti da energia nucleare o da nuovi cicli combinati a gas particolarmente efficienti quanto alle intensità carbonica ed energetica, atti a sostituire i più dannosi impianti a carbone. La categoria ambra non è ancora condivisa a livello di tassonomia europea degli investimenti sostenibili, anche se le relative tecnologie vengono considerate, sotto pesanti condizioni, come investimenti sostenibili.

Pochi numeri per sostanziare quanto detto per l’Italia. Considerando il Piano Nazionale Integrato Energia-Clima (PNIEC) nella sua edizione di gennaio 2020 coerente con il target europeo di riduzione delle emissioni climalteranti del -40% al 2030 rispetto al 1990, quindi senza ancora scontare gli straordinari obiettivi addizionali del -55% al 2030 del Pacchetto europeo Fit for 55, il nostro Paese dovrebbe raggiungere al 2030 una riduzione complessiva delle emissioni di CO2eq pari a circa 80 milioni di tonnellate annue (quasi uguali alle emissioni annue dell’odierno settore elettrico italiano con un livello medio di 330g-CO2eq/kWh-elt, vedi Figura 1), vale a dire ad un tasso costante di circa 8 milioni/anno nello stesso periodo.

Per raggiugere gli obiettivi del PNIEC 2020, l’Italia deve abbattere in questo decennio una quantità di emissioni pari a quelle dell’intero settore elettrico

Se intendessimo affrontare questo scenario – idealmente ma altrettanto irrealisticamente – usando unicamente lo strumento decarbonizzante più prezioso a nostra disposizione, cioè le fonti rinnovabili elettriche (FER-E), dovremmo confrontare questo tasso con le prospettive deI PNIEC (gennaio 2020) che ci restituiscono un comparto FER-E in grado solamente di ridurre di una quota di 2,5-3 milioni di tonnellate di CO2eq annue al 2030 (potenziale FER = 187 TWh/a o 95 GW installati, vd Figura2), cioè nemmeno un terzo del fabbisogno decarbonizzante.

L’obiettivo non è raggiungibile con le sole rinnovabili elettriche

L’obiettivo è quindi non raggiungibile solo con le FER-E; per riconciliare con il PNIEC, nelle ipotesi meno estreme, occorre considerare e fare affidamento su tutti i contributi – anche se inferiori – di riduzione dell’intensità carbonica degli altri settori energy e non.

Inoltre, ogni gap nella decarbonizzazione programmata dell’elettricità riverbera anche come rallentamento nella decarbonizzazione del settore trasporti leggeri (es. mobilità elettrica) e nell’heating residenziale, indebolendo ulteriormente il risultato complessivo.

Di più. Come noto, i primi anni del PNIEC hanno visto già un deficit deciso tra programma di crescita FER-E ed effettiva installazione, per le ben note ragioni. Ciò segnala comunque un preoccupante divario dalla traiettoria FER-E programmata (rapporto di 1 GW effettivi su 3 GW inizio decade o 6 GW fine decade programmati per annum).

Ancora di più. Quando aggiorneremo il PNIEC secondo il Fit for 55, la forbice tra programmato ed effettivo si aprirà ulteriormente.

Infine, in uno scenario di programmazione/reporting della decarbonizzazione quale quello introdotto dal Regolamento europeo No1999 (Energy Union’s Governance) che a sua volta regge i diversi PNIEC, sarebbe opportuno ragionare non solo in termini di dispiegamento dei differenti contributi dai vari settori energy in via di decarbonizzazione ma anche in termini di gradi di diversificazione dei diversi comparti tra loro; in modo che si gestisca il rischio di under-performance di decarbonizzazione del singolo settore con l’ausilio delle riserve degli altri. Spero che nel prossimo PNIEC (adeguato al Fit for 55) si introduca questo approccio di diversificazione.

Sostenibile ed assimilato: due nozioni da inserire nell’equazione

Non si tema dunque di introdurre una transizione non-al-minimo costo per i consumatori. Analizzando i dati e gli scenari risulta evidente come vi sia spazio e necessità per tutti i contributi, di tutti i “colori” (white, green, blue e amber) dell’energia, purché assimilate alla green nel percorso di sostenibilità.

Le due ultime nozioni – sostenibile ed assimilato – meritano più di un commento finale.

Sostenibile, dall’etimo multiforme di sustineo, significa sia sorreggere (da sopra) che appoggiare (rendere stabile), preservare (da degrado), sostentare (da sotto), resistere (a stress vari), …, essere capace (in grado di). Insomma, potremmo dire sinteticamente “mantenere o riuscire a mantenere [qualcosa] in una situazione desiderata ed integra”. E lo scopo della sostenibilità nell’energia – si sa – è triplice: mantenere o riuscire a mantenere la transizione in un percorso in buone condizioni ambientale-climatica, economica e sociale.

A mio avviso, tale definizione vuol indicare sia il raggiungere specifici obiettivi (dei 3 tipi) sia l’evitare «strappi» ai tessuti ambientali, economici e sociali che potrebbero compromettere lo stesso percorso. L’assenza di strappi è garanzia per tutti di tenuta della transizione. Si capisce, quindi, come anche la componente green energy deve essere messa nelle condizioni adeguate per il suo massimo sviluppo senza sovraccaricarla di obiettivi che per ora non è in grado di sopportare: ciò può solo avvenire con il concorso di altre componenti che siano assimilate ad essa.

Mettere la componente green dell’energia nelle condizioni di dare il massimo senza sovraccaricarla di obiettivi che per ora non è in grado di sopportare

Il concetto di assimilato nell’energia si ritrova per la prima volta nell’energia nel famoso (famigerato, per alcuni) provvedimento CIP6, agli inizi del suo excursus, nel 1992. La logica era assai condivisibile: per la (allora) funzione-obiettivo – l’adeguatezza del sistema di produzione di elettricità alla forte crescita della domanda – era essenziale promuovere nei siti industriali (oggi diremmo aree idonee) nuova capacità produttiva rinnovabile, dovunque fosse possibile, ovvero capacità assimilata alle rinnovabili, purché ottemperasse alla stessa funzione-obiettivo.

Oggi quell’assimilabilità è riferita alla decarbonizzazione. Alla componente green vanno certamente affiancate quelle ad essa assimilabili – white, blue ed ambra – per il successo della decarbonizzazione, ricordando che ogni Stato membro dell’UE è responsabile ed autonomo nel definire il proprio mix delle fonti e vettori energetici secondo il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.

Dimenticavo: per la soddisfazione degli appassionati della scala cromatica nell’energia, un mix delle componenti green, white, blue e amber energy, qualunque sia il loro dosaggio nei vari Paesi, riproduce sempre e comunque un risultato cromatico dalle molte sfumature di verde. Appunto, il green-ish di oggi volto a diventare sempre più convintamente il green di domani.


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Foto: Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attese, 1961

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